Errico Malatesta.
IL PROGRAMMA ANARCHICO. (1920)
 
 

Il programma dell'Unione Anarchica Italiana è il programma
comunista anarchico rivoluzionario, che già da cinquant'anni fu
sostenuto in Italia nel seno della Prima Internazionale sotto il
nome di programma socialista, che più tardi si distinse col nome
di socialista-anarchico, e che poi, in seguito e per reazione alla
crescente degenerazione autoritaria e parlamentare del movimento
socialista, si disse semplicemente anarchico.

1 - Che cosa vogliamo.

Noi crediamo che la più gran parte dei mali che affliggono gli
uomini dipende dalla cattiva organizzazione sociale, e che gli
uomini volendo e sapendo, possono distruggerli.
La società attuale è il risultato delle lotte secolari che gli
uomini han combattuto tra di loro. Non comprendendo i vantaggi che
potevano venire a tutti dalla cooperazione e dalla solidarietà,
vedendo in ogni altro uomo (salvo al massimo i più vicini per
vincoli di sangue) un concorrente ed un nemico, han cercato di
accaparrare, ciascun per sé, la più grande quantità di godimenti
possibili, senza curarsi degli interessi degli altri.
Data la lotta, naturalmente i più forti, o i più fortunati
dovevano vincere, ed in vario modo sottoporre ed opprimere i
vinti.
Fino a che l'uomo non fu capace di produrre di più di quello che
bastava strettamente al suo mantenimento, i vincitori non potevano
che fugare e massacrare i vinti ed impossessarsi degli alimenti da
essi raccolti.
Poi, quando con la scoperta della pastorizia e dell'agricoltura un
uomo poté produrre più di ciò che gli occorreva per vivere, i
vincitori trovarono più conveniente ridurre i vinti in schiavitù e
farli lavorare per loro.
Più tardi, i vincitori si accorsero che era più comodo, più
produttivo e più sicuro sfruttare il lavoro altrui con un altro
sistema: ritenere per sé la proprietà esclusiva della terra e di
tutti i mezzi di lavoro, e lasciar nominalmente liberi gli
spogliati, i quali poi non avendo mezzi per vivere, erano
costretti a ricorrere ai proprietari ed a lavorare per conto loro,
ai patti che essi volevano.
Così, man mano, attraverso tutta una rete complicatissima di lotte
di ogni specie, invasioni, guerre, ribellioni, repressioni,
concessioni strappate, associazioni di vinti unitisi per la
difesa, e di vincitori unitisi per l'offesa, si è giunti allo
stato attuale della società in cui alcuni detengono
ereditariamente la terra e tutta la ricchezza sociale, mentre la
grande massa degli uomini, diseredata di tutto, è sfruttata ed
oppressa dai pochi proprietari.
Da questo dipendono lo stato di miseria in cui si trovano
generalmente i lavoratori, e tutti i mali che dalla miseria
derivano: ignoranza, delitti, prostituzione. Da questo, la
costituzione di una classe speciale (governo), la quale, fornita
di mezzi materiali di repressione, ha missione di legalizzare e
difendere i proprietari contro le rivendicazioni dei proletari; e
poi si serve della forza che ha, per creare a se stessa dei
privilegi e sottomettere, se può, alla sua supremazia anche la
stessa classe proletaria. Da questo, la costituzione di un'altra
classe speciale (il clero), la quale con una serie di favole sulla
volontà di Dio, sulla vita futura, eccetera, cerca di indurre gli
oppressi a sopportare docilmente l'oppressione, ed al pari del
Governo oltre di fare gli interessi dei proprietari, fa anche i
suoi propri. Da questo, la formazione di una scienza ufficiale che
è, in tutto ciò che può servire agl'interessi dei dominatori, la
negazione della scienza vera. Da questo, lo spirito patriottico,
gli odii di razza, le guerre, e le paci armate talvolta più
disastrose delle guerre stesse. Da questo, l'amore trasformato in
tormento o in turpe mercato. Da ciò l'odio più o meno larvato, la
rivalità, il sospetto fra tutti gli uomini, l'incertezza e la
paura per tutti.
Tale stato di cose noi vogliamo radicalmente cambiare. E poiché
tutti questi mali derivano dalla lotta fra gli uomini, dalla
ricerca del benessere fatta da ciascuno per conto suo e contro
tutti, noi vogliamo rimediarvi sostituendo all'odio l'amore, alla
concorrenza la solidarietà, alla ricerca esclusiva del proprio
benessere la cooperazione fraterna per il benessere di tutti, alla
oppressione ed all'imposizione la libertà, alla menzogna religiosa
e pseudo-scientifica la verità.
Dunque:
1. Abolizione della proprietà privata della terra, delle materie
prime e degli strumenti di lavoro, perché nessuno abbia il mezzo
di vivere sfruttando il lavoro altrui, e tutti, avendo garantiti i
mezzi per produrre e vivere, siano veramente indipendenti e
possano associarsi agli altri liberamente; per l'interesse comune
e conformemente alle proprie simpatie.
2. Abolizione del Governo e di ogni potere che faccia la legge e
la imponga agli altri: quindi abolizione di monarchie,
repubbliche, parlamenti, eserciti, polizie, magistratura, ed ogni
qualsiasi istituzione dotata di mezzi coercitivi.
3. Organizzazione della vita sociale per opera di libere
associazioni e federazioni di produttori e consumatori, fatte e
modificate secondo la volontà dei componenti, guidati dalla
scienza e dall'esperienza e liberi da ogni imposizione che non
derivi dalle necessità naturali, a cui ognuno, vinto dal
sentimento stesso della necessità ineluttabile, volontariamente si
sottomette.
4. Garantiti i mezzi di vita, di sviluppo, di benessere ai
fanciulli ed a tutti coloro che sono impotenti a provvedere a loro
stessi.
5. Guerra alle religioni ed a tutte le menzogne, anche se si
nascondono sotto il manto della scienza. Istruzione scientifica
per tutti e fino ai gradi più elevati.
6. Guerra alle rivalità ed ai pregiudizi patriottici. Abolizione
delle frontiere: fratellanza fra tutti i popoli.
7. Ricostruzione della famiglia in quel modo che risulterà dalla
pratica dell'amore, libero da ogni vincolo legale, da ogni
oppressione economica o fisica, da ogni pregiudizio religioso.

2 - Vie e mezzi.

Abbiamo esposto a sommi capi qual è lo scopo che vogliamo
raggiungere quale l'ideale pel quale lottiamo.
Ma non basta desiderare una cosa: se si vuole ottenerla davvero
bisogna impiegare i mezzi adatti al suo conseguimento. E questi
mezzi non sono arbitrari, ma derivano, necessariamente, dal fine
cui si mira e dalle circostanze nelle quali si lotta; giacché
ingannandosi sulla scelta dei mezzi, non si raggiungerebbe il fine
propostosi, ma un altro, magari opposto che sarebbe conseguenza
naturale, necessaria, dei mezzi adoperati. Chi si mette in cammino
e sbaglia strada, non va dove vuole, ma dove lo porta la strada
percorsa.
Occorre dunque, dire quali sono i mezzi che, secondo noi,
conducono allo scopo prefissoci, e che noi intendiamo adoperare.
Il nostro ideale non è di quelli il cui conseguimento dipende
dall'individuo considerato isolatamente. Si tratta di cambiare il
modo di vivere in società, di stabilire tra gli uomini rapporti di
amore e solidarietà, di conseguire la pienezza dello sviluppo
materiale, morale e intellettuale, non per un dato partito, ma per
tutti quanti gli esseri umani - e questo non è cosa che si possa
imporre colla forza, ma deve sorgere dalla coscienza illuminata di
ciascuno ed attuarsi mediante il libero consentimento di tutti.
Nostro primo compito quindi deve essere quello di persuadere la
gente.
Bisogna che noi richiamiamo l'attenzione degli uomini sui mali che
soffrono e sulla possibilità di distruggerli. Bisogna che
suscitiamo in ciascuno la simpatia pei mali altrui ed il desiderio
vivo del bene di tutti.
A chi ha fame e freddo noi mostreremo come sarebbe possibile, e
facile, assicurare a tutti la soddisfazione dei bisogni materiali.
A chi è oppresso e vilipeso, noi diremo come si può vivere
felicemente in una società di liberi e uguali; a chi è tormentato
dall'odio e dal rancore, noi additeremo la via per raggiungere,
amando i propri simili, la pace e la gioia del cuore.
E quando saremo riusciti a far nascere nell'animo degli uomini il
sentimento di ribellione contro i mali ingiusti ed inevitabili di
cui soffre nella società presente, ed a far comprendere quali sono
le cause di questi mali e come dipenda dalla volontà umana
l'eliminarli; quando avremo ispirato il desiderio vivo,
prepotente, di trasformare la società per il bene di tutti, di
coloro che li han preceduti nella convinzione, si uniranno e
vorranno, e potranno, attuare i comuni ideali.
Sarebbe - lo abbiam già detto - assurdo e in contraddizione col
nostro scopo di voler imporre la libertà, l'amore fra gli uomini,
lo sviluppo integrale di tutte le facoltà umane, per mezzo della
forza. Bisogna dunque contare sulla libera volontà degli altri, e
la sola cosa che possiamo fare è quella di provocare il formarsi
ed il manifestarsi di detta volontà. Ma sarebbe però ugualmente
assurdo e contrario al nostro scopo l'ammettere che coloro i quali
non la pensano come noi c'impediscono di attuare la nostra
volontà, sempre che essa non leda il loro diritto ad una libertà
uguale alla nostra.
Libertà dunque per tutti di propagare ed esperimentare le proprie
idee, senza altro limite che quello che risulta naturalmente
dall'eguale libertà di tutti.
Ma a questo si oppongono - e si oppongono colla forza brutale -
coloro che sono i beneficiarii degli attuali privilegi e dominano
e regolano tutta la vita presente.
Essi hanno in mano tutti i mezzi di produzione; e quindi
sopprimono non solo la possibilità di esperimentare nuovi modi di
convivenza sociale, non solo il diritto dei lavoratori di vivere
liberamente col proprio lavoro, ma anche lo stesso diritto
all'esistenza; ed obbligano chi non è proprietario a lasciarsi
sfruttare ed opprimere se non vuole morire di fame.
Essi hanno polizie, magistrature, eserciti creati appositamente
per difendere i propri privilegi; e perseguitano, incarcerano,
massacrano coloro che vogliono abolire quei privilegi e reclamano
i mezzi di vita e la libertà per tutti.
Gelosi dei loro interessi presenti ed immediati, corrosi dallo
spirito di dominazione, paurosi dell'avvenire, essi, i
privilegiati, sono, generalmente parlando, incapaci di uno slancio
generoso, sono incapaci benanco di una più larga concezione dei
loro interessi. E sarebbe follia sperare ch'essi rinunzino
volontariamente alla proprietà ed al potere, e si adattino ad
essere gli eguali di coloro che oggi tengono sottoposti.
Lasciando da parte l'esperienza storica (la quale dimostra che mai
una classe privilegiata si è spogliata, in tutto o in parte dei
suoi privilegi, e mai un governo ha abbandonato il potere se non
vi è stato obbligato dalla forza o dalla paura della forza),
bastano i fatti contemporanei per convincere chiunque che la
borghesia ed i governi intendono impiegare la forza materiale per
difendersi, non solo contro l'espropriazione totale, ma anche
contro le più piccole pretese popolari, e son pronti sempre alle
più atroci persecuzioni, ai più sanguinosi massacri.
Al popolo che vuole emanciparsi non resta altra via che quella di
opporre la forza alla forza.
Risulta da quanto abbiam detto che noi dobbiamo lavorare, per
risvegliare negli oppressi il desiderio vivo di una radicale
trasformazione sociale, e persuaderli che unendosi, essi hanno la
forza di vincere; dobbiamo propagare il nostro ideale e preparare
le forze morali e materiali necessarie a vincere le forze nemiche,
ed a organizzare la nuova società. E quando avremo la forza
sufficiente dobbiamo, profittando delle circostanze favorevoli o
creandole noi stessi, fare la rivoluzione sociale, abbattendo,
colla forza, il governo; espropriando, colla forza, i proprietari;
mettendo in comune i mezzi di vita e di produzione, ed impedendo
che nuovi governi vengano ad imporre la loro volontà e ad
ostacolare la riorganizzazione sociale fatta direttamente dagli
interessati.
Tutto questo però è meno semplice di quello che potrebbe a prima
giunta parere.
Noi abbiamo a che fare cogli uomini quali sono nell'attuale
società, in condizioni morali e materiali disgraziatissime; e
c'inganneremo pensando che basta solo la propaganda per elevarli a
quel grado di sviluppo intellettuale e morale che è necessario
alla attuazione dei nostri ideali.
Tra l'uomo e l'ambiente sociale vi è un'azione reciproca. Gli
uomini fanno la società come essa è e la società fa gli uomini
come essi sono, e da ciò risulta una specie di circolo vizioso.
Per trasformare la società bisogna trasformare gli uomini e per
trasformare gli uomini bisogna trasformare la società.
La miseria abbrutisce l'uomo e per distruggere la miseria bisogna
che gli uomini abbiano coscienza e volontà. La schiavitù educa gli
uomini ad essere schiavi e per liberarsi dalla schiavitù v'è
bisogno di uomini aspiranti a libertà. L'ignoranza fa sì che gli
uomini non conoscano le cause dei loro mali e non sappiano
rimediarvi, e per distruggere l'ignoranza bisogna che gli uomini
abbiano il tempo ed il modo d'istruirsi.
Il governo abitua la gente a subire la legge ed a credere che la
legge sia necessaria alla società; e per abolire il governo
bisogna che gli uomini siano persuasi della sua inutilità e del
suo danno.
Come uscire da questo circolo vizioso?
Fortunatamente la società attuale non è stata formata dalla
volontà illuminata di una classe dominante, che abbia potuto
ridurre tutti i dominati a strumenti passivi ed incoscienti dei
suoi interessi. Essa è il risultato di mille lotte intestine, di
mille fattori naturali ed umani agenti casualmente senza criteri
direttivi; e quindi non vi sono divisioni nette né tra gli
individui né tra le classi.
Infinite sono le varietà di condizioni materiali; infiniti i gradi
di sviluppo morale ed intellettuale; e non sempre - diremmo quasi
molto raramente - il posto che uno occupa in società corrisponde
alle sue facoltà ed alle sue aspirazioni. Spessissimo alcuni
individui cadono in condizioni inferiori a quelle a cui sono
abituati, ed altri, per circostanze estremamente favorevoli,
riescono ad elevarsi a condizioni superiori a quelle in cui sono
nati. Una parte notevole del proletariato è già arrivata ad uscire
dallo stato di miseria assoluta, abbrutente, o non ha mai potuto
esservi ridotta; nessun lavoratore, o quasi nessuno si trova nello
stato di incoscienza completa, di completa acquiescenza alle
condizioni che gli fanno i padroni. E le stesse istituzioni, quali
sono state prodotte dalla storia, contengono delle contraddizioni
organiche che sono come i germi di morte, i quali sviluppandosi
producono la dissoluzione dell'istituzione e la necessità della
trasformazione.
Da ciò la possibilità del progresso; - ma non la possibilità di
portare, per mezzo della propaganda, tutti gli uomini al livello
necessario perché vogliano e facciano l'anarchia, senza
un'anteriore graduale trasformazione dell'ambiente.
Il progresso deve camminare contemporaneamente, parallelamente
negli individui e nell'ambiente; dobbiamo profittare di tutte le
possibilità, di tutte le occasioni che ci lascia l'ambiente
attuale, per agire sugli uomini e sviluppare la loro coscienza ed
i loro desideri; dobbiamo utilizzare tutti i progressi avvenuti
nella coscienza degli uomini per indurli a reclamare ed imporre
quelle maggiori trasformazioni sociali che sono possibili e che
meglio servono ad aprire la via a progressi ulteriori.
Noi non dobbiamo aspettare di poter fare l'anarchia ed intanto
limitarci alla semplice propaganda. Se facessimo così, presto
avremmo esaurito il campo; avremmo convertiti cioè, tutti quelli
che nell'ambiente sono suscettibili di comprendere ed accettare le
nostre idee e la nostra ulteriore propaganda resterebbe sterile; o
se delle trasformazioni d'ambiente elevassero nuovi strati
popolari alla possibilità di ricevere idee nuove, ciò avverrebbe
senza l'opera nostra, forse contro l'opera nostra e quindi con
pregiudizio delle nostre idee.
Noi dobbiamo cercare che il popolo, nella sua totalità o nelle sue
frazioni, pretenda, imponga, prenda da sé tutti i miglioramenti,
tutte le libertà che desidera, man mano che giunge a desiderarle
ed ha la forza di imporle; e propagandando sempre tutto intero il
nostro programma e lottando sempre per la sua attuazione
integrale, dobbiamo spingere il popolo a pretendere ed imporre
sempre di più fino a che non ha raggiunto l'emancipazione
completa.

3 - La lotta economica.

L'oppressione che, oggi, più direttamente preme sui lavoratori, e
che è la causa principale di tutte le soggezioni morali e
materiali cui i lavoratori sottostanno, è l'oppressione economica,
vale a dire lo sfruttamento che i padroni e i commercianti
esercitano su di loro, grazie all'accaparramento di tutti i grandi
mezzi di produzione e di scambi.
Per sopprimere radicalmente e senza pericolo di ritorno questa
oppressione, occorre che il popolo tutto sia convinto del diritto
che esso ha all'uso dei mezzi di produzione, e che attui questo
suo diritto primordiale espropriando i detentori del suolo e di
tutte la ricchezze sociali e mettendo questo e queste a
disposizione di tutti.
Ma si può ora stesso metter mano a questa espropriazione? Si può
oggi passare direttamente, senza gradi intermedii, dall'inferno in
cui si trova ora il proletariato, al paradiso della proprietà
comune?
I fatti dimostreranno di cosa i lavoratori sono oggi capaci.
Compito nostro è quello di preparare il popolo, moralmente e
materialmente, a questa necessaria espropriazione; e di tentarla e
ritentarla, ogni volta che una scossa rivoluzionaria ce ne
presenta l'occasione, fino al trionfo definitivo. Ma in che modo
possiamo preparare il popolo? In che modo preparare le condizioni
che rendano possibile, non solo il fatto materiale
dell'espropriazione, ma l'utilizzazione a vantaggio di tutti,
della ricchezza comune?
Abbiamo detto antecedentemente che la sola propaganda, parlata o
scritta, è impotente a conquistare alle nostre idee tutta quanta
la grande massa popolare. Occorre una educazione pratica, la quale
sia a volta causa ed effetto di una graduale trasformazione
dell'ambiente. Occorre che a mano a mano che si sviluppano nei
lavoratori il senso di ribellione contro le ingiuste e inutili
sofferenze di cui son vittime, ed il desiderio di migliorare le
loro condizioni, essi, uniti e solidali tra loro, lottini per il
conseguimento di quel che desiderano.
E noi, come anarchici e come lavoratori, dobbiamo provocarli ed
incoraggiarli alla lotta e lottare con loro.
Ma sono possibili, in regime capitalistico, questi miglioramenti?
Sono essi utili, dal punto di vista della futura emancipazione
integrale dei lavoratori?
Qualunque siano i risultati pratici della lotta per i
miglioramenti immediati, l'utilità principale sta nella lotta
stessa. Con essa gli operai imparano ad occuparsi dei loro
interessi di classe, imparano che il padrone ha interessi opposti
ai loro e che essi non possono migliorare le loro condizioni, ed
anche meno emanciparsi, se non unendosi e diventando più forti dei
padroni. Se riescono ad ottenere quello che vogliono, staranno
meglio: guadegneranno di più, lavoreranno meno, avranno più tempo
e più forza per riflettere alle cose che loro interessano, , e
sentiranno subito desideri maggiori, bisogni maggiori. Se non
riescono, saran condotti a studiare le cause dell'insuccesso ed a
riconoscere la necessità di maggiore unione, di maggiore energia;
e comprenderanno infine che a vincere sicuramente e
definitivamente occorre distruggere il capitalismo. La causa della
rivoluzione, la causa dell'elevamento morale del lavoratore e
della sua emancipazione non possono che guadagnare dal fatto che i
lavoratori si uniscono e lottano per i loro interessi.
Ma, ancora una volta, è possibile che i lavoratori riescano,
nell'attuale stato di cose, a migliorare realmente le loro
condizioni?
Ciò dipende dal concorso di una infinità di circostanze.
Malgrado ciò che dicono alcuni, non esiste una legge naturale
(legge dei salari), la quale determina la parte che va al
lavoratore sul prodotto del suo lavoro: o, se legge si vuol
formulare, essa non potrebbe essere che questa: il salario non
può scendere normalmente al disotto di quel tanto che è necessario
alla vita, né può normalmente salire tanto da non lasciare nessun
profitto al padrone.
E' chiaro che nel primo caso gli operai morrebbero e quindi non
riscuoterebbero più salario, e nel secondo i padroni cesserebbero
di far lavorare e quindi non pagherebbero più salari. Ma tra
questi due estremi impossibili vi sono un'infinità di gradi, che
vanno dalle condizioni miserabili di molti lavoratori agricoli
fino a quelle quasi decenti degli operai dei buoni mestieri nelle
grandi città.
Il salario, la lunghezza della giornata e tutte le altre
condizioni del lavoro sono il risultato della lotta tra padroni e
lavoranti. Quelli cercano di dare ai lavoranti il meno che possono
e di farli lavorare fino a esaurimento completo; questi cercano, o
dovrebbero cercare, di lavorare di meno e guadagnare il più che
possono. Dove i lavoratori si contentano di tutto, o, anche
essendo scontenti, non sanno opporre valida resistenza ai padroni,
sono presto ridotti a condizioni animalesche di vita; dove invece
essi hanno un concetto alquanto elevato del modo come dovrebbero
vivere degli esseri umani, e sanno unirsi e mediante il rifiuto
del lavoro e la minaccia latente o esplicita di rivolta, imporre
rispetto ai padroni, là essi sono trattati in modo relativamente
sopportabile. In modo che può dirsi che il salario dentro certi
limiti, è quello che l'operaio (non come individuo, s'intende, ma
come classe) pretende.
Lottando dunque, resistendo contro i padroni, i lavoratori possono
impedire, fino ad un certo punto, che le loro condizioni
peggiorino ed anche ottenere dei miglioramenti reali. E la storia
del movimento operaio ha già dimostrato questa verità.
Bisogna però non esagerare la portata di questa lotta combattuta
tra operai e padroni sul terreno esclusivamente economico. I
padroni possono cedere, e spesso cedono, innanzi alle esigenze
operaie energicamente espresse, fino a quando non si tratti di
pretese troppo grosse, ma quando gli operai incominciassero (ed è
urgente che incomincino) a pretendere un tale trattamento che
assorbirebbe tutto il profitto dei padroni e riuscirebbe così ad
una espropriazione indiretta, è certo che i padroni farebbero
appello al governo e cercherebbero di costringere gli operai a
restare nella loro posizione di schiavi salariati.
Ed anche prima, ben prima che gli operai possono pretendere di
ricevere in compenso del loro lavoro l'equivalente di tutto ciò
che han prodotto, la lotta econimica diventa impotente a
continuare a produrre il miglioramento delle condizioni dei
lavoratori.
Gli operai producono tutto e senza di loro non si può vivere:
quindi sembrerebbe che rifiutando il lavoro essi potessero imporre
tutto ciò che vogliono. Ma l'unione di tutti i lavoratori anche di
un sol mestiere, anche di un sol paese, è difficile ad ottenere,
ed all'unione degli operai si oppone l'unione dei padroni. Gli
operai vivono alla giornata e, se non lavorano, presto mancano di
pane; mentre i padroni dispongono, mediante il denaro, di tutti i
prodotti già accumulati, e quindi possono tranquillamente
aspettare che la fame abbia ridotti a discrezione i loro
salariati. L'invenzione o l'introduzione di nuove macchine rende
inutile l'opera di un gran numero di operai ed accresce il grande
esercito dei disoccupati, che la fame costringe a vendersi a
qualunque condizione. La immigrazione apporta subito nei paesi
dove gli operai riescono a star meglio, delle folle di lavoratori
famelici che, volendo o no, offrono ai padroni il modo di
ribassare i salari. E tutti questi fatti, derivanti
necessariamente dal sistema capitalistico, riescono a
controbilanciare il progresso della coscienza e della solidarietà
operaia: spesso camminano più rapidamente di questo progresso e lo
arrestano e lo distruggono. Ed in tutti i casi resta sempre il
fatto primordiale che la produzione, in sistema capitalistico, è
organizzata da ciascun capitalista per il suo profitto individuale
e non già per soddisfare come sarebbe naturale, nel miglior modo
possibile, i bisogni dei lavoratori. Quindi il disordine, lo
sciupio di forze umane, la scarsezza voluta dei prodotti, i lavori
inutili e dannosi, la disoccupazione, le terre incolte, il poco
uso delle macchine eccetera, tutti mali che non si possono evitare
se non levando ai capitalisti il possesso dei mezzi di lavoro e
quindi la direzione della produzione.
Presto dunque si presenta per gli operai, che intendono
emanciparsi o anche solo migliorare seriamente le loro condizioni,
la necessità di attaccare il governo, il quale, legittimando il
diritto di proprietà e sostenendola colla forza brutale,
costituisce una barriera innanzi al progresso, che bisogna
abbattere colla forza se non si vuole restare indefinitamente
nello stato attuale e peggio.
Dalla lotta economica bisogna passare alla lotta politica, cioè
alla lotta contro il goveno; ed invece di opporre ai milioni dei
capitalisti gli scarsi centesimi a stento accumulati dagli operai,
bisogna opporre ai fucili ed ai cannoni che difendono la
proprietà, quei mezzi migliori che il popolo potrà trovare, per
vincere la forza con la forza.

4 - La lotta politica.

Per lotta politica intendiamo la lotta contro il governo. Governo
è l'insieme di quegli individui che detengono il potere, comunque
acquistato, di far legge ed imporla ai governati, cioè al
pubblico.
Conseguenza dello spirito di dominio e della violenza con cui
alcuni uomini si sono imposti agli altri, esso è nello stesso
tempo creatore e creatura del privilegio e suo difensore naturale.
Erroneamente si dice che il governo compie oggi la funzione di
difensore del capitalismo, ma che abolito il capitalismo esso
diventerebbe rappresentante e gerente degli interessi generali.
Prima di tutto il capitalismo non si potrà distruggere se non
quando i lavoratori, cacciato il governo, prendano possesso della
ricchezza sociale ed organizzino la produzione e il consumo
nell'interesse di tutti, da loro stessi, senza aspettare l'opera
di un governo il quale, anche a volerlo, non sarebbe capace di
farlo.
Ma v'è di più: se il capitalismo fosse distrutto e si lasciasse
sussistere un governo, questo, mediante la concessione di ogni
sorta di privilegi lo creerebbe di nuovo poiché non potendo
accontentar tutti avrebbe bisogno di una classe economicamente
potente che lo appoggi in cambio della protezione legale e
materiale che ne riceve.
Per conseguenza, non si può abolire il privilegio e stabilire
solidamente e definitivamente la libertà e l'eguaglianza sociale
se non abolendo il governo, non questo o quel governo, ma
l'istituzione stessa del governo.
Però, in questo come in tutti i fatti di interesse generale, più
che in qualunque altro occorre il consenso della generalità: e
perciò dobbiamo sforzarci di persuadere la gente che il governo è
inutile e dannoso, e che si può vivere meglio senza governo.
Ma, come abbiamo già ripetuto, la sola propaganda è impotente a
convincere tutti - e se noi volessimo limitarci a predicare contro
il governo, aspettando altrimenti inerti, il giorno in cui il
pubblico sarà convinto della possibilità ed utilità di abolire
completamente ogni specie di governo, quel giorno non verrebbe
mai.
Sempre predicando contro ogni specie di governo, sempre reclamando
la libertà integrale, noi dobbiamo favorire tutte le lotte per le
libertà parziali, convinti che nella lotta s'impara a lottare e
che incominciando a gustare un po' di libertà si finisce col
volerla tutta. Noi dobbiamo sempre essere col popolo, e quando non
riusciamo a fargli pretender molto, cercare che almeno cominci a
pretendere qualche cosa: e dobbiamo sforzarci perché apprenda,
poco o molto che voglia, a volerlo conquistare da sé, e tenga in
odio e in disprezzo chiunque sta o vuole andare al governo.
Poiché il governo tiene oggi il potere di regolare, mediante le
leggi, la vita sociale ed allargare o restringere la libertà dei
cittadini, noi non potendo ancora strappargli questo potere,
dobbiamo cercare di diminuirglielo e di obbligarlo a farne l'uso
meno dannoso possibile. Ma questo lo dobbiamo fare stando sempre
fuori e contro il governo, premendo su di lui mediante
l'agitazione della piazza minacciando di prendere per forza quello
che si reclama. Mai dobbiamo accettare una qualsiasi funzione
legislativa, sia essa generale o locale, poiché facendo così
diminuiremmo l'efficacia della nostra azione e tradiremmo
l'avvenire della nostra causa.

La lotta contro il governo si risolve, in ultima analisi, in lotta
fisica, materiale.
Il governo fa la legge. Esso dunque deve avere una forza materiale
(esercito e polizia) per imporre la legge, poiché altrimenti non
vi ubbidirebbe che chi vuole ed essa non sarebbe più legge, ma una
semplice proposta che ciascuno è libero di accettare o di
respingere. Ed i governi questa forza l'hanno, e se ne servono per
potere con leggi fortificare il loro dominio e fare gli interessi
delle classi privilegiate, opprimendo e sfruttando i lavoratori.
Limite all'oppressione del governo è la forza che il popolo si
mostra capace di opporgli.
Vi può essere conflitto aperto o latente, ma conflitto v'è sempre;
poiché il governo non si arresta innanzi il malcontento ed alla
resistenza popolare se non quando sente il pericolo
dell'insurrezione.
Quando il popolo sottostà docilmente alla legge, o la protesta è
debole e platonica, il governo fa i comodi suoi senza curarsi dei
bisogni popolari; quando la protesta diventa viva, insistente,
minacciosa, il governo, secondo che è più o meno illuminato, cede
o reprime. Ma sempre si arriva all'insurrezione, perché se il
governo non cede, il popolo acquista fiducia in sé e pretende
sempre di più, fino a che l'incompatibilità tra la libertà e
l'autorità diventa evidente e scoppia il conflitto violento.
E' necessario dunque prepararsi moralmente e materialmente perché
allo scoppio della lotta violenta la vittoria resti al popolo.


L'insurrezione vittoriosa è il fatto più efficace per
l'emancipazione popolare, poiché il popolo, scosso il giogo,
diventi libero di darsi a quelle istituzioni che egli crede
migliori, e la distanza che passa tra la legge, sempre in ritardo,
ed il grado di civiltà a cui è arrivata la massa della
popolazione, è varcata d'un salto. L'insurrezione determina la
rivoluzione, cioè il rapido attuarsi delle forze latenti
accumulate durante la precedente evoluzione.
Tutto sta in ciò che il popolo è capace di volere.
Nelle insurrezioni passate il popolo, inconscio delle ragioni vere
dei suoi mali, ha voluto sempre molto poco, e molto poco ha
conseguito.
Che cosa vorrà nella prossima insurrezione?
Ciò dipende in parte dalla nostra propaganda e dall'energia che
sapremo spiegare.
Noi dovremmo spingere il popolo ad espropriare i proprietari e
mettere in comune la roba, ed organizzare la vita sociale da sé
stesso, mediante associazioni liberamente costituite, senza
aspettare gli ordini di nessuno e rifiutando di nominare o
riconoscere qualsiasi governo, qualsiasi corpo costituito, che
sotto un nome qualsiasi, qualsiasi corpo costituito, che sotto un
nome qualunque (costituente, dittatura, eccetera) si attribuisca,
sia pure a titolo provvisorio, il diritto di far la legge e di
imporre agli altri con la forza la propria volontà.
E se la massa del popolo non risponderà all'appello nostro, noi
dovremo - in nome del diritto che abbiamo di esser liberi anche se
gli altri vogliono restare schiavi e per l'efficacia dell'esempio
- attuare da noi quanto più potremo delle nostre idee, e non
riconoscere il nuovo governo, e mantenere viva la resistenza, e
far sì che la località dove le nostre idee saranno simpaticamente
accolte si costituiscano in comunanze anarchiche, respingano ogni
ingerenza governativa, stabiliscano libere relazioni con le altre
località e pretendano di vivere a modo loro.
Noi dovremo, soprattutto, opporci con tutti i mezzi alla
ricostituzione della polizia e dell'esercito, e profittare
dell'occasione propizia per eccitare i lavoratori delle località
non anarchiche a profittare della mancanza di forza repressiva per
imporre quelle maggiori pretese che a noi riesca indurli ad avere.
E comunque vadano le cose continuare sempre a lottare, senza un
istante di interruzione, contro i proprietari a contro i
governanti avendo sempre in vista la emancipazione completa,
economica, politica e morale di tutta l'umanità.

5 - Conclusione.

Noi vogliamo dunque abolire radicalmente la dominazione e lo
sfruttamento dell'uomo sull'uomo, noi vogliamo che gli uomini
affratellati da una solidarietà cosciente e voluta cooperino tutti
volontariamente al benessere di tutti; noi vogliamo che la società
sia costituita allo scopo di fornire a tutti gli esseri umani i
mezzi per raggiungere il massimo benessere possibile, il massimo
possibile sviluppo morale e materiale; noi vogliamo per tutti
pane, libertà, amore, scienza.
E per raggiungere questo scopo supremo noi crediamo necessario che
i mezzi di produzione siano a disposizione di tutti, e che nessun
uomo, o gruppo di uomini possa obbligare gli altri a sottostare
alla sua volontà né esercitare la sua influenza altrimenti che con
la forza della ragione e dell'esempio.
Dunque, espropriazione dei detentori del suolo e del capitale a
vantaggio di tutti, abolizione del governo.
Ed aspettando che questo si possa fare: propaganda dell'ideale;
organizzazione delle lotte popolari; lotta continua, pacifica o
violenta secondo le circostanze, contro il governo e contro i
proprietari per conquistare quanto più si può di libertà e di
benessere per tutti.