CAP2
PARABOLA 2
Una ragazza di Berkeley raccontò una storia del Parco del Popolo.
(Glenda Cimino, da Venceremos Brigade)
METASTASI SOCIALE
ovvero
LA DIFFUSIONE DEL TERMINE
Se di tutto desideriamo una
conoscenza pura dobbiamo
abbandonare il corpo
Platone
Separata dal corpo, la vita
è illusione
A lexander Lowen
Libertà è soltanto un altro
termine per non lasciar perdere
nulla
Kristofferson e Poster
L'immondizia è stata definita materia nel posto sbagliato. Analogamente,
il veleno può essere definito una sostanza ingerita in un periodo troppo
breve e in quantità eccessiva. Stiamo appena cominciando a risvegliarci
da un tipo di follia, sotto l'influenza della quale si è ritenuto che
la crescita fosse una virtù magica non soggetta a questa definizione.
Nessun ammontare di essa, nessuna velocità erano considerate troppo grandi.
L'importanza dell'equilibrio e dell armonia, che i popoli del mondo avevano,
per il passato, riconociuta con riverenza a ammirazione, è stata dimenticata
in questo secolo di delirio. L' uomo occidentale, invece, ha venerato il disquilibrio
e l'ipertrofia. « Massimale » e « ottimale » sono diventati
termini intercambiabili. La
crscita è stata considerata una benedizione incontaminata ad un livello
tale che il termine è stato perfino applicato ai miglioramenti del carattere
personale. «Cambiare e crescere» sono assurti a imperativi della
classe agiata americana, suscitando lo spettro di una razza di mostri psichici
oppressivi. Nel mondo organico, ipertrofia è patologia. La crescita è
considerata
sana soltanto quando il tasso di cambiamento è, a lunga scadenza, decelerativo
- essendo generalmente stimato sfavorevole un tasso accelerativo.
Per esempio, un bambino umano cresce di più durante il primo anno di
vita. Se ogni anno crescesse a ritmo più elevato, la
mostruosità subirebbe un collasso da tensione gravitazionale prima che
egli raggiungesse l'età scolare. Malgrado ciò, la crescita del
cambiamento tecnologico e dei suoi correlati: scienza, sapere, produzione di
materiali lavorati, legislazione, popolazione e così via, è considerata
salutare anche se costante o accelerativa.
In un qualsiasi altro contesto, il tipo di crescita subito dalla cultura occidentale
negli ultimi tre secoli dovrebbe essere considerato segno di evidente malfunzione.
La crescita sana ha un ritmo differente - non assorbe o distrugge tutto ciò
che vive intorno ad essa. Sono le cellule cancerose che crescono e si riproducono
rapidamente, con totale disprezzo della loro connessione con le cellule circostanti.
Da questo punto di vista, la tecnologia dovrebbe essere considerata un cancro
della cultura umana, la cultura occidentale un cancro della specie umana e la
specie umana un cancro della vita terrestre - un cancro da doversi, alla fine,
trattare contemporaneamente con radiazioni e chinurgia radicale.
Speriamo che si possa trovare un'altra cura. Almeno, il problema è già
stato diagnosticato in un rapporto fatto dal Club di Roma intitolato "I
limiti alla crescita", in cui si riconosce, finalmente, che l'unico risultato
concepibile dell'attuale filosofia di costante incremento economico è
la catastrofe ecologica. In questa sede, il nostro compito è di capire
l'origine
dell'illusione dell'incremento, come esso si sia impossessato di noi con tanta
virulenza, come si ramifichi attraverso i nostri processi mentali e come sradicarlo.
Ormai, siamo avvezzi ad ascoltare illustrazioni di incremento patologico citate
con orgoglio e timore, soltanto recentemente sfumate di allarme: che l'incremento
scientifico raddoppia ogni dieci anni, che metà di tutta l'energia consumata
negli ultimi due millenni è stata consumata nell'ultimo secolo, che il
ritmo dell'evoluzione umana è 100.000 volte più rapido dell'evoluzione
preumana, che la popolazione urbana della terra raddoppierà nei prossimi
undici anni, che una teen-ager civile è circondata da due volte tanti
beni di recente manufatti di quanto essa non lo fosse da bambina, che il 90
per cento di tutti gli scienziati mai vissuti è vivente adesso, e così
via. Ma, per esempio, perché gli umani stanno consumando tutta questa
energia? Qual'è il movente che sta dietro a questa attività frenetica?
Quando gli animali diventano così irrequieti si pensa che siano sottoposti
a un certo tipo di tensione. In questi tre capitoli tenterò di evidenziare
alcuni dei fattoriresponsabili di questa crescita patologica. È possibile
che, a volte, le mie osservazioni appaiano insinuare come la specie sia stata
condannata fin dall'inizio. Eppure per centinaia di migliaia di anni gli umani
sono stati soltanto potenzialmente distruttivi. Si può dire che la malattia
fosse presente, ma soltanto nello stesso senso in cui i batteri sono sempre
presenti nel corpo. René Dubos osserva che « la gravità
di una malattia
microbica o tossica è determinata più dall'intensità della
risposta del corpo che dalle caratteristiche del microbo o delle tossine presenti.»
Analogamente, David Bakan, sulla scia di Selye e Freud, considera che l'organismo
è più in stato di pericolo a causa delle sue reazioni adattive
che a causa di agenti esterni.
Noi ci troviamo nella fase acuta di una malattia virulenta e pur rivestendo
un qualche valore il rintracciare le sue fonti ultime, è assai più
importante indagare su come essa abbia preso il sopravvento. La nostra specie
è sempre stata vulnerabile alla malattia. Eppure soltanto una porzione
del genere umano ne è caduta vittima, mentre altre stanno tuttora opponendo
resistenza, anche se con successo in rapido decremento.
La vulnerabilità è, si, deprimente, ma l'esistenza di un tessuto
sano è incoraggiante. Abbiamo, pertanto, bisogno di comprendere sia la
nostra intrinseca vulnerabilità alla malattia, sia la natura delle forze
che ne facilitano la sua forma acuta o che resistono ad essa.
Nel trattare della nostra società', mi accorgo di fare frequente uso
della metafora cancro. E' difficile considerare la recente esplosione tecnologica,
con la sua straordinaria irrilevanza proliferativa, qualche cosa di differente
dal neoplasma. Ma l'analogia è ancora più profonda: "E' stato
dimostrato che , se i tessuti normali vengono fatti crescere su una superficie
di vetro, le cellule interrompono la crescita quando si toccano reciprocamente.
Le cellule del cancro, invece, se analogamente fatte crescere su di una superficie
di vetro proseguono la crescita senza alcun impedimento da contatto cellulare
(Bakan). Le ricerche sulle cellule del cancro sembrano suggerire che quel certo
tipo di comunicazione reciprocamente limitante, presente nelle cellule normali,
sia debole o assente nelle cellule del cancro. Come se queste ultime fossero
state massicciamente indottrinate dall'ideologia dell'individualismo e dell'acquisizione
personale.
Immaginiamoci una massa di tessuto canceroso, le cui cellule fruiscono di coscienza.
Non sarebbero esse, forse, colme di sentimenti autocongratulatori per la loro
dipendenza, il livello più avanzato di sviluppo, il tasso rapido di crescita?
Non sorriderebbero delle loro cugine più primitive confinate ad un essenza
più statica e priva di libertà, con aspirazioni
limitate, soggette a pesante costrizione di gruppo e, ovviamente, impedite a
procedere verso un qualsiasi luogo? Non gioirebbero, forse, per il controllo
esercitato sul proprio destino e non si rallegrerebbero della conversione di
sempre più cellule come di una prova convincente della validità
del proprio modo di vivere? In effetti, perché non dovrebbero sentirsi
vieppiù trionfanti fino a che l'organismo di cui si sono nutrite non
spira?
Però, sarebbe grave errore immaginare che la nostra tendenza ad abbracciare
anche con maggior fervore la malattia sia pura questione di arroganza. La continua
esteriorizzazione della nostra malattia provoca un effetto spirale. Quanto più
creiamo un ambiente ammalato, tanto più diventiamo frenetici nel tentativo
di fuggirlo. Ed ogni movimento al servizio della fuga ci porta sempre più
lontano dallo stato di salute verso il quale, così disperatamente, cerchiamo
di tornare. Toffler, per esempio,
scorge più chiaramente di chiunque altro l'effetto devastante del nostro
frenetico schema di cambiamento ma, malgrado ciò, esige un aumento della
nostra adattabilità ad esso, garantendo, in tal modo, un'ulteriore accelerazione
del cambiamento stesso. Egli desidera « liberare » gli esseri umani
da quelle reazioni spontanee che tendono a rallentare il tasso di cambiamento
o ad interferire con esso. In altre parole, desidera che ci adattiamo ad un
ambiente nocivo.
Ora, l'adattamento ad un ambiente nocivo non offre soltanto un feedback positivo
all'ambiente stesso, ma, altresì, riduce la capacità di rispondere
ad un ambiente buono. Il bimbo piccolo, lasciato per settimane in ospedale,
conserva uno stato psichicamente sano finché continua a piangere disperatamente
perché vuole i genitori. Il danno psichico comincia
dal momento in cui egli si dispone ad una pacifica indifferenza, assumendo quello
che il compiaciuto personale ospedaliere chiama « buon adattamento».
Le conseguenze del prolungato adattamento a questo ambiente impersonale e, in
un certo modo, inumano, sono superficialità emotiva, incapacità
a creare attaccamenti duraturi e depressività cronica.
Analogamente, recenti ricerche sulla schizofrenia indicano come la malattia
del paziente possa considerarsi un adattamento ragionevole ad un sistema di
comunicazione familiare abbondantemente malfunzionante.
