D'altro canto, un segmento specializzato può cambiare senza separazione
dal tutto. Il suo « linguaggio » internazionale crea intoppo,
disordine, man- canza di piena articolazione col sistema totale, nonché
possibilità di
evoluzione indipendente all'interno del proprio sé. La qualità
sempre più caotica del sistema determina crescente flessibilità.
In queste condizioni, il sistema deve lavorare più sodo per conservare
la propria integrità, e ciò assumerà la forma di
tentativo di estensione della gamma del suo sistema di linguaggio astratto,
o di restrizione del movimento indipendente dei sottosistemi. La nostra
concettualizzazione della dinamica del profeta deve, pertanto, essere
elaborata in tre forme differenti. La prima e la più semplice è
stata già descritta. Un sistema omogeneo si separa da un segmento
di sé indifferenziato; in un ambiente estraneo, il segmento sviluppa
una nuova struttura e, se essa ha valore per il sistema parente, quest'ultimo
reincorpora il segmento modificato e, perciò stesso, modifica
la propria struttura. La seconda forma implica un sistema differenziato.
In questo caso viene estruso un segmento specializzato, per cui non è
necessario un ambiente estraneo, dacché il segmento è già
differente dalla totalità. Tuttavia, per sopravvivere, il segmento
specializzato deve completarsi , deve sviluppare modi per far fronte a
bisogni cui già facevano fronte altri segmenti specializzati. Se
riuscirà a diventare un tutto, esso assomiglierà
soltanto in parte al sistema parente, dacché l'articolazione dei
vari segmenti differirà, di necessità, in accordo con le
circostanze particolari della sua storia, della sua specializzazione originaria,
della natura del suo linguaggio privato, delle condizioni della sua auto-generalizzazione.
La terza forma è la divisione stessa del lavoro, anche quando estrusione
e reincorporazione non si verificano. Ogni segmento di un sistema differenziato
è, in effetti, un profeta, ma il deserto è all'interno:
un prodotto, cioè, della sua diversità di linguaggio. Nella
divisione del lavoro, ogni segmento si trova ritto con la testa nel vuoto
e i piedi saldamente piantati nel sistema parente. Quest'ultimo, occasionalmente,
permette di essere penetrato da quel tipo di meta-informazione che revisionerebbe
il suo circuitismo, ma ciò è raro. Parlando del tutto in
via generale, il cambiamento viene fatto procedere nel sistema parente
attraverso i suoi sforzi per mantenere l'integrità a fronte del
caos generato dall'evoluzione dei suoi componenti specializzati. La divisione
del lavoro, quindi, è un tipo di formazione di compromesso in cui
tutti sono profeti che però vengono tenuti a casa. Nel sistema
indifferenziato, la flessibilità adattiva viene sacrificata all'integrità.
Cioè a dire, l'adattamento è reso problematico, mentre l'integrità
è data per scontata. Con la divisione del lavoro si ottiene il
contrario: l'adattamento è dato per scontato e l'integrità
diventa problematica. Sarebbe bello dire che quello che sperimentiamo
oggi è puramente uno stato in cui la divisione del lavoro è
diventata altamente elaborata a spese dell'integrità, per cui comincia
a correggersi. Ma il problema è più complicato. Nel nostro
sistema, ognuno è profeta, ma i profeti non vengono tenuti a casa.
Ciò vuol dire che non è soltanto la funzione del
profeta ad essere stata generalizzata, ma anche la sua mentalità.
La divisione del lavoro minimizza l'autonomia fisica dei profeti, mentre
ne massimizza il numero. Nel nostro sistema, il numero, l'autonomia fisica
e l'autonomia di significato sono tutti massimizzati. È come se,
nella fase di diffusione e di democratizzazione della dinamica del profeta,
non venisse incorporato soltanto il messaggio, ma il processo stesso.
Ciò che si cerca non è il nuovo circuitismo sviluppato da
ogni profeta, ma il suo status particolare.
La rivoluzione patriarcale
Questo stato di cose deve molto a quella che si potrebbe chiamare rivoluzione
patriarcale: all'affioramento di un complesso sistema culturale che esercita
il potere di controllo su di una società, dall'attività
quotidiana della quale le donne sono ampiamente escluse. C'è chi
dimostra in concreto come l'attuale sistema (decadente) di dominanza maschile
sulle donne sia « naturale ». Dacché esso non è
certamente universale fra gli individui, nè fra le società
umane, nè fra le altre specie, una simile affermazione è
molto ridicola. In natura si possono trovare esempi di quasi tutto, per
cui chiunque tenti di sostenere la propria posizione facendo notare il
modo in cui i babbuini trattano i
rapporti fra i sessi, deve essere pronto ad ascoltare la trattazione sulla
mantide religiosa e sulla vedova nera, o, come minimo, sul meno sessista
gibbone. Il fatto si è che non esiste relazione naturale. Attraverso
coppie individuali, società e specie, è possibile trovare
una grande varietà di adattamenti, ognuno dei quali ha benefici
e costi, e ognuno dei quali può comodamente inserirsi in un più
ampio schema di funzioni. Se parlo di rivoluzione patriarcale, pertanto,
ciò non intende implicare che la patriarchia, come l'ho definita,
sia « innaturale » ma soltanto che, nella storia della
specie, è un fenomeno abbastanza recente. Desidero, altresì,
evitare ogni insinuazione secondo cui la condizione che ha preceduto questa
rivoluzione sia stata una qualche sorta di
matriarchia. Tutte le forme sociali diventano fragili quando diventano
estreme, e tutte le patriarchie esagerate sono state afflitte dal terrore
penetrante del potere femminile. Attraverso questa ottica, la relativa
eguaglianza sessuale di una tribù vicina o conquistata tende ad
assumere ipertoni sinistri. La supposizione più dotta che possiamo
fare è che la tipica condizione primordiale fosse di rozza eguaglianza.
Anche se oggi alcune tribù estremamente «primitive»
escludono le donne da gran parte della vita rituale, le reali discrepanze
di potere esigono sempre un livello di sussistenza piuttosto elevato.
Infine, il termine « rivoluzione » è un po' fuorviante,
in quanto comporta un rapido trapasso di un certo tipo. Nel nostro caso,
invece, il trapasso è stato estremamente graduale, verificandosi
esso lungo un arco di parecchi secoli. La patriarchia, che appare in tutto
il mondo sotto svariate forme, è
stata un'invenzione culturale di una certa importanza, con ovvi benefici
e ancor più ovvi inconvenienti. La concessione del potere ad un
gruppo di specialisti significa elevazione di alcuni tratti necessari
ed atrofizzazione di
altri. Lo sviluppo di un elevato grado di specializzazione richiede un
certo quantitativo di tempo libero. H.R. Hays fa notare come, nelle società
molto semplici, le donne abbiano grande energia creativa e che, non appena
una società giunge al punto in cui una data funzione, quale l'arte
della ceramica, può essere consegnata a specialisti, essa viene
trasferita agli uomini. Gli uomini hanno portato via alle donne un campo
dietro l'altro, non appena appariva loro chiaro che status e prestigio
potevano derivare da un'attività specializzata superiore. Ciò
lo possiamo vedere anche nella nostra società, in cui gli uomini
sono diventati capi cuoco e ostetrici. Pur senza i tempo, l'energia e
la fame di gloria per farne una specialità a tempo pieno, è
del tutto possibile che i cuochi migliori e i migliori ceramisti della
storia siano proprio state quelle stesse donne, morte sconosciute e non
riconosciute al di fuori della cerchia domestica e del vicinato. È
altresì del tutto possibile che nessuna di esse avesse bisogno
di un qualsiasi riconoscimento da parte delle persone con cui non aveva
personale collegamento, pur sentendosi molto svantaggiata e oppressa nel
suo ruolo di donna. Parlando in generale, sono stati gli uomini ad essersi
sentiti spinti a farsi strada in ogni genere di abilità relativa
ad un'occupazione specializzata da cui potessero trarre gloria.
La rivoluzione patriarcale non fu la « causa » della specializzazione,
ma ne fu un sottoprodotto. Nella conservazione della specie, gli uomini
svolgono un ruolo meno essenziale delle donne, per cui tale perifericità
costituisce un grande vantaggio nell'evoluzione sociale. Come è
stato suggerito altrove, è il disimpegnato che si trova nella condizione
migliore per trarre vantaggio dalle situazioni in via di trasformazione
o dalle innovazioni culturali. Essendo meno legato alle funzioni essenziali
di mantenimento, gli uomini di alcune società primitive ebbero
tempo e impegno per specializzarsi, inventare e crearsi ulteriore tempo
libero. La dominanza emersa nella rivoluzione patriarcale si basò
sulla non importanza. In effetti, proprio per la stessa ragione, le donne
stanno ora
cominciando ad acquisire potere. Come gli uomini diventano dominanti in
quanto meno impegnati (e importanti) nelle comuni funzioni quotidiane
della vita primitiva, così le donne, oggi, sono meno impegnate
ed importanti nella cultura meccanizzata creata dagli uomini. Sono le
donne a trovarsi nella posizione migliore per prendere le redini di una
cultura più orientata al piacere, più assorbita nell'estetica
e più orientata all'amore. Gli uomini possono essere, sì,
ideologi della nostra cultura futura, ma, come gruppo, sono troppo assorbiti
nelle etiche lavorative e machiste per gioire profondamente di una qualsiasi
cosa. Inoltre, chi tenta di far carriera al di fuori dell'edonismo divorzia
da ogni tipo di funzione di mantenimento e diventa un parassita. Sono
le donne ad aver conservato meglio il senso d'equilibrio primitivo e ad
essere più capaci di unire all'attività ordinaria delle
necessarie funzioni di conservazione un orientamento verso l'amore e il
piacere. È assai interessante la forma particolare di specializzazione
adottata
dagli uomini, in quanto riproduce il contratto universale fra persone
di status sociale diverso. Gli uomini, nei rapporti con le donne, hanno
assunto la posizione del guerriero-aristocratico nei confronti del villico:
«Se mi nutri, ti proteggerò». Quanto prima, ovviamente,
ogni contratto protezionistico diventa ricatto protezionistico: «
Dammi ciò che desidero e ti proteggerò contro di me».
In questa sede, però, ci interessano soprattutto i risultati della
rivoluzione patriarcale. Se gli uomini sono stati i profeti, quale è
stato il messaggio? Essi svilupparono parecchi pezzetti di circuitismo
nuovo, di cui i più notevoli sono stati l'ethos guerriero e la
civiltà industriale. In entrambi i casi acquisirono le loro innovazioni
attraverso l'espediente schizoide di ottundere i loro sentimenti e di
sostituire alla sensibilità corporea il meccanismo d'emergenza
della volontà. Il contributo culturale degli specialisti maschi
fu il distacco della libido dai rapporti emotivi e dal piacere fisico,
nonché l'investimento di questa libido in occupazioni e acquisizioni
narcisistiche, nel lavoro, nel potere e nella gloria. Sfortunatamente,
nessuna invenzione sociale è priva di costi, malgrado la nostra
mitologia di progresso. Questo impegno maschile in occupazioni narcisistiche
fu comprato a prezzo di una diminuita capacità di tolleranza della
stimolazione al piacere. Il piacere diventò, per gli uomini, sempre
più una questione di rilassamento di tensione: amare, toccare,
accarezzare, tutto fu massicciamente subordinato ad un'enfasi esagerata
dell'orgasmo. Ponendo un grosso investimento nelle occupazioni egoidi,
gli uomini divennero sensualmente zoppi rispetto alle donne. Anziché
tentare di rettificare questa inferiorità o di cercare di accettarla
come prezzo malaugurato delle loro ambizioni culturali, essi cercarono
di azzoppare allo stesso modo le donne. La loro inferiorità sessuale
era elemento di disturbo, e non puramente a causa della riduzione della
loro capacità al piacere, ma a causa della ferita narcisistica
determinata da una qualunque inferiorità intuita. La storia delle
consuetudini sessuali è risultata essere una lunga serie di tentativi
ingegnosi per ridurre le donne ad una condizione tale per cui questa ferita
non si facesse sentire. Dalla castità forzata all'inculcazione
di bizzarre credenze circa i loro corpi, alla critica della loro incapacità
ad abbreviare il loro piacere in rapporto a quello degli uomini, le donne
furono indotte a costituire il territorio di
caccia più squallido, allo scopo di mitigare questa ferita auto-inflitta
alla vanità maschile. I cambiamenti nelle consuetudini sessuali
riguardarono soprattutto ciò che veniva considerato auspicabile
che le donne facessero:le
variazioni della repressione sessuale sui maschi furono relativamente
esigue. Parlando in generale, le norme sessuali sono fatte dagli uomini
e imposte alle donne, anche se queste hanno spesso condiviso tali imposizioni,
con l'entusiasmo auto-distruttivo caratteristico dei gruppi oppressi.
Però, le donne spesso diventano madri, per cui qualsiasi veleno
culturale esse siano costrette a tollerare viene trasmesso alla loro progeme
maschile con precisione taglionica. Pertanto, l'impatto culturale delle
repressioni sessuali è molteplice e ciclico. Ma, tralasciando questi
costi, altri ve ne sono di direttamente connessi ai benefici stessi. Le
innovazioni culturali derivate dalla specializzazione maschile nell'esagerazione
dell'ego e nel razionalismo candeggiato rivelano i limiti di questa stessa
specializzazione. Per esempio, soltanto una cultura dominata dagli uomini
può aver inventato il martello pneumatico, con la sua brutale aggressione
ai sensi, onde risparmiare tempo nel fare un buco per terra. Invenzione
di cui si è avuto bisogno perché altri maschi avevano decretato
che la terra dovesse essere ricoperta da macadam e calcestruzzo, deprivando
della struttura i piedi, di vita e di colore il mondo e d'ossigeno l'aria.
Gli uomini si compiacciono di dire che le donne hanno evirato il maschio
moderno, ma questa è una pura proiezione. Se l'uomo" "moderno
è evirato, se l'è voluto da sé, attraverso la propria
autocastrazione emotiva e la risultante profusione di macchine grottesche
e di organizzazioni mammuth che lo hanno costantemente rimpicciolito,
pur
aumentandone i sogni narcisistici. La specializzazione maschile nell'esercizio
del volere è facilitata dalla libertà dall'esperienza del
parto. Bateson avanza l'ipotesi che l'alcolizzato, quando è sobrio,
soffre dell'illusione di essere il padrone del proprio destino, malattia
psichica questa che viene curata nel momento stesso in cui beve il primo
bicchiere. Le donne sono meno vulnerabili a questa innocenza ecologica,
dacché una donna che abbia sperimentato il parto sa che cosa vuoi
dire quando il proprio corpo è completamente assorbito da
una forza interna su cui la volontà conscia non ha alcun controllo.
È, pertanto, di grande importanza che, negli stadi avanzati della
nostra degradazione culturale, gli uomini si siano sforzati di ottenere
il controllo volontario sul processo della nascita, stando attenti che
si verificasse in ambienti impersonali e privi di emotività dominati
dai maschi, che le madri fossero rese insensibili durante il processo,
in modo tale che l'ostetrico maschio potesse «assistere» il
bambino - recitando in tal modo un diritto rituale di conscia volontà
virile - e che il bambino venisse istantaneamente deprivato di quel tipo
di contatto caldo e umano che lo aiuta a svilupparsi in un essere umano
sensitivo, sensuale e rispondente. Inoltre, dalla metà del diciottesimo
secolo fino alla seconda guerra mondiale, educatori e medici maschi hanno
portato un attacco consistente al comportamento materno, dichiarandosi
esperti razionalisti in un campo che era stato riserva femminile per milioni
d'anni. La ripercussione di questo attacco fu che il toccare, l'affetto,
il calore, lo stringere al seno, le cura materne, il contatto corporeo,
la rassicurazione, la protezione, la blandizia e l'esercizio spontaneo
delle funzioni corporali furono considerati tutti perniciosi e il più
possibile da sopprimere. Un tipo di comportamento materno che, precedentemente,
era stato, faute de mieux,
dell'indigente, dell'indifferente, del sadico e dello psicotico, venne
ora ingiunto all'intera popolazione - anche al ricco, all'affettuoso,
al sano e al ben disposto. Il culmine di questo attacco si è verificato
verso la fine del secolo
scorso, quando i dottori tentarono di eliminare l'uso della culla e di
convincere le madri che il tenere in braccio o il ninnare un bambino affinchè
dormisse era «immorale» e «suscitatore di vizi».
Alla culla protettrice, racchiusa e dondolante, venne sostituito il lettino
a sbarre, aperto, immoto, simile ad una prigione. Un decennio o due dopo,
i
behavioristi cominciarono a sostenere che ogni dimostrazione d'amore o
di contatto fisico rendeva il bambino troppo dipendente. I bambini dovevano
essere allevati più con l'orologio meccanico che con il loro orologio
biologico, per cui vennero considerati generalmente piccole macchine da
offendere adeguatamente ed altrimenti lasciare sole. Gli impulsi materni
all'amore e alla cura dei figli dovevano essere virilmente
soppressi. I bambini dell'Occidente civile vengono, adesso, trattati in
maniera altamente impersonale, in rapporto a quelli di altre parti del
mondo nati in ospedali, separati dalla madre fin dalla nascita, concesso
loro un contatto corporeo minimo nei primi anni, svezzati precocemente,
troppo isolati e così via. Queste barbarie, garantite dai successi
della medicina occidentale, stanno rapidamente diffondendosi in altre
culture. Il futuro di tutto ciò è tremendamente confuso.
Il circuitismo schizoide dei profeti maschi viene diffuso quotidianamente
in maniera sempre più ampia. Le donne delle società occidentali
sono sempre più trascinate in esso e, per la maggioranza degli
uomini, ciò rappresenta semplicemente la normalità. Ma,
contemporaneamente, da quando le donne sono diventate profeti che (a volte)
sviluppano un sistema antitetico, si è iniziato un nuovo processo.
Attualmente, queste due correnti sono in totale collisione e formano un
vortice culturale dal quale potrebbe concepibilmente affiorare un qualsiasi
tipo di fenomeno sociale.
L'illusione dell'anatroccolo
L'esagerato spirito di competitivita prodotto dalla rivoluzione patriarcale
e il crescente dominio, da parte dei maschi, sul processo della nascita
e dell'allevamento dei figli, hanno svolto un certo ruolo nell'evoluzione
di uno dei maggiori temi mitici della nostra società: quello del
brutto anatroccolo. In questo mito (Rodolfo, la Renna dal Naso Rosso è
soltanto uno di dozzine d'esempi), un individuo evitato dai compagni per
via di un qualche difetto, prova che quest'ultimo è, in realtà,
una virtù, per dimostrare come la sua alienazione sia dovuta più
a superiorità che a inferiorità. La funzione del mito del
brutto anatroccolo è di nascondere una brutta realtà. La
realtà è che i brutti anatroccoli diventano brutte anatre.
È anche probabile che l'insolito cigno profugo diventi del tutto
brutto
interiormente, nel momento in cui ritrova il proprio ambiente. Per le
persone interessate, la mutazione è una tragedia, indipendentemente
da come il problema si ripercuote sulla specie. Il brutto anatroccolo
è una favola di mutazione che cerca di nascondere questa tragedia.
Il mito, altresì, serve a giustificare i passati crimini commessi
in nome dell'individualismo. Nessuno accumula una fetta di ricchezza o
di potere del tutto sporporzionata come premio per virtù intrinseche.
Inizialmente, tutte le grandi fortune sono state estorte al prossimo,
sia direttamente, sia indirettamente. Un'importante funzione della polizia
- sussidiaria al suo ruolo primario di conservazione dell'ordine e della
prevedibilità - è di far sì che il prossimo non le
rubi di nuovo. Il motivo per cui i radicali costituiscono, per la legge
e per l'ordine, una minaccia maggiore di quella dei criminali, è
che essi vogliono rubare nuovamente le ricchezze, ma in modo collettivo
piuttosto che in modo individuale (modo quest'ultimo in cui erano state
rubate all'inizio). Il furto criminale non minaccia le strutture del nostro
sistema - è un faux pas tecnico, è un metodo sbagliato e
rischioso utilizzato da chi manca della conoscenza e dell'abilità
per rubare senza rischio. Una volta che un uomo abbia rubato la propria
fortuna, deve fare in modo di conservarla. Talvolta è sufficiente
il nudo potere, però, alla fine, il suo atto, in una società
stabile, deve pur essere in qualche modo ratificato. Per fare ciò,
in passato, era necessario un certo periodo di tempo, almeno una generazione.
La regola era che chiunque ereditasse una fortuna rubata, costui ne avesse
diritto; di conseguenza, dopo che essa fosse stata pacificamente trasmessa,
di padre in figlio, per qualche generazione, la famiglia che era riuscita
ad accumulare i suoi malacquistati guadagni veniva considerata progenie
superiore. Parte del denaro veniva speso in orpelli prestigiosi di istruzione
e di cultura, atti a nutrire una simile impressione, però, parlando
in generale, il mero fatto di essere stati capaci di conservare il denaro
era già prova più che sufficiente. Il considerare l'ineguaglianza
sociale come un qualche cosa di diverso dal meritato, minaccerebbe il
vero fondamento dell'ordine sociale, e la gente è ragionevolmente
disposta a sopportare tutto, purché il suo mondo di tutti i giorni
non crolli nel caos, nell'imprevedibilita e nella violenza confusa. Comunque,
questo tipo di ratifica ha un ritmo troppo lento per la società
moderna. Oggi utilizziamo più spesso il mito dell'acquisizione
individuale; l'idea, cioè, che un individuo possa superare gli
altri in
modo tale che egli, o ella, meriti maggiori premi. Attribuiamo tanto poco
valore all'idea che un qualsiasi successo possa derivare da uno sforzo
collettivo (le rappresentazioni dell'Academy Award abbondano di questo
tipo di cose) che nessuno vuole realmente credere a queste affermazioni,
anche se vere. . .Il mito dell'anatroccolo svolge un ruolo importante
nel sostenere la giustificazione individualistica dell'ineguaglianza sociale.
In esso, un individuo supera la scarsa opinione e le basse aspettative
del suo gruppo per dimostrarsi, alla fine, superiore. Di più, tutto
ciò lo compie senza aiuto - anzi, superando una sdegnosa resistenza.
Negli antichi miti dell'eroe, questi riceveva doni magici, benedizioni
o informazioni da coloro che lo circondavano. Nelle leggende di Perseo
e Giasone, ad esempio, l'eroe è semplicemente un rappresentante
di forze potenti; come il detective privato o l'agente segreto di parecchie
avventure o di parecchi films, essendo la capacità di esporsi al
pericolo e ditrovarsi al momento giusto
nel posto giusto l'unica sua virtù particolare. Tuttavia, nel genere
proscritto-schernito, l'eroe è presentato totalmente isolato ed
autonomo. La causa per cui viene schernito si rivela essere una virtù
redentrice - una
mutazione apprezzata, come il naso di Rodolfo. Comunque, questo tema non
è circoscritto alle sole favole. Esso è
dominante anche nelle biografie semplificate dei «grandi»
uomini destinate ai bambini. Che questi siano inventori, artisti o baroni
ladri, c'è la tendenza a mostrarli come gente che « si è
fatta da sé ». Generalmente sono poveri, a malappena istruiti,
se non niente del tutto, respinti dai loro pari e circondati da ostacoli
di ogni genere. Qualunque istruzione ricevano è descritta come
inutile - ogni cosa deriva dalle capacità che sviluppano da soli,
nel loro studio o nel laboratorio, dove si sono ritirati per l'insensibilità
di quegli zoticoni che li circondano. Nelle storie di questo
genere c'è sempre da chiedersi come mai l'eroe è così
ansioso di suscitare l'amore di persone tanto meschine, ma non è
proprio il caso di cercare la ragione quando entra in ballo il narcisismo
ferito. Nello stesso Brutto anatroccolo, il protagonista trova egli stesso
il gruppo superiore al quale in realtà appartiene, ma il risultato
più caratteristico è che il gruppo che lo aveva respinto
ora ne canta le lodi. Lo speciale messaggio di queste storie è
che un difetto può diventare virtù attraverso l'esercizio
della volontà, che l'amore può essere strappato a forza
dagli altri attraverso realizzazioni individualistiche di successo. Il
poco valore di un amore qualsiasi fondato su di una fama impersonale («per
favore, spruzzane un po' su di me») viene scaltramente nascosto
in queste piccole frasi tanto quanto le difficoltà inerenti ad
intensi rapporti diadici ed esclusivi sono mascherate nella frase «
e vissero per sempre felici e contenti ». La visione della vita
secondo cui il più deforme, alla fine, sarà venerato da
coloro che inizialmente l'avevano disprezzato, è imbibita di Americani
della classe media con i loro cibi inscatolati per bambini. Essa contribuisce
non poco alla monotonia della cultura americana, che produce in massa
beni e servizi per coloro che immaginano di essere « il redentore
sopravvissuto. » Ma questo boccone di autoinganno è sufficientemente
dannoso. L'impatto reale dell'illusione dell'anatroccolo risiede nel modo
in cui separa la coscienza individuale dai suoi contesti umano, corporale
e ambientale, per cui essa diventa autarchica e meccanica. L'intrinseca
connettività dell'individuo con gli altri viene denegata; l'unica
dimensione di rapporto riconosciuta e apprezzata è la superiorità-inferiorità.
Il vincitore della competizione, in qualunque competizione si impegni,
viene ritratto come colui che ha soddisfatto tutti i bisogni, anche quelli
sacrificati all'acquisizione della superiorità. La rispondenza
meccanica del Mondo occidentale ha un grosso debito verso il mito dell'anatroccolo.
Jonathan Livingston Stranamore
Nulla potrebbe più drammaticamente dimostrare la vitalità
nella società americana del mito dell'anatroccolo della straordinaria
popolarità del best-seller Il gabbiano Jonathan Livingston
un tipo di versione della storia di Rodolfo fatto a mo' di Pattuglia dell'Aurora
della Scienza Cristiana. Da questa storia sono rimasti ipnotizzati perfino
gli umanisti, i radicali e gli anomali della controcultura una
favola puerile che glorifica il narcisismo presuntuoso, la lotta compulsiva
e l'alienazione schizoide dal corpo. Il gabbiano Jonathan Livingston è
l'epitome del sogno americano. Esso rivela la stessa mentalità
di vittoria-ad-ogni-costo così acutamente descritta da Gary Shaw
in rapporto al calcio universitario e satirizzata tanto brillantemente
da Philip Roth in rapporto al Presidente
degli Stati Uniti. L'eroe della storia è una specie di Charles
Atlas, l'aviatore, o dell'imprenditore che si è fatto da sè
e la cui vita intera è dedicata all'ambizione, al dominio e al
« miglioramento di sé. » Mentre gli altri gabbiani
si limitano a sbarcare la propria vita, egli è assorbito nell'equivalente
gabbianesco del praticare davanti allo specchio esercizi atti ad edificare
il corpo, ovvero dello studiare gli intrighi del mercato finanziario.
I suoi bisogni di controllo sono incontrollabili, per cui egli è
servo impotente del proprio bisogno di dominio. Come risultato
in analogia coi vecchi capitani d'industria egli è tanto
ammirato dalle masse quanto considerato minaccia per la comunità.
In breve, egli dimostra di essere quanto segue. Nel suo fanatico perseguire
la velocità e la gloria, per poco non uccide alcuni colleghi gabbiani,
per cui, di conseguenza, viene bandito dagli anziani della tribù,
che non hanno apprezzato eccessivamente la sua superiorità. Il
libro, in effetti, è pieno di spirito di élite Jonathan
non si sente in colpa per aver rotto una promessa da lui fatta, dacché
« tali promesse sono soltanto per i gabbiani che accettano l'ordinario
», mentre Jonathan è « uccello unico fra milioni ».
Quando raggiunge uno stato più elevato, si ha una lunga discussione
circa la desiderabilità di un ritorno al branco per istruire gli
ottenebrati selvaggi da lui lasciati indietro, prima che egli, alla fine,
prenda la decisione che soltanto uno o due di essi potrebbero essere degni
di ricevere il messaggio dell'uomo bianco. La spietata indifferenza per
la vita di coloro che sono ritenuti inferiori. (« II Gabbiano della
Fortuna, questa volta, gli sorrise, e nessuno venne ucciso ») fa
venire in mente i piloti americani nel Vietnam; dacché Jonathan
è un essere superiore, il benessere delle masse che procedono
stentatamente (leggi « indigeni » o « negri »)
è cosa da ignorarsi. La differenza è puramente di grado
e il grado stesso (ad esempio, un'incursione di B-52) deriva esattamente
da quella neurosi di dominio che Jonathan riassume. Se desiderate sapere
come ci siamo comportati nel Vietnam, leggete Il gabbiano Jonathan Livingston.
Molto interessante è anche il fondamento di una simile superiorità.
Jonathan non perde tempo in considerazioni oziose per la quasi morte degli
amici, in quanto ha raggiunto un nuovo record di velocità: «
duecentoquattordici miglia all'ora! Una rivelazione, il momento più
grande della storia del Branco » (lo stampatello è suo).
Successivamente, inoltre, egli compie « acrobazie mai prima fatte
da alcun gabbiano sulla terra, » e perciò ha la sensazione
di aver trovato una « ragione di vita ». È difficile
scovare un'illustrazione migliore della profonda vuotaggine interiore
degli Americani che, tanto spesso, appaiono incapaci di trovare gioia
nel vivere, ma che hanno bisogno di riempire le loro giornate con una
frenetica lotta per il dominio - sia esso interno o esterno. Anche
quando egli raggiunge una specie di paradiso, cosa che fa abbastanza presto,
si scopre che questo è un'altra palestra dove i Superuccelli dedicano
« ore su ore ogni giorno nell'esercizio del volo, provando le nautiche
aeree più avanzate. » Velocità, potenza, lotta sono
tutto ciò che questo nuovo mondo può offrire, ma egli se
ne compiace, in quanto ha un nuovo corpo. Mi viene in mente la pubblicità
di una rivista che iniziava così « Non Farti Cogliere nel
Corpo dell'Anno Scorso se Vuoi Essere la Ragazza dell'Anno! » Jonathan
ha barattato il suo vecchio modello per uno nuovo e la sua risposta è
tanto simile alla pubblicità commerciale di un'automobile, da renderci
immediatamente conto del perché il libro è così popolare:
« Con metà sforzo, egli pensò, io raggiungerò
il doppio della velocità, il doppio delle prestazioni dei miei
giorni migliori sulla Terra! » Alla fine, egli spinge tanto avanti
questa alienazione dal corpo da diventare « non ossa e penne, ma
una perfetta idea di libertà e di volo, affatto limitata da nessun'altra
cosa». Altri temi che ci si può aspettare di trovare sono
i seguenti: la bramosia di immortalità (Jonathan è un Matusalemme
dei gabbiani, per cui lui e i suoi discepoli, alla fine trascendono totalmente
la morte), l'esigenza di linearità per totale assenza di feedback
(« II paradiso è essere perfetti, » « la perfezione
non ha limiti», «In paradiso... non devono esistere limiti,
» e « tutto ciò che si oppone alla libertà deve
essere accantonato, sia esso rituale o superstizione o limitazione di
qualsiasi specie ») nonché una visione del corpo come mero
servo della volontà (quando Jonathan incontra un gabbiano dall'ala
rotta, entra in scena
come l'allenatore di un film di calcio di Pat O'Brien dicendogli
che, se vuole, può volare, cosa che il primo ovviamente fa, essendo
questa una fantasia narcisistica). Tutto ciò esprime anche un'eguale
avversione per la realtà dell'interdipendenza e della corporalità;
avversione che tradisce un profondo senso di debolezza e di impotenza.
L'organismo che non può misurarsi coi limiti è incapace
di nutrire sé stesso. È come se l'onere di dover trattare
con la realtà di un'altra persona potesse determinare il totale
collasso dell'ego. L'esigenza dello spazio infinito scaturisce dal terrore
per la prospettiva di doversi confrontare con un altro, o di dover far
fronte ai suoi bisogni. È il bambino al seno che non può
tollerare limitazioni - e questo è quanto più vicino siano
mai arrivati
gli umani all'essere senza limiti. Il resto della storia ricalca strettamente
lo schema dell'anatroccolo. Il proscritto trova un gruppo di esseri superiori
ai quali appartiene realmente («qui c'erano gabbiani che la pensavano
come lui»), dimostrando in tal modo che la sua proscrizione era
il risultato dell'inferiorità degli anziani, non della sua. Come
ormai è probabilmente ovvio, esiste una pesante corrente sotterranea
di razzismo nel mito dell'anatroccolo, e Il gabbiano Jonathan Livingston
non fa eccezione. Il bisogno compulsivo di stabilire la propria superiorità
che, poi, è il filo conduttore di tutta la storia, esige la definizione
di un certo gruppo di esseri costituzionalmente inferiori.
Infine, come se non bastasse, Jonathan deve fare ritorno al suo branco
d'origine inferiore onde esibire alla folla stupita le sue superiori conquiste
- la sua enorme velocità, la sua trascendenza della morte. Lui
e i suoi discepoli vivono per sempre felici e contenti, poiché
così termina il contributo più recente alla cultura dei
profeti, all'analfabetismo ecologico e alla Pestilenza emotiva.
Il disastro ben intenzionato
Le fonti della preminenza del mito dell'anatroccolo nella società
moderna sono complesse. Esse potrebbero avere qualche cosa a che vedere
con la frequenza con cui accademici ed altri grandi realizzatori presero
le mosse come pupilli dell'insegnante - cioè, offesi e disprezzati
dai loro pari. Negli Stati Uniti può essere il risultato di una
popolazione di emigranti: nelle società animali e, generalmente,
fra gli umani, sono coloro che perdono ad essere costretti ad emigrare
- gli Stati Uniti, quindi, sono una nazione composta di perdenti che,
in esilio, l'hanno resa ricca. Forse, però, il fattore più
importante della popolarità del mito dell'anatroccolo è
dato dal successo della medicina occidentale nel conservare in vita bambini
che, altrimenti, sarebbero morti per carenza d'amore e di cure. Le loro
fantasie e la loro distruttività sono diventati il mito della nostra
epoca. Può apparire crudele impegnarsi in speculazioni di questo
tipo, ma se tale ipotesi dovesse risultare corretta, avremmo a disposizione
soluzioni più umane per non lasciare morire colui che non è
amato. Per esempio, potremmo trovare strade per concedergli amore, invece
di alimentare il narcisismo medico. E, intanto, stiamo dando origine,
ogni giorno di più, a
miseria, dolore e odio.A tuttora esistono ampie prove, da studi sia animali,
sia umani, di come, durante l'infanzia, l'amore inadeguato e il contatto
troppo scarso abbassino la resistenza dell'organismo all'infezione, rallentino
i poteri di recupero e producano depressione cronica. Nel diciannovesimo
secolo, metà dei bambini morivano nel primo anno d'età.
D'altra parte, non più tardi del secondo decennio del ventesimo
secolo, il tasso di mortalità nelleistituzioni dei bambini sotto
l'anno era del 100 per cento. Ora, pur non avendo avuto la medicina occidentale
alcun successo nell'eliminazione di questo effetto, essa si vanta di aver
mantenuto un vita un gran numero di bambini che sarebbero morti senza
intervento medico. Di questo molti genitori amorevoli sono stati grati.
Ovviamente, non c'è modo di sapere quali fra questi bambini sarebbero
stati rimessi in forza senza un'assistenza del genere, ne quali genitori
potrebbero avere partecipato generosamente la loro gratitudine ai medici,
gratitudine che, più appropriatamente, avrebbe potuto essere diretta
a loro stessi per aver allevato un figlio forte sano e beneamato, essendosi
amorevolmente rivolti a lui quando era sotto tensione. Ciò che
sappiamo è che, statisticamente, la pretesa medica è giusta:
molti che sarebbero morti non lo sono. A lungo, eugenisti appassionati
hanno fatto notare che, se ciò era un bene per l'individuo (anche
se nei paesi raffinati dal punto di vista medicol'alto tasso di suicidio
mette in dubbio perfino questa affermazione), per la specie era un male.
Ma le loro argomentazioni vengono accantonate come dure e screziate di
spirito di élite quali, in effetti, spesso sono, essendozeppe di
un interesse darwinistico piuttosto arcaico circa la necessità
di «eliminare il debole e il disadattato» prima che si riproduca.
Ma questo non è il problema reale. La nostra specie non scomparirà
presto per debolezza e diluizione genetica, però, può sparire
rapidamente per le sue propensioni omicide, per la sua folle corsa alla
distruzione dell'ambiente, per la sua prosperante malvagità meccanica.
Non è la ventata genetica a propagarsi fra di noi come un'epidemia,
ma quella culturale. II mantenere in vita colui che non è amato
ha fatto dilagare una malattia infettiva emotiva - origine, forse, di
quella che Wilhelm Reich ha chiamato Pestilenza Emotiva. L'amore è
contagioso, e tale è la sua mancanza. Coloro che sono veramente
amati si riconoscono per la loro amorevolezza, generosità, bellezza,
forza, salute, rispondenza e giocondità. Chi non è amato
può essere riconosciuto per la sua miseria, malevolenza, bruttura,
rigidità e rancore. Il non amato non può amare, per cui
propaga la malattia ai figli. Poiché i bambini non amati sono altamente
suscettibili all'infezione e allamalattia, le grandi epidemie della storia
hanno avuto lo scopo di purgare periodicamente la specie dei suoi membri
potenzialmente più distruttivi. Il che non significa che siano
morti soltanto i non amati - la Natura è statistica e non si cura
degli individui. Però, è da presumersi che il non amato
sia morto in quantità sproporzionata. Le pestilenze quali la Morte
Nera hanno selezionato le persone più amate perché procreassero
ed allevassero figli - in altre parole, questa scelta è stata tanto
culturale quanto genetica. Un qualsiasi effetto purificatore fu, probabilmente,
controbilanciato dagli orrendi smembramenti impliciti dell'ordine sociale
stabilito - dimostrando in tal modo che le brutalità della Natura
sono inefficienti quanto quelle degli umani. Al meglio, si manteneva un
certo tipo di equilibrio. Tuttavia, la medicina occidentale ha fatto di
tutto per mantenere in vita un gran numero di non amati per dare libera
stura alla distruzione e per spargere miseria in tutto il mondo. Per cui
la negligenza insensibile della Natura è stata sostituita dalla
perversione perfezionistica dell'Uomo. L'amore non può essere contraffatto.
Eppure, nella nostra cultura, si presume che tutti i genitori amino i
figli. Se, in una famiglia, ci sono più figli, molti genitori fanno
finta di amarli tutti allo stesso modo, anche se i figli stessi e i profani
fanno poca fatica ad accorgersi delle loro preferenze. Alcuni genitori
sono superficiali nel loro amore, altri si sentono in colpa, sono iperprotettivi
o asfissianti. Il tipo di amore che nutre realmente non è così
comune come ci piace immaginare. In questa nostra America orientata al
compito, i genitori spesso presumono che, comportandosi secondo certi
precetti degli esperti in allevamento di figli, otterranno un prodotto
desiderabile, però nessuna tecnica è mai stata una soddisfacente
simulazione dell'amore per un bambino che abbia bisogno di esso per sopravvivere.
La concezione occidentale è altamente battagliera. Essa tende aconsiderare
ogni conflitto più come guerra d'estinzione che come fonte
d'equilibrio. Per esempio, è soltanto il nostro folle individualismo
che ci fa considerare competitive le specie perché si depredano
l'una con l'altra. La selezione naturale non agisce mai per assegnare
ad una specie la vittoria su di un'altra, ma per conservare l'equilibrio.
Una specie si evolve fino al punto (sempre mutevole) in cui un adulto
sano può sottrarsi a tutti i predatori, ma gli altri no. Dovesse
mai una specie avere tanto « successo » da far sì che
tutti i suoi membri fossero in grado di sottrarsi a tutti i predatori:
ciò metterebbe a repentaglio le sue scorte di cibo, per cui si
verrebbe a trovare in un guaio grande quanto se non riuscisse a giungere
a questo punto. Il predatore è lo zar demografico per la specie
che egli depreda. Il leone protegge la scorta di cibo dell'antilope. Gli
uccelli
proteggono la scorta di cibo dei bruchi che, a loro volta, impediscono
alle piante di esaurire il suolo. Predatore e preda si trovano in reciproca
relazione simbiotica. Ognuno di essi come specie è cosi importante
per l'altro come se si trovassero in un certo rapporto di amichevole dipendenza.
Tuttavia, l'individuo riveste assai poca importanza in tutto ciò,
il che, dato il nostro indottrinamento culturale, è piuttosto sconvolgente.
Gli umani non dispongono di predatori, per cui hanno dovuto affidarsi
maggiormente alla malattia onde svolgere questa funzione per loro vitale.
Di conseguenza, per la nostra specie, i germi che ci uccidono sono tanto
apprezzabili quanto i miliardi di germi benigni che dimorano nel nostro
corpo per svolgere svariate funzioni vitali. I predatori animali non depredano
soltanto il debole e il sofferente, ma anche il giovane. È soprattutto
al giovane non protetto cui si da la caccia, allo stesso modo in cui sono
più spesso i bambini umani non protetti ad essere eliminati dai
microbi predatori. Però, la mancanza di protezione può dipendere
tanto da incapacità