In effetti, non sarebbe fuori luogo dire che tutte le malattie psicologiche,
fisiologiche e societarie - sono un adattamento a un
ambiente nocivo. Se ciò è vero, appare evidente la difficoltà
a recuperare la salute quando la malattia viene esteriorizzata. L'ambiente non
può migliorare dacché la malattia è continuamente controreazionata
in esso.Ulteriore adattamento crea ulteriore malattia che peggiora l'ambiente,
il quale, poi, ha bisogno di un adattamento ancora più esagerato, e così
via. Gli esempi più ovvi di questo processo comprendono fatuità
come l'adattarsi alla sovrappopolazione imparando a vivere sotto il mare o l'adattarsi
all'eccesso di veicoli costruendo più strade. Ma esistono altri esempi
che, personalmente, trovo più penosi. Nei
secoli scorsi, la ricerca di giustizia sociale si basava, in gran parte, su
principi di conformità, obiettività, eguaglianza, imparzialità,
e cosi via. Nella lotta contro l'oppressione e lo sfruttamento, una delle armi
più valide fu quella di smascherare il fatto che due persone provenienti
da backgrounds diversi non venissero trattate ugualmente di fronte alla legge,
o che disponessero di possibilità disuguali, o che ricevessero risposte
differenti allo stesso comportamento. Un'altra fu di dimostrare come, in
alcuni casi specifici, un valore abbracciato nell'astratto potesse venire notevolmente
beffeggiato.
La nostra società è permeata d'oppressione, per cui il non utilizzare
queste armi sarebbe un crimine d'omissione contro l'umanità. Ciò
nondimeno, abbiamo bisogno di riconoscere fino a che punto l'obiettività
costituisce un sintomo della nostra malattia culturale e la coerenza è
un meccanismo della sua metastasi. È indispensabile prendere in esame
l'assunto secondo cui il progresso viene realizzato barattando la brutalità
di un proprietario personale di schiavi con quella di uno impersonale.
Nella comunità semplice, l'obiettività, così come è
da noi concepita, esiste in maniera assai limitata. Quasi tutte le azioni, le
decisioni e i premi si basano su rapporti e posizioni particolari all'interno
della comunità. C'è ineguaglianza, c'è inequità
e anche un modesto grado di sfruttamento. C'è, senz'altro, caproespiazione
e miseria personale. Malgrado ciò, si ammette che ognuno abbia un certo
tipo di valore, nonché un certo tipo di connessione significativa con
chiunque altro. Nessuno muore inosservato
o incompianto. Quando, per accresciuta dimensione, questa forma crolla e si
instaura l'autoritarismo, ci si inizia a imbattere in quello sfruttamento e
in quella brutalità nella misura e nella forma a noi familiari. Per la
prima volta, premi e decisioni tendono a basarsi su un certo tipo di principio
grezzo: quanto più si è vicini al centro del potere, tanto maggiori
sono i premi. A questo punto, un qualsiasi osservatore esterno può addirittura
prevedere la distribuzione di questi ultimi, senza conoscere l'intera rete di
rapporti e di costumi della comunità. E, come il potere diventa più
centralizzato e meno limitato dalla legittimità, chiunque può
raggiungere il successo materiale puramente arrabattandosi per compiacere il
tiranno.
La modalità sociale comincia con l'autocrazia. Ma, con ulteriori incrementi
in dimensione e in complessità, anche l'autoritarismo crolla. Le limitazioni
personali dei despoti fanno sorgere l'esigenza di sistemi per la distribuzione
obiettiva e meccanizzata dei
premi. La gente comincia a capire che i rapporti personali non devono più
giocare alcuna parte nel raggiungimento di decisioni politiche o economiche.
Il potere si incentra sempre più nei meccanismi impersonali, anche se
coloro che risiedono al centro del meccanismo, per la tensione che sopportano,
vengono ripagati tanto generosamente in premi simulati da immaginare di essere
i padroni fantasia, questa, confermata da coloro che sono alla periferia.
Col diventare il sistema sempre più obiettivo e spersonalizzato, ogni
restante tendenza verso la corruzione e lo sfruttamento viene abbondantemente
esaltata; e con la frantumazione della trama della connessione armonica col
prossimo attraverso l'ulteriore enfasi di criteri universali o obiettivi, le
conseguenze dello sfruttamento diventano più depravate. Si perde la possibilità
di appello attraverso i canali personali, per cui intere categorie di uomini
possono semplicemente venire dimenticate. La
personalità poco importante di una comunità semplice, invece,
ha diritti, meramente in virtù della sua parentela o intimità
con qualcuno del sistema, che la sua controparte, in una società come
la nostra, non potrà mai ottenere. Anche nella società burocratizzata
più altamente libera da corruzione l'individuo può fare appello
soltanto ad un insieme di principi astratti che non gli si applicano e che ignorano
la sua condizione personale. Sfruttamento e oppressione tendono ad assumere
una forma
massiccia e impersonale. Il sistema è ingombrante e altamente inerte:
qualunque cosa si ponga in movimento è difficile da fermare e viceversa.
D'altro canto, in un sistema personalizzato, pur essendoci molto movimento,
nulla può allontanarsi troppo in qualsiasi direzione senza che forze
correttive entrino in ballo. Noi rispondiamo a questa pesantezza adattandoci
ai principi su cui si basa, accettandoli e tentando di estenderli. Ma la lotta
per una maggiore coerenza e imparzialità accresce ancor più la
pesantezza e l'inerzia del sistema. In una comunità semplice, la propria
posizione in essa è sempre caratteristica. Invece, dacché nella
maggior parte delle faccende della vita quotidiana non abbiamo un rapporto con
coloro che si trovano in relazione con noi, cerchiamo modi d'essere più
imparziali, cerchiamo di garantire che tutti siano trattati allo stesso modo,
di applicare criteri astratti che ignorano i dettagli. La brutalità di
giudici, medici e amministratori della nostra società deriva meno dalla
loro incapacità ad applicare principi equi che dalla totale ignoranza
delle persone affette dalle loro decisioni.
Le reti organiche sono piene di incoerenza. Esse arrivano a un certo tipo d'equilibrio
attraverso movimenti goffi ma spontanei verso una molteplicità di adattamenti.
L'applicazione del principio astratto distrugge irrevocabilmente questo equilibrio,
per cui gli sforzi per ristabilirlo su base matematica sono piuttosto simili
al tentativo di mantenere in equilibrio una palla sulla punta di una spada,
sparandole contro ogni volta che comincia ad inclinarsi. L'esigenza di coerenza
tratta la malattia cercando di estenderla all'intero organismo.
Siccome mi sento un po' a disagio a mettere questo argomento nelle mani dei
conservatori, vorrei aggiungere una parola di chiarimento. Oggi, in America,
nessun movimento sociale radicale trae la sua validità e il suo significato
da questi principi, anche se tutti i movimenti radicali li utilizzano come argomento
politico. Pur partendo essi dalla retorica dell'uguaglianza, dell'imparzialità
e della coerenza, tendono a slittare - come risposta alla radicalizzazione e
alla continua analisi sociale - verso
la convinzione della superiorità particolarizzata dei propri costituenti
Donne, negri, indiani e nazioni del terzo mondo pongono, sì ancora notevole
enfasi sull'uguaglianza, ma i loro rappresentanti più accesi sono giunti
a riconoscere che la società dominante del maschio bianco occidentale
ha bisogno di loro più di quanto essi abbiano bisogno di lui indipendentemente
da ogni problema di imparzialità e giustizia Le forze dominanti della
società tendono a non percepire questa distinzione dacché è
di gran lunga più comodo presumere che qualcuno desideri soltanto un
pezzo della tua torta, piuttosto che ammettere di essere
prigioniero di un sistema ammalato e moribondo.
Linearità e Principio
Può apparire che molto di quanto sono venuto dicendo intenda guardare
con diffidenza all'utilizzazione di concetti e principi astratti nelle faccende
umane - pur non avendo io esitato ad impiegare i miei. Ora dacché le
prime (e, di solito, le uniche) tré capacità insegnate agli intellettuali
sono (a) come classificare un argomento senza averlo ascoltato, (b) come trovare
in esso contraddizioni interne e (c) come rivolgerlo contro il suo autore, è
chiaro che mi sono cacciato in un mare di guai
Forse, è necessario che sottolinei il fatto di non avere interesse ad
eliminare alcuna qualità umana, ma soltanto a stimarne il costo. Se tutti
avessero pienamente compreso, una volta per sempre, il prezzo sociale che dobbiamo
pagare per il privilegio di scorrazzare in una macchina dalle ruote gommate,
l'automobile potrebbe anche non essere mai stata immessa sul mercato. O, più
semplicemente, potrebbe essere stata commercialmente trattata in modo del tutto
differente. Perfino qualità come 1' individualismo, divenute ormai ammorbanti
causa l'esagerazione, sono diventate indispensabili seppure in proporzione,
entro certi limiti, più esigua. Mio desiderio non è di eliminare
il tutto con un colpo di spugna, ma di riequilibrarlo e reintegrarlo. Però,
il lettore non deve attendersi che questo desiderio possa essere ammantato dei
panni della serenità in un mondo in cui la pura idea di armonia suscita
soltanto avversione e irritazione.
L'armonia è priva del senso di movimento, e ciò produce una sensazione
di ingabbiamento nelle persone che si trovano in stato di grave tensione. La
civiltà occidentale è un uomo che corre a velocità crescente
dentro un tunnel, ermeticamente chiuso all'aria, alla ricerca di ossigeno supplementare.
Si può fargli osservare del tutto ragionevolmente che sopravviverà
più a lungo se rallenterà, ma non è probabile che lo faccia.Senza
diminuire in alcun modo l'importanza del contributo di McLuhan si dovrebbe dire
che la linearità nella cultura umana è più di un orientamento
stilistico derivato da proporzioni sensoriali. La sensazione di
movimento non ostacolato nella linearità esprime quel bisogno disperato
di fuga precipitosa che uno schema a mosaico frustra completamente.
Le linee rette, in natura, sono una rarità - la presenza di una di esse,
generalmente, suggerisce una presenza civile umana. E quando gli umani se ne
vanno, o consentono alla natura di riaffermarsi, le linee rette si incurvano.
La bellezza della neve è che ridona anche alla città più
rettilinea una parvenza di organicità. Una scalinata diventa una duna
sabbiosa ondulata, modellata da un insieme di forze che si trovano in un certo
tipo di giocondo equilibrio reciproco, piuttosto che da un solo concetto spietato
e dominatore. La sensazione di qualche bisogno umano frenetico e insaziabile
- sempre suggerita dalla linea retta - vienemutata e addolcita.
Probabilmente, non esistono linee rette in natura - le nostre candidate più
certe cominciano a piegarsi per curvarsi, a lunga scadenza. Forse, la linea
retta è puramente una finzione umana - una fantasia di totale indipendenza
e irresistibilità. Fondamentalmente, tutto si rivela essere interconnesso
e soggetto all'influenza esterna, mentre invece il desiderio dell'individualista
coscienziosamente indottrinato è di poter perseguire una vita sprovvista
di feedback negativo - di dover essere eternamente «nel giusto»,
senza mai deflettere dal suo rigido corso puramente autoperpetuantesi.
In breve, l'esistenza della linearità tradisce l'assenza di feedback
negativo (cioè, correttivo) e l'incapacità di ricevere feedback
negativo è, senz'altro, una calamità. Per esempio, nulla ha contribuito
più del mito della scienza pura alla stravaganza delle sue applicazioni.
Se il concetto di patologia ha mai una qualche utilità, la linearità
è patologica. Il restante problema di questo capitolo è di esaminare
la forma e la natura di questa patologia al suo livello più elementare.
Non possiamo riesaminare tutto da capo, né si guadagnerà nulla
confidando in una spontaneità, che non esiste più, verso un sistema
organico gravemente danneggiato. Però, può tornare utile comprendere
come siamo arrivati a questo punto - valutare le zone molli dell'equipaggiamento
psicologicodella specie. Ogni umana virtù contiene un male, per cui abbiamo
bisogno di conoscere il prezzo pagato per quelle qualità che ci sono
care e ci sembrano essenziali.
Il mammifero schizoide
Nel suo The Divided Self, Roland Laing descrive alcune tecniche schizoidi per
ottenere sicurezza in un ambiente psicologicamente dannoso Sebbene intesa come
descrizione psicologica, essa può anche servirci come
metafora dell'evoluzione della cultura occidentale. Come tale, essa pone in
rilievo una grave pecca della specie e indica i pericoli dell'evoluzione culturale
in confronto a quella biologica. Di rilevanza quanto mai pregnante è
l'esigenza schizoide d'autarchia che riproduce, con una certa precisione, l'incostante
relazione fra l'individuo e il suo ambiente prodotta
dalla rivoluzione tecnologica.
Il processo schizoide comincia con lo staccare una parte di sé dalla
connessione con l'ambiente. Questa parte, considerata come interiorità
o sé « reale » è, in tal modo, svincolata, non risponde
al feedback, è disincarnata. Essa osserva, con distacco spassionato,
tutto ciò che accade al resto dell'organismo (dalla gratificazione sessuale
alle punizioni). Ogni transazione con l'ambiente è irreale, dacché
il sé «reale» non è impegnato. Di più, siccome
nulla di reale giunge al sé, nulla di reale può
uscire da esso, per cui, conseguentemente, esso esperimenta perfino sé
stesso in modo vieppiù irreale, morto e insignificante. La ricerca della
sicurezza attraverso il distacco si rivela, alla fine, insicura in quanto, con
lo svuotamento progressivo del sé della propria vitalità, esso
diventa sempre più vulnerabile ad essere ingolfato da altri, che sono
reali, e al bloccaggio inferiore verso gli stimoli reali esterni. Il senso di
libertà ed autonomia fornito da questa autarchia è illusorio,
dacché esercitato in un vuoto, per cui ciò che è libero
viene continuamente sminuito e devitalizzato. Il senso di identità richiede
l'esistenza di altri esseri da cui si è
conosciuti ed in relazione ai quali la propria esistenza trova espressione.
Gregory Bateson fece una volta osservare la follia di tentare di delimitare
qualche cosa tagliando i sentieri che costituiscono le definizioni del suo essere.
Quella che Laing descrive è una posizione difensiva a disposizione dell'
intera specie. La difesa schizoide diventa possibile con l'emergere della capacità
a generare, maneggiare e collegare simboli. Una volta che esista tale capacità,
è possibile che l'organismo si ritiri dalla rete complessa del feedback
reciproco in cui è inserito e risponda soltanto al suo circuitismo
interiore. La natura e il corpo non comandano più all'organismo. Questo
è un modo per interpretare il mito del Giardino dell'Eden.
Originariamente, l'armonia del pianeta era mantenuta da un equilibrio di forze
a cui tutte le specie partecipavano inconsapevolmente e in cui ogni organismo
dominava attraverso i suoi sforzi per evitare il disagio o per ricercare il
piacere. Soltanto l'umanità optò al di fuori del sistema, abiurando
al piacere e all'incertezza, al fine di essere « libera ». Nella
storia biblica, il primo sintomo del disturbo è una perdita improvvisa
dell'agio nei confronti del corpo - una tendenza a sentirsi
distaccati da esso e vergognosi di esso. « L'essere dell'individuo (schizoide)
è spaccato in due, producendo un sé disincarnato ed un corpo oggetto
di osservazione del sé che, a volte, considera come se fosse tutt'altra
cosa » (Laing)
Quando Adamo ed Eva cessano di esistere nel loro corpo, cessano di essere in
grado di vivere in Paradiso e ne vengono cacciati. Avendo imboccato la strada
schizoide, debbono tribolare in eterno per avvicinarsiall'equilibrio abbandonato.
La fonte della caduta è la vanità: il «Tu sarai simile a
Dio e conoscerai il bene e il male,» e l'illusione secondo cui un uomo
può
«sollevarsi al di sopra » del suo corpo hanno portato alla più
impressionante atrocità della storia. La fonte dell'illusione è
la petulanza caratteristica esibita da parecchi umani di fronte al fatto che
tutte le strutture organiche specifiche sono temporanee - in effetti, più
o meno irrilevanti.
Essi si aggrappano all'idea di continuità personale, nel modo in cui
un pedante si aggrappa ad un concetto, o il burocrate alla procedura. È
come se una particolare configurazione in un giuoco del Cat's Cradle ( * ),
diciamo una Scala di Giacobbe passabilmente eseguita, desiderasse immortalarsi
perennemente nella pietra - quel particolare bambino, quel particolare spago
e quella particolare mediocre raffigurazione della forma. Il bambino sa di poterla
rifare ancora, probabilmente meglio. Dopotutto
la tecnica, come il messaggio genetico, trascende il momento. Ma quella particolare
prova esiste soltanto in quel momento - che è collocato nel tempo, che
ha un suo spazio. Però, gli umani trovano difficoltà ad accettare
questa limitazione e, nei loro sforzi frenetici di diffondersi in un'area temporale
più estesa, spesso hanno finito per esistere a malapena del tutto. Come
l'uomo che desidera essere in ogni luogo nello stesso momento finisce per non
essere in nessuna parte, l'uomo che cerca l'immortalità finisce per non
essere presente neanche nel suo tempo.
Eppure, indipendentemente da quanto le persone si rallegrino del cambiamento
delle stagioni, del sorgere e tramontare del sole e della nascita, il trascorrere
della loro configurazioni è frustrante. Il desiderio di prendere a prestito
più tempo è segno di vita non vissuta. L'uomo più desideroso
che un party si prolunghi è colui che, per timore del rifiuto, ha sprecato
la serata senza avvicinare la ragazza da cui è attratto. Inoltre, il
senso di penuria temporale, come tutta la penuria del genere, è contagioso.
L'uomo che invade il tempo della posterità smorza la vita dei suoi discendenti,
inducendo anche loro a cercare l'immortalità, né
più né meno come l'orda che invade l'altrui paese motiva gli invasi
ad invaderne altri.
Il collegamento fra narcisismo e bramosia di immortalità spiega perché,
nel mito dell'Eden, siano il serpente ed Eva a ricevere tutto il biasimo. I
primi umani invidiavano il serpente perché mutava la pelle, per cui immaginavano
che fosse immortale. E gli uomini hanno sempre invidiato le donne perché
possono riprodursi estensibilmente. Eva, in effetti, viene punita proprio per
questo: il parto viene reso doloroso. Ma il mito, in realtà, riguarda
la caduta di Adamo: l'idea che egli sia stato
tentato da Eva è soltanto il modo con cui l'oppressore afferma di essere
diventato invidioso di lei. « Tentazione>> sta ad Adamo come «
provocazione » sta ad un grande paese che vuole aggredirne uno piccolo.
Come osserva C.S. Lewis, «Riteniamo gentile l'agnello perché la
sua lana è soffice al tatto: gli uomini chiamano voluttuosa una donna
quando suscita
in loro sensazione voluttuose. » Dacché più delle donne
gli uomini sono a scarso contatto con i sentimenti, tendono a biasimarle ogni
volta che i propri sentimenti sfuggono loro dalle mani. E sono proprio gli uomini
ad optare più entusiasticamente per il disincorporamento e l'immortalità
spirituale.
Mi rendo conto di presumere su di una congenialità che il lettore può
non condividere. In effetti, non costituisce, forse, la « caduta »
una grande vittoria, per la quale l'umanità si è liberata dal
servaggio all'impulso? Non ci ha forse portato tutti i benefici di cui ora fruiamo
e concesso il controllo del nostro destino, a differenza delle altre specie
la cui spontaneità ci ha
permesso di estinguerle?
È senz'altro vero che la ritirata nel circuitismo interno ha assunto
un certo valore di sopravvivenza a breve scadenza, per cui vorrei consigliare
a chiunque fosse interessato alla longevità di guardarsi dal cercare
un ritorno alla condizione paradisiaca, fintantoché esiste nei dintorni
immediati un qualche essere come noi. Quanto ai vantaggi relativi di una breve
vita fragrante e di una vita lunga ma arida, dobbiamo decidere ciascuno per
proprio conto. E, quanto ai benefici della civiltà, essi sono, tutti
ed
ognuno, un prodotto delle propensioni schizoidi dell'uomo, come lo sono tutte
le crudeltà della vita civile. Non esiste assolutamente alcun modo per
conservare le caramelle e scrollare via i mali è un affare di
pacchetto e non faremo alcun progresso finché tenteremo di sfuggire questo
fatto. Non si può appendere un Rembrandt a una palma. La gente parla,
ad esempio, della guerra peloponnesiaca o della prima guerra mondiale come di
quelle che hanno posto un termine all'Età d'Oro che le avevano precedute
- età in cui erano fiorite con particolare abbondanza arti e scienze.
Questo è un nonsenso perché, in entrambi i casi, le guerre furono
tanto un'espressione autentica di quell'età quanto una qualsiasi opera
d'arte, e, in effetti, sia
grande arte, sia guerre importanti derivano dallo stesso impulso alla grandiosità.
Non c'è modo di conservare la grande arte senza il narcisismo che la
rende inevitabile. Se vogliamo attenuare le condizioni che fanno sorgere la
guerra, dobbiamo stabilire un più modesto livello di acquisizione individuale
in altre sfere.
Ma i problemi di libertà individuale dall'impulso e di controllo del
proprio destino hanno bisogno di maggior chiarimento. Nessuna parola ha svolto
un'attività più violenta al servizio della mistificazione di «
libertà » (in America uno degli eufemismi più popolari per
congedare l'amato bene è, « Sto per lasciarti libero »).
Nessuno che si sia alienato dal corpo riesce a dominare il proprio destino anche
se è molto abile a proiettare attorno, nell'ambiente esterno, il proprio
peso dissociato. A qualsiasi livello ci rifugiamo nel circuitismo interno, la
libertà che acquisiamo è illusoria e temporanea, come nel termine
« caduta libera »
nel linguaggio paracadutistico.
Per un organismo vivente non esiste piena autonomia. Esiste soltanto variabilità
riguardo ai sentieri attraverso i quali la sua dipendenza parassitaria può
essere esercitata. Un pesce non è autonomo in rapporto all'acqua nel
momento che sta anfanando la propria vita sul fondo della barca. Ne lo è
l'astronauta in rapporto all'atmosfera o alla terra, quando viene proiettato
fuori, in una sfera di metallo, per centomila miglia, suggendo ossigeno e rispondendo
a messaggi di uno che non può vedere, mentre si affida alle abilità
costruttive di uomini sconosciuti. Fa ben poca differenza la consapevolezza
di essere controllati da bisogni e impulsi corporei, da norme proprie e da valori
culturali, da aspirazioni neurotiche, o da un qualche insieme di vanità
ideologiche di qualche altra cultura. In effetti la nostra esistenza è
definita da tutte queste cose - cambia soltanto la proporzione, e molto meno
di quanto si immagini. Senz'aria si muore, senza amore si diventa cattivi, senza
feedback si diventa matti. Siamo nati con energia, materia, e con l'informazione
che procede dentro e fuori di noi, per continuare così fino alla morte.
Una deviazione troppo grande dal livello normale di influsso e di efflusso turba
il senso dei nostri confini, il che significa come sia assai possibile che il
nostro essere sperimenti come invasione tanto un'infuenza, un controllo, o qualsiasi
altra cosa derivante dall'esterno, troppo scarsa, quanto una eccessiva, anche
se siamo stati addestrati a non percepirla. L'idea che le persone partano come
individui separati, che escono marciando per connettersi agli altri, e uno dei
brani più luminosi di auto-mistificazione della storia della nostra specie.
Attraverso questa mistificazione ci rendiamo vulnerabili alla manipolazione
da parte di forze essenzialmente meccaniche: sistemi tecnologici, regolamentazioni
burocratiche, coerenze ideologiche. Il paranoide che immagina di essere controllato
elettronicamente si trova in condizioni migliori delle nostre - almeno ha una
sensazione, seppur vaga, di dove la mistificazione di sé l'ha condotto.
Weston La Barre riassume la tanto vantata libertà dall'istinto dell'umanità
facendo notare come un uomo, attraverso la propria
dipendenza dall'apprendimento, « raggiunga la realtà soprattutto
per il tramite di individui non disinteressati componenti la sua famiglia immediata
e la società. Egli si adatta per forza ai loro errori... non alla natura
stessa... come uomo egli risulterà quella qualsiasi bizzarria addomesticata
che i genitori inconsciamente preferiscono o involontariamente modellano. »
Libertà dall'istinto, quindi, significa trasferimento di dipendenza da
qualche cosa che non può rendere psicotico a qualche cosa
che lo può - la libertà dall'istinto è l'inizio dell'inquinamento
psicotico. Come dice La Barre, l'uomo è unico fra gli animali per la
« sua capacità posta in opera di conoscere cose che non sono tali.
»
Ovviamente, questa è una visione unilaterale. Se è possibile immaginare
ciò che non è, ci si può comportare in modo tale da farlo
accadere invece di cercare meramente senza scopo fino a quando uno stimolo non
si addica al desiderio. Il prezzo pagato è che, mentre si sta immaginando,
non si sperimenta ciò che è - il che può anche essere più
attraente. E, nel momento in cui la felicità immaginata è posta
in essere, si può aver perduto la capacità di sperimentarla, ma
si può già stare immaginando
qualche altro stato inesistente.
Ora, c'è una bella differenza fra una pustoletta e un cancro come fra
il fumare stupefacenti o il masticare gomma e la lancinante eroina. La prima
volta che un uomo ha ucciso qualcosa senza mangiarla e che non stava tentando
di mangiarlo, si è aperto un canale che ha reso possibile Hiroshima,
però tutto questo non l'ha resa inevitabile. Per lo stesso motivo, la
capacità di creare e maneggiare simboli, pur aprendo la porta al processo
schizoide, non l'ha reso universale e ingiuntivo. Quando gli
uomini presero per la prima volta il mare determinarono la possibilità
di annegare. Però, quando si verifica un'ecatombe di annegamenti, cominciamo
a rivolgerci ad altre cose, quali le imbarcazioni difettose. A questo punto
è sufficiente suggerire che la capacità di simbolizzare, come
per 1'andare in barca, contiene un pericolo, per cui richiede certi tipi di
salvaguardia, a tutt'ora non sufficientemente sottolineati.
Con il sorgere della cultura si apre un altro canale. Se l'umanità è
un animale schizoide, la cultura è un approccio schizoide all'evoluzione.
Come osserva La Barre, gli schizofrenici sono soltanto esseri esageratamente
umani, dacché, « qualitativamente, non esiste differenza apprezzabile
di contenuto fra cultura e nevrosi. « L'unica differenza è quantitativa
- quando parecchi persone condividono uno stesso sistema simbolico questa è
cultura; se lo fa una persona sola, è psicosi. Entrambe le situazioni
sono indipendenti dalla realtà, ed entrambe forniscono soluzioni speciose
ai problemi di sicurezza ma, come fa osservare La Barre, lacultura ha il vantaggio
che, se parecchie persone credono ad una bugia, il suo potere di lenire l'ansia
viene immensamente accresciuto.Di più, se un intero gruppo di persone
si comporta come se una certa finzione sociale fosse vera, questa tende ad acquisire
un suo grado di realtà - di quelle che, in definitiva, impediscono alla
verità in quell'ambiente, di venire a galla. Per esempio, i bambini possono
essere deformati in molti e svariati modi, ma se una qualche progenie è
ritenuta superiore, o inferiore, o pigra, o aggressiva, o fragile, o riottosa,
in effetti essi tenderanno ad esagerare cedesti tratti. Una persona paranoide
ha la probabilità, presto o tardi, di sentirsi perseguitata, confermando
così la sua visione della realtà, ma con una verosimiglianza di
cultura, ciò diventa quasi inevitabile. Sociologia, economia e scienza
politica sono, in sommo grado, studi sulla materializzazione del processo schizoide.
La cultura, quindi, libera l'umanità ancor più della realtà
perché, secondo quanto fa notare La Barre, non esiste selezione naturale
fra idee e convinzioni; milioni di persone possono credere alla medesima falsità
per migliaia di anni. Ciò, di per sé, non è dannoso: dopo
tutto, parecchie illusioni sono innocue. Ma il pericolo sorge quando ci si stacca
dall'essere profondamente a contatto con l'ambiente esterno e con le proprie
sensazioni corporee. Questa immediatezza tattile, questo affondarsi nell'esperienza,
una volta perduti non possono mai più essere interamente ricatturati.
Si rompe una connessione, si smarrisce un ingranaggio dell'equilibrio e il sistema
diventa suscettibile di crescita esponenziale, di movimento simile a quello
del robot, di scorrazzare in lungo e in largo preso da follia sanguinaria.
È chiaro che ciò non accade immediatamente. Ogni cultura, anche
la più semplice, seduce i propri aderenti attraverso impegni verso convinzioni
e prassi strane e assurdamente inopportune che, però, non tutte portano
le persone fuori dal contatto del loro corpo e del loro ambiente naturale. Alcune
delle convinzioni e prassi che appaiono più irrazionali agli Occidentali
sono, in effetti, espressioni di questo senso di intimità. Si rendono
pertanto necessari ancora parecchi passi prima che il pericolo diventi grave.
Stando a quanto molti hanno fatto notare, quando si da un nome ad un'esperienza,
ci si stacca un po' dall'esperienza stessa. Se poi si combinano questi nomi
in un certo tipo di sistema concettuale, ci si distacca ancora di più,
dacché cominciamo a cercare il nostro senso di coerenza nel sistema concettuale,
piuttosto che nella realtà stessa e nel nostro inserimento in essa. Ma,
fino a quando il sistema si riduce soltanto ad un tipo di rozza mappa segnata
con linee ipsometriche riflettenti il relativo significato emotivo e pratico
delle varie fisionomie ambientali, la sua capacità di spingerci fuori
dal mondo e dentro al circuitismo interiore
è assai limitata. È quando si comincia a trattare questo sistema
come fine a sé stesso - razionalizzandolo, ordinandolo, applicando ad
esso principi di logica e coerenza - che il vuoto comincia a farsi intorno a
noi. A questo punto, esso diventa un mondo interiore capace di staccarsi dal
nostro mondo tattile. Il che non vuoi dire che un sistema del genere non possa
essere una guida eccellente per afferrare certi aspetti del mondo reale e per
orientarli verso direzioni specifiche. Purtroppo, non ci troviamo già
più in esso - ci consideriamo esterni al mondo (generalmente, al di sopra
di esso), in atto di osservarlo. Di più, dacché ci siamo staccati
dal resto della totalità, la totalità è qualche cosa che
non ci è dato scorgere. Come osserva Bateson, «quasi necessariamente
la coscienza è cieca di fronte alla natura sistematica dell'uomo stesso.
La coscienza premeditata emette, dalla mente totale, sequenze che non possiedono
la struttura a loop caratteristica dell'intera struttura sistemica. »
In altre parole, è « obiettività » che ci impedisce
di vedere la totalità di cui siamo parte.
La conoscenza meccanica delle fisiologia del corpo, per esempio, è un
eccellente espediente per ottundere la consapevolezza delle proprie risposte
corporali e della loro relazione agli stimoli ambientali. Trattare il corpo
come oggetto porta fuori dal corpo e, conseguentemente, fuori dall'ambiente.
Ciò mette in grado chi si trova in un ambiente oppresso dall'ansia di
prendere una pillola, invece di urlare o di scappar via, ma tutto questo, a
sua volta, aumenta la possibilità che qualsiasi cosa venga immessa in
quell'ambiente non potrà essere regolata, il che esigerà ulteriore
anestesia. La nostra società è fatta di milioni di tali piccole
scelte e ciò ha bisogno di enormi quantitativi di anestetico a disposizione
dei suoi partecipanti.
Intendo dire che i concetti astratti facilitano l'obiettificazione di sé,
la quale, a sua volta, tende a deprivare l'ambiente costruito dall'uomo di quel
feedback negativo necessario ad impedirgli di comportarsi inumanamente. È
improbabile che un architetto che tratti i propri bisogni corporali e le proprie
risposte emotive come ostacoli fastidiosi al completamento del suo compito,
sia in grado di progettare un edificio piacevole da viverci, e lo stesso dicasi
dei pianificatori, dirigenti, tecnologi, insegnanti, e così via.
Non è possibile vivere senza sistemi concettuali, ma dobbiamo essere
consapevoli dei danni ai quali ci espongono.
La capacità dei sistemi concettuali di attrarci nel loro meccanismo e
di staccarci dalle connessioni organiche è motivo familiare di umorismo,
pathos e satira: l'ufficiale dell'esercito che tratta il figlio « proprio
come un qualsiasi soldato», il burocrate ancorato alla norma, l'ideologo
il cui sistema fideistico lo depriva dei piaceri semplici. Probabilmente, l'esempio
più classico è la nostra tendenza a perdere il contatto con i
nostri bisogni emotivi a fronte della logica economica, come nella frase, «
è così a buon
mercato che non ci si può permettere di non comprarlo. » È
proprio il potere di sopraffare l'immaginazione detenuto da simili considerazioni
puramente economiche che da credito al concetto secondo cui « il denaro
non può comprare la felicità. » Per principio, il denaro
può anche comprare la felicità, come qualsiasi altra cosa - se
non lo fa è perché la gente non l'utilizza in questo modo. Il
tipo di impegno necessario ad accumulare moneta seduce spesso le persone a rispondere
alla misura economica più che a quella emotiva. « È troppo
caro, » invece di, « Lo desidero tanto, » ovvero, «
È regalato, » invece di, « Non lo vorrei per nulla al mondo.
» La gente abbandona case alle quali ha dedicato decenni d'amore e d'energia
perché sono «troppo care da mantenersi,» passa anni di profonda
depressione, a meno che non muoia, come risposta alla perdita di condizioni
ambientali familiari e amate. Il ragionamento che sta dietro a un simile modo
d'agire è che il denaro, in virtù di ciò, si renderà
disponibile per beni e servizi di costo assai più ragionevole, anche
se questi ultimi non nutrono l'anima, per quanto gradevoli, se non necessari,
essi possano apparire. L'accettazione di criteri esterni di valore - cioè,l'utilizzazione
del denaro soprattutto per acquisirne di più, viene definita «
sensibilità » al denaro. La tendenza opposta, quella di utilizzare
il denaro
soprattutto per comprare la felicità o per soddisfare profondi bisogni
interiori viene generalmente definita « capriccio », « incoerenza
» o « irrazionalità » riguardo al denaro.
Rispondenza meccanica
Quantunque la rispondenza organica venga perduta attraverso l'evoluzione di
strutture formali e principi logici, ciò non si verifica per la capacità
degli esseri umani di rispondere all'influsso. Le illusioni dell'individualismo
ci rendono ciechi al fatto che un singolo essere umano sia nato come parte di
un sistema di interazione - per cui non può e non potrà mai essere
un'entità completa ed auto-sufficiente. Parte del messaggio genetico
di un essere umano è uno schema complesso di recettivita all'influsso,
soprattutto di altri esseri umani. L'individuo è come un ricettacolo
che esige un qualche messaggio estemo per completarsi. E programmato per imitare
ed adattarsi, anche se queste parole risultano detestabili. Anche quando la
rispondenza organica è affievolita, resta ancora la disponibilità
di reazione ai messaggi esterni. In assenza del canale originale, altri ne saranno
utilizzati. La sottomissione autoritaria è uno di questi canali, con
autorità simboliche (semafori, indicatori,
istruzioni scritte) vieppiù sostituite a quelle personali, col progredire
dell'anestesia. Un altro canale è l'ideologia: cioè, quell'istruzione
generale interiorizzata da cui è possibile dedurre logicamente regole
specifiche di comportamento e di atteggiamento.
Il problema inerente a questi canali impersonali di ortodossia - da me raggruppati
sotto il termine rispondenza meccanica - è che mancano di delicata messa
a punto. I sistemi logici tendono ad essere un po' troppo semplici Per esempio,
una porzione considerevole della creazione burocratica di norme è costituita
dagli sforzi per impedire che una singola circostanza avversa si verifichi nuovamente,
attraverso il rozzo espediente di eliminare quella certa categoria alla quale
essa appartiene. Uno scandalo pubblico o la minaccia di un processo assicureranno
senz'altro la promulgazione di nuovi regolamenti (ognuno dei quali erode la
vitalità dell'organizzazione) a garanzia contro un qualsiasi accadimento
la cui probabilità di ricorrere è infinitesimale. Se in una determinata
stanza accade uno scandalo, quest'ultima, per l'avvenire, sarà dichiarata
« fuori dei limiti »; se ciò deve essere dilazionato di qualche
ora, le porte verranno sigillate e si istituiranno controlli periodici. Se un
malversatore adopera inchiostro verde, l'inchiostro verde verrà bandito.
La sicurezza viene diligentemente perseguita con il futile espediente di utilizzare
reti
concettuali sempre più grosse per pescare determinati pesci sempre più
piccoli. Nessuno, nella storia del mondo, è mai riuscito a trovare una
formula generale che, in un qualsiasi dato contesto, garantisca la felicità
o eviti il male, tuttavia la ricerca prosegue, tanto è il desiderio di
libertà dall'ambiguità quotidiana.
Ma c'è un problema più grave inerente il dominio della legge se
confrontato con modi più personali e informali di controllo sociale L'obiettificazione
della moralità rende possibile ad un individuo di sentirsi morale o di
mitigare la colpa conformandosi ad un insieme di regole astratte, anche se è
in procinto di commettere un qualsiasi tipo di malvagità. Non esiste
comportamento tanto crudele o bizzarro che non possa essere giustificato nei
termini di un qualche principio perfettamente ragionevole, così come
non vi è località nel globo tanto « fuori mano » da
non potere essere raggiunta volando in linea retta in una qualsivoglia direzione.
Malauguratamente, non si può riprodurre su larga scala il tipo di controllo
sociale esistente nelle comunità semplici, sebbene un ritorno alla sua
completa caratterizzazione darebbe l'avvio, dappertutto e di nuovo, all' intero
processo storico. Però, anche le comunità semplici possiedono
qualche regola astratta, per cui sappiamo che anche là esistono già
i semi. Siamo inchiodati alla dimensione e siamo inchiodati a principi astratti.
Tuttavia, abbiamo bisogno di essere più chiaramente consapevoli dei pericoli
che essi pongono - gli umani hanno l'orribile debolezza di far virtù
di turpi necessità, consentendo, in tal modo, a esse di far sì
che il loro impatto sia più demoniaco del necessario.
L'ideologia dell'individualismo è un esempio di tale debolezza. Nulla
avrebbe potuto fare di più delle critiche social-popolari degli anni
cinquanta (Fromm, Riesman, Whyte e altri) sia per convincere la gente della
virtù della disconnessione, sia per spianare il sentiero alla rispondenza
meccanica. Suscitando lo spettro dell'immersione nella vita di gruppo - di perdere,
cioè, la propria coscienza narcisistica - esse hanno terrorizzato e svergognato
il prossimo, stimolandolo ad un perseguimento
ancora più frenetico di autonomia ed auto-sufficienza. In tal modo sconnessa,
una porzione ancora più grande di popolazione si è resa disponibile
per farsi agganciare al meccanismo impersonale della vita moderna. Gli Americani
possono essere tanto facilmente manipolati dalla pubblicità, proprio
perché sono individualisti. Sradicate dall'ordito sociale, le loro risposte
sociali sono alla costante ricerca di uno stimolo mancante al quale potersi
aggrappare. Una nidiata di anatroccoli privata della
madre si « impresse » su Konrad Lorenz tanto da seguirlo successivamente.
Gli umani, deprivati di comunità, possono, in certo senso, « imprimersi
» sulle norme, le macchine, le ideologie e le strutture burocratiche.
Le critiche contro la conformità, pertanto, hanno contribuito a determinare
esattamente ciò che stavano attaccando. Accumulando disprezzo sulle risposte
sociali fondamentali del genere umano, hanno ulteriormente contribuito al processo
di sconnessione dalla società, rendendo così la
popolazione ancor più vulnerabile alla manipolazione autoritaria e impersonale.
In quanto le forme in cui ortodossia e autoritarismo appaiono nella società
moderna sono un prodotto dell'ideologia di libertà e individualismo -
cioè, tentativi disperati e confusi di riempire il bucolasciato dal disinnesto
colpevolizzante, secondo cui ogni-uomo-do-vrebbe-lottare-per-essere-un-genio-solitario-testa-e-spalle-al-di-sopra-del-le-masse-indegne-gregarie-dipendenti.
L'illusione che l'individuo sia
un'entità indipendente minaccia quell'integrità inferiore dell'organismo,
radicata nell'interdipendenza. L'individuo è un adattamento dei modi
di relazionare. Senza un qualsiasi oggetto a disposizione di queste risposterelazionali,
egli è costretto ad allucinare o a sgretolarsi, così come la vittima
della deprivazione sensoriale. (L'eremita, ad esempio, si pone in relazione
con oggetti di fantasia - figure parentali, dèi, l'intera comunità,
o qualsiasi altra cosa, talvolta mascherati come porzioni del sé). In
altre parole, il distacco ha la probabilità di produrre tanto disintegrazione
interna, quanto ipercoinvolgimento.
Questa tendenza a considerare l'organismo individuale più come entità
che come processo, come terminale più che come condotto, ha portato ad
alcune norme culturali strane, quali l'alto valore posto sulle capacità
a restare soli - equivalente psichico dell'abilità a trattenere il respiro,
o a stare senza dormire o ad arrotolarsi in una ciambellina salata o a torturare
e alienare in altro modo il corpo a servizio della vanità. Premiare l'abilità
di un animale sociale a sfrondare il suo equipaggiamento biologico è
un po' come dire che l'uccello più virtuoso è quello che può
traforare una galleria attraverso la terra. Fritz Peris, padre della terapia
Gestalt, sosteneva che «crescere significa essere soli.» Egli, evidentemente,
non si accorgeva che questa era una violazione del suo punto di vista secondo
cui la terapia non dovrebbe consistere nell'ottenere un adattamento ad una società
ammalata. Eppure, ciò è quanto effettua esattamente la terapia
Gestalt con la maggiore efficacia. In una società fondata su rapporti
instabili, frammentari, transeunti, competitivi e scoordinati, l'approccio gestaltico
è uno strumento di sopravvivenza, sebbene contribuisca anche al mantenimento
dello status quo e lo incoraggi. C'è qualche cosa di un po' allucinante
nell'osservare 200 milioni di persone aderire servilmente, ed in maniera egualmente
infelice, ad una norma di indipendenza e di unicità personale.
La nostra era è stata inondata da fantasie letterarie, cinematiche e
video, di società superintegrate. Nella condizione attuale, appaiono
un tantino ridicole, come le fantasie di un uomo ipercontrollato la cui rabbia,
se mai esplodesse, risultasse omicida o distruttrice del mondo. C'è un
granello di verità in simili fantasie: precisamente, che il controllo
esagera quelle bramosie che sopprime. Ma c'è anche un granello di falsità,
in quanto la fantasia di forza esagerata può incoraggiare la soppressione
continua di un impulso perfettamente normale. Nei nostri libri-spauracchio (1984,
Brave New Worid, We, Fahrenheit 451), questo impulsoè la bramosia di
abbandonare la propria autonomia isolata per diventare parte di un qualche cosa.
Marcia Millman dimostra come, al di sotto dell'orrore superficiale di queste
fantasie, esista la segreta convinzione che la felicità si basi sulla
perdita del sé. Le società vengono dipinte in simili forme grottesche
(tutte sono anomalie sociologiche, contenenti molti tratti che potrebbero sorgere
soltanto in una società individualista) al fine di terrorizzarci dal
realizzare quella bramosia anche nella sua forma più blanda.
Dramma e distacco
Anche il dramma ha portato il suo contributo a questo successo, servendo sia
come sostituto alla vita comunitaria, sia come veicolo all'erosione di essa.
Così come lo conosciamo, il dramma inizia quando finisce la vita della
strada nella comunità - quando una persona non può più
presumere di potersi fondere con la gente che vorrebbe vedere nel
corso normale di una giornata.
La famiglia è la sorgente più potente del dramma. I grandi drammi
sono prevalentemente costituiti da problemi familiari. In una comunità
semplice, quando si verifica una crisi familiare, la gente si precipita nella
strada e la comunità le si raduna attorno per mediare, nutrire e assorbire.
Quando la comunità si amplia e diventa meno integrata, non muta affatto
la capacità della famiglia di creare il dramma, però quest'ultimo
non può essere più compartecipato. La comunità si privatizza,
la famiglia viene
isolata, la strada rimane deserta. È a questo punto che comincia ad affiorare
il dramma nella forma a noi nota - come se la gente dovesse disporre di un qualche
luogo dove andare a sfogare la sua rispondenza collettiva. Nel buco lasciato
dalla famiglia ritiratasi entro le mura domestiche viene rovesciata un scena
drammatica, posta in esecuzione da altri. E' possibile osservare più
chiaramente questa transizione nelle tragedie greche che, in genere, sono ambientate
nella strada, fuori del focolare domestico. In effetti, le uccisioni e le mulilazioni,
di solito si verificano dentro la casa, dietro le quinte, per essere riferite
al coro, come
se questo e l'uditorio fossero villici riuniti nella strada. Atene, nel periodo
in cui la tragedia greca raggiunse il vertice, era stata testimone di una rapida
urbanizzazione, con una contrazione e un isolamento dell'unitàfamiliare
non dissimili da quelli da noi sperimentati durante il secolo scorso.Gli attori,
qualche volta, avevano tentato di esercitare il loro mestiere in comunità
che non avevano perduto la rispondenza sociale, ma con risultati negativi. La
gente semplice dimentica l'artificiosità dell'ambiente
ed è propensa ad entrare in azione. In un ambiente del genere, un furfante
rischia la pelle. Noi sorridiamo con condiscendenza ad un simile comportamento,
ma sono proprio questa rispondenza e questo senso di interconnessione a rendere
tali comunità ambienti sociali nutritivi. Non è che la gente sia
infantile o stupida, soltanto che i suoi impulsi sociali funzionano ancora in
modo intenso e automatico, laddove i nostri sono atrofizzati. C'è da
supporre che abbiamo sostituito a questa rispondenza
un comportamento razionale e giudizioso, ma è sufficiente uno sguardo
per rendersi conto di quanto esso funzioni miseramente. Corti d'appello, ospedali
mentali, prigioni, case di cura sono soltanto qualcuno dei meccanismi tardi,
impersonali, inumani e, generalmente, piuttosto dilapidati, da noi creati per
rimpiazzare questa ingenua rispondenza.
Il dramma - sia esso reale, in film o in video è uno dei modi
per rendere insensibile questa risposta. Siamo condizionati assai precocemente
ad osservare in modo passivo gente che viene bastonata e uccisa, o sta soffrendo
in qualunque maniera concepibile. Il successo del dramma nell'anestetizzare
i nostri impulsi sociali è evidente in ogni angolo di strada di una qualsiasi
città. Il teatro ci aiuta ad addestrarci alla non rispondenza affinchè
quelle istituzioni la cui esistenza dipende dalla nostra narcosi sociale possano
sopravvivere.
È il teatro stesso che ha cominciato a svilupparsi come antidoto a questa
condizione, non senza resistenza notevole da parte del suo uditorio incallito.
Il teatro ambientale sembra centrare con esattezza questo problema - non soltanto
nei suoi tentativi di impegnare l'uditorio, ma nel suo impulso di ritornare
alla strada.
Libertà e volere
Quanto più esaminiamo da vicino la ricerca della libertà, con
tanto maggior sospetto essa appare una ricerca di sicurezza interpersonale -
di un ambiente umano prevedibile e privo di rischi. Ciò che il tossicomane
delle libertà cerca è il controllo e l'ordine attraverso il bloccaggio
del feedback coartante o disturbante. Libertà significa massimizzare
il livello di controllo del proprio input, il che è un modo diverso per
dire che sono maggiormente « libero » quando la forma e il contenuto
di ciò che incontro sono io stesso. La libertà risulta essere
così implicitamente illusoria, dacché, in effetti, non si può
alterare l'interdipendenza della materia vivente invero, di tutta l'energia
ma si può alterare soltanto la propria percezione di essa. Ciò,
come osserva David Bakan, è il paradosso della dominanza: « Al
fine di dominare, l'ego domina le cose al di fuori
della loro esistenza. Eppure, spesso, è proprio ciò che viene
dominato ad insorgere per affermare sè stesso, per cui non esiste alcune
dominanza proprio là dove veniva cercata. In breve, la libertà
è ciò di cui si rallegra Kitty Genovese: libertà di essere
comodamente pugnalato a morte, per un'ora, in una strada di New York, senza
che qualche ficcanaso provinciale si intrufoli nei tuoi affari privati.
La capacità di simbolizzare viene, spesso, descritta come la liberatirice
dell'umanità da quella prigione istintuale in cui tutti gli altri animali
sono per sempre racchiusi. Questa libertà è libertà della
mente la libertà che consente ad un uomo di morire di fame in
mezzo all'abbondanza e di saziarsi di sogni - quella libertà manifesta
nel termine « modo d'esprimersi con accento totalmente controllato. »
II meccanismo che ha posto in grado l'umanità di superare le altre specie
nella favola dell'evoluzione (« cosi l'uomo si evolvette dagli ominidi
e visse per sempre felice e contento ») è lo stesso che Laing descrive
come radice del processo schizoide. È la capacità di ignorare
l'informazione derivante dal corpo o dall'ambiente a favore di un circuitismo
concettuale. Soltanto che, mentre colui che si libera in tal modo da un amico
resta incatenato ai propri
bisogni, alle proprie perdite e alle proprie pene; colui che si libera in tal
modo da un nemico è confinato all'incertezza, alla paura e alla paranoia.
Ho avanzato l'ipotesi secondo cui la capacità umana di creare e maneggiare
simboli ha aperto la porta alla patologia, e che ciò è stato accresciuto
sia dall'evoluzione della cultura, sia dalla capacità di organizzare
i simboli secondo una gerarchia d'astrazione. Sin qui, sembra che stiamo trattando
realizzazioni irreversibili e, forse, essenziali. Dati questi pericoli appare
vitale, per la sopravvivenza della specie, che essa nutra un impegno avido a
mantenere la consapevolezza della interconnessione organica, dacché è
sempre in acuto pericolo di perderla. Fondare l'individuo sul qui e adesso
nella realtà concreta ed immediata è l'antidoto al collasso
schizoide, e lo stesso dicasi a livello culturale. Data un'inevitabile suscettibilità
alle risposte schizoidi, abbiamo bisogno di guardarci dagli incoraggiamenti
gratuiti. Il dualismo mente-corpo che ha dominato il pensiero occidentale (e
altrettanto dicasi di quello orientale) è, chiaramente, uno di questi;
poche idee forniscono un contesto più fertile
allo sviluppo schizoide dell'idea secondo cui lo spinto e indipendente dalla
carne. Un altro, ancora più potente, è l'affioramento di schemi
culturali che incoraggiano l'ipertrofìa del volere. .
Come fa notare Alexander Lowen, la volontà è un meccanismo d'emergenza
In condizioni ordinarie, il principio controllore dell organismo è il
piacere. Il piacere corporeo non integra soltanto 1'organismo stesso, ma mantiene
l'armonia nel sistema organismo-ambiente. II comportamento basato sul piacere,
osserva Lowen, appare coordinato e privo di sforzo laddove il comportamento
basato sul volere tende ad essere traballante rigido e meccanico. L'individuo
schizoide, la cui vita intera
propende ad essere governata dalla volontà, non inibisce soltanto gli
impulsi ma, al fine di acquisire tale inibizione, isola i canali di informazione
lungo i quali questi impulsi normalmente viaggiano, in modo che trova difficoltà
a sapere ciò che desidera e tende a basare tutto il suo comportamento
sui principi. « Normalmente si mangia quando si ha fame,ma, nello stato
schizoide, si va a pranzo perchè è mezzogiorno.....L'individuo
schizoide si impegna negli sports per migliorare il proprio
controllo del corpo e non per il piacere dell'attività o del movimento>>.
Come meccanismo d'emergenza, il potere della volontà è un utile
scorciatoia biologica, quando tutti gli altri mezzi hanno fallito. I normali
desideri di piacere e sicurezza vengono ingannati in modo da far si che si compia
l'innaturale. Potremmo considerare questo meccanismo come un modo per riportare
l'organismo in sincronia con il proprio ambiente quando questo, per una qualche
ragione, è uscito dai ranghi. Tuttavia, l'utilizzazione persistente del
volere, porta essa stessa fuori sincronia e
tende ad incoraggiare una propria ulteriore utilizzazione, nel tenativo vieppiù
auto-frustrante di ristabilirla. Questa utilizzazione del potere della volontà
nelle attività normali, routinarie, è diagnostica di condizione
schizoide: «Quando la volontà diventa meccanismo primario d'azione
rimuovendo le normali forze motivanti del piacere, l' individuo funziona in
maniera schizoide. » (Lowen) Dacché nella nostra società
questa tendenza è più una regola che un'eccezione, diventa ragionevole
parlare di società
schizoide.
Il tentativo futile di ottenere la sincronia è, in certo modo, responsabile
del nostro sforzo di «vivere da orologio». Sfortunatamente, siamofuori
fase col resto del sistema ecologico - non perche andiamo troppo piano, ma perché
procediamo troppo in fretta: ecco perche i tentativi di « riuscire a raggiungere
» sono auto-frustranti. Vivere da orologio è, con tutta la sua
assurdità, un tentativo genuino di conservare la connessione. Ciò
che si trascura è che la connessione fra organismi e fra organismi e
ambiente esiste già. Questo è il caratteristico modo di fare schizoide:
perdere consapevolezza di una connessione concreta e tentare disperatamente
di costruirne, come sostituto, una concettuale. Così gli orologi meccanici
prendono il posto di quelli biologici. Così il carattere schizoide non
può capire come il corpo possa funzionare per conto proprio, senza che
lui lo voglia. E così il politico ritiene che non si verificherà
alcun cambiamento sociale senza legislazione.
Freud disse una volta che la civiltà è il procedimento di sostituire
alla gioia la sicurezza e Lowen sembra ribadire questo concetto quandooppone
il senso primitivo di unità al modo di pensare lineare causa-effetto
dei popoli occidentali. Quest'ultimo orientamento fornisce, sì, sicurezza
contro le vicissitudini dell'esperienza, arguisce Lowen, ma a spese di un sentimento
d'armonia con natura e corpo. Soltanto che, nel creare i tipi di problemi da
noi ora affrontati, gli schemi culturali che esagerano il controllo della volontà
e dell'ego vanno assai al di là degli effetti della costumanza a modi
urbani.
Lowen considera l'evoluzione dell'ego umano un parallelo del corso tipico del
leader eroico immesso per proteggere il popolo che, poi, usurpa il potere e
diventa un tiranno. Egli fa notare che, mentre la funzione addotta dell'ego
è di verifìcare la realtà, in concreto, invece, essa è
ampiamente impegnata a dettare la realtà. « L'ego crea quella discontinuità
che poi tenta di superare con conoscenza e vocaboli. » La vita diventa
esercizio di potere, controllo e auto-inganno, anziché un gradevole interludio
di organismi interdipendenti. Mentre idealmente l'ego è tenuto in scacco
cioè, la sensazione corporea bilancia l'immagine dell'ego, i sentimenti
bilanciano le idee, i bisogni del piacere bilanciano i bisogni del potere, e
così via questi scacchi e questi bilanciamenti sprofondano in
una cultura che apprezza la conoscenza più del sentimento, il potere
più del piacere e la mente più del corpo. »
L'evoluzione culturale procede parallelamente a questo processo. Fra gli animali
più inferiori, la cultura è limitata ad una esigua porzione di
conoscenza acquisita e trasmessa circa i veleni, e così via, e ad alcune
schematizzazioni di rapporti appresi. A questo livello, la cultura si limita
meramente a mediare in modo utile fra organismo e realtà ma, a livello
umano, la cultura, come l'ego, assume la funzione di definire e dettare la realtà
per cui le illusioni possono essere ampiamente partecipate.
La cultura tende altresì a rafforzare le propensioni tiranniche dell'ego
attraverso un'eccedenza di feedback negativo. La natura risponde al comportamento
esploratorio in modo neutro: movimenti corretti ottengono successo, scorretti
ottengono fallimento. Il fallimento, in altre parole, costituisce punizione
adeguata. L'individuo che esplora non è soggetto ad alcun'altra punizione
per un suo atteggiamento scorretto.
Le culture, invece, non sono così gentili. Un individuo che fa uno sbaglio
culturale, un errore sociale, viene svergognato, umiliato, minacciato o fatto
sentire colpevole. Il motivo è ovvio: dacché la conoscenza culturale
non ha validità intrinseca, non può basarsi su premi e punizioni
intrinseche Le leggi culturali sono arbitrarie e, per garantire 1'apprendimento
debbono, pertanto, essere rafforzate da un eccesso di feedback negativo. Nessuno
ha necessità di essere ridicolizzato o umiliato
nell'apprendimento della futilità di accendere un fuoco con foghe umide
o di utilizzare un pezzo di schisto come utensile. Questi errori risultanoauto-punitivi
attraverso il fallimento, un errore di etichetta non lo è.
Il fine di punire un individuo per aver fatto un errore è, ovviamente,
di scoraggiare il comportamento esploratorio e di premiare la concettualizzazione.
La concettualizzazione è un tipo di meccanismo di sicurezza - un espediente
per anticipare i risultanti e ridurre i rischi. Ciò, a sua volta facilita
l'apprendimento di quel tipo di sistemi automaticamente autoconvalidanti di
cui Lowen parla.
Cultura tecnologica
Si supera ancora un'altra soglia quando i processi schizoidi sopra descritti
vengono abbinati all'abilità di dare forma concreta all' immagine concettuale
- permettendo, nei termini di Laing, l'organizzazione di un sistema di falso-sé
attorno ad una realtà materiale. Lo sviluppo di un sè interiore
disincarnato è assai facilitato dalla presenza di un falso sè
esternamente incarnato.
Nel pensiero contemporaneo c'è molta confusione riguardo a questo problema.
Quella degli Stati Uniti, ad esempio, viene descritta come cultura «materialistica»,
apparentemente perché inondata da prodotti materiali lavorati. Eppure,
con tutta probabilità, non è mai esistito popolo che abbia effettuato
un minore investimento di emotività in possedimenti materiali specifici.
Gli Americani, quando arrivano a possedere sono, di regola, platonici e sono
più attaccati all'idea o alla forma di una casa, di
un automobile, di una sedia o di un vaso che all'oggetto specifico. Basta soltanto
osservare la cura, la devozione e il significato
umano che persone appartenenti a società meno « sviluppate »
investono in alcuni possedimenti per comprendere bene quanto sia superficiale
il nostro supposto materialismo. In parte, ovviamente, questa è semplice
questione di forma. L'istinto materno degli animali è funzione inversa
della dimensione della lettiera, e, analogamente, non si può essere tanto
intensamente coinvolti con centinaia di oggetti come lo si è con due
o tre. Egualmente importante, tuttavia, è il nostro orientamento utilitaristico
verso gli oggetti e la loro sostituibilità. La produzione di massa si
basa su un atteggiamento concettuale verso gli oggetti che, a sua volta, incoraggia.È
molto più difficile rendere personale ed amare una casa, una camicia
o un'auto virtualmente identiche a tante altre, che essere liberi di sostituirle
quanto prima. Il valore da noi attribuito ai possedimenti tende a basarsi su
criteri quantitativi (denaro, prestigio) che riducono tutte le differenze ad
un singolo standard. Ciò, a sua volta, facilita un atteggiamento in cui
gli
oggetti non hanno realtà indipendente, ma sono mere manifestazioni dei
nostri processi concettuali.
Il sé, dice Laing, « cerca, attraverso il disincorporamento, di
trascendere il mondo per sentirsi, conseguentemente, sicuro. Ma il sé
è soggetto ad uno sviluppo che percepisce esterno ad ogni esperienza
ed attività. Diventa un vuoto. Ogni cosa è lì intorno,
all'esterno; nulla è qui, all'interno. » Ma che cosa succede se
la sola parte del mondo esterno, di cui il sé è partecipe, è
costituita da immagini fantastiche incorporate? Non si verificherà lo
stesso vuoto? Dacché si sta continuamente esalando il proprio scarico,
deve conseguirne un analogo impoverimento, anche se, poiché la persona
appare pienamente impegnata col suo ambiente, l'illusione della normalità
può essere, entro certi limiti, facilmente mantenuta.
Laing dice che nella condizione schizoide « il sé può collegarsi
con immediatezza ad un oggetto che sia oggetto della propria immaginazione o
memoria, ma non a una persona reale. » Ciò dà un senso illusorio
di libertà, dacché non si può essere lesi da un'immagine;
ma, ovviamente, non si può neanche esserne gratificati. « II rapporto
del sé con l'altro è sempre in stato di rimozione. » Ma,
per quanto la tecnica ci abbia fornito di immagini altamente tangibili che predefiniscono
la maggior parte dei
nostri rapporti, noi stiamo vivendo nella condizione schizoide, dacché
è virtualmente impossibile sperimentare un rapporto adulto che non sia
stato previsto e ripetuto con i media. I media mediano i nostri incontri interpersonali.
Di più, ciò che la tecnologia delle comunicazioni effettua simbolicamente,
altre tecnologie effettuano in concreto. Laing fa notare come, in una persona
non schizoide, soltanto un certo numero delle di lui, o di lei, azioni è
meccanico. Ma la cultura occidentale ha progressivamente espanso questo dominio
meccanico al punto in cui tutti i cittadini medi di una società tecnologica
possono sentire, in modo schizoide, di star vivendo tramite le loro azioni meccaniche,
piuttosto che il contrario. Mangiano, dormono, si svegliano, lavorano e smettono
di lavorare quando i ritrovati meccanici dicono loro che è il momento
di farlo. Ingurgitano
perfino cibi lassativi per mantenere « programmati » anche i processi
d'eliminazione. E tutto ciò diventa talmente doloroso per loro, da farli
ricercare l'assistenza psichiatrica, per poi scoprire che anche i loro incontri
terapeutici sono determinati non dall'intensità della loro angoscia,
nè dalla disponibilità ad affrontare i loro problemi, ma concordemente
ad un orario meccanicamente prestabilito. La cultura tecnologica, in altre parole,
contribuisce a generare un sistema di falso sé anche in assenza di patologia
individuale. La stessa ricerca di sicurezza e libertà che motiva il carattere
schizoide dell'analisi di
Laing ha prodotto, nella cultura moderna, lo stesso tipo di autarchia personale,
la stessa atrofia interna, lo stesso comportamento da robot, le stesse sensazioni
di torpore, falsità e irrealtà interiori. C'è la stessa
bramosia di intimità, esperienza, stimolazione, vita, unitamente alla
stessa paura che ogni incontro genuinamente soddisfacente faccia esplodere all'interno
la personalità. David Bakan osserva come « molta della fame contemporanea
di significatività sia basata sulla monotonia di ciò chel'ego
consente e sulla paura profonda, ma non ammessa, di ciò che non èconsentito.
»
Questo stimolo ambivalente a prendere contatto con la realta si rispecchia nei
tentativi dei media di far derivare la realtà da eventi drammatici. La
descrizione che Laing fa di una delle sue pazienti potrebbe essere applicata
con pochissima fatica alla rete televisiva: « Se qualcuno le dice qualche
cosa che lei classifica "reale", essa dirà, "Ci penserò";
e comincia a ripetersi sempre più la parola o la frase, nella speranza
che un po' della realtà dell'espressione si imprima in lei. »
II fallimento di questi espedienti è tanto visibile nell'irrigidimento
e nella disintegrazione della nostra società, quanto nell'individuo francamente
psicotico. «L'ironia tragica è che, alla fine, nessun'ansia viene
evitata. » - in quanto la tecnologia ha creato danni peggiori di quanti
ne abbia rimossi. « Nella fuga dal rischio di essere ucciso, (il sé)
muore » - la nostra società considera la minaccia come derivante
dal di fuori, però è in pericolo di essere distrutta dal proprio
sistema difensivo. In una società
tecnologica, ognuno « è in relazione principalmente con gli oggetti
delle (sue) fantasie. »
Se la dinamica descritta da Laing può essere applicata alla cultura tecnologica,
possiamo attenderci i seguenti sviluppi:
1) II sistema tecnologico diventerà più esteso e autonomo;
2) Coloro che vi sono immischiati saranno « pieni di odio nella (loro)
invidia per la vita ricca, vivace e abbondante che si trova sempre altrove;
sempre là, mai qua »;
3) Dacché, comunque, questa vita è troppo terrorizzante da afferrarsi
e la bramosia di essa troppo acuta per essere denegata, tenteranno « di
distruggere il mondo riducendolo in polvere e cenere, senza assimilarlo »;
4) La realtà sarà corteggiata con mezzi sadici e masochisti -
mettendo a prova la propria realtà attraverso quegli effetti dolorosi
che si è capaci a produrre in altri (bombardo, quindi sono), o assogettandosi
a dolore e a rischi terrificanti.
Nell'individuo, il processo culmina in un'esplosione psicotica, che Laing considera
come una rivoluzione della mente - la dissoluzione di una struttura decaduta
in un oceano di possibilità senza confini. Talvolta, dall'immersione,
emerge una nuova struttura, più ricca e più flessibile; talvolta
l'individuo annega. In tal modo, quindi, la cultura occidentale si
sottomette al caos, alla confusione e al cataclisma prima che affiori un nuovo
sistema vitale, se, in effetti, affiorerà mai.
Soltanto chi è affascinato da fantasie di Gotterdammerung cercherà
attivamente un tale risultato, che potrebbe ben ridurre la Nave-spaziale Terra
a cenere errante. Essendoci ancora tempo per cambiare, appare assurdo non tentarlo.
E se è scritto che la nostra specie debba morire, almeno avremo un'idea
più chiara del perché.
Sappiamo che, staccandoci dal resto del sistema organico di cui siamo parte
e ritirandoci nell'ambito della torretta della nostra sicurezza schizoide tecnologicamente
isolata, abbiamo « battuto » la natura, nello stesso modo in cui
i denti ci sconfiggono quando mordono la lingua. È incerto se mai una
specie possa evolvere con una conoscenza delle cose (in contrapposizione ad
una comprensione dei rapporti) eguale alla nostra, senza seguire lo stesso corso.
In ogni caso, questa linea di « progresso » è
arrivata ad un punto morto - i pensatori più raffinati di tutti i campi
stanno affaccendandosi a mimare i processi del pensiero relazionale dei popoli
primitivi. Dobbiamo semplicemente accettare la propensione all'ideazione schizoide,
che è parte della condizione umana, e tentare di isolare quegli schemi
che ingenerano quel tipo di eruzione patologica totalmente germogliata in cui
attualmente viviamo.
Noi possiamo riandare alla nostra infanzia e giovinezza e dire, « In questo
o quell'anno, sono stato tanto ammalato da morire. » Ma una malattia sociale
può abbracciare così tanti periodi d'esistenze individuali, anche
nella sua fase acuta, da non potere essere conseguentemente distinta dalla normalità
da parte di coloro che vivono in essa, in quanto essa è tutto ciò
che conoscono. Ciò rende più difficile, ma anche più necessario,
il nostro compito, per timore di adattarci ancora di più alla
patologia in cui ci troviamo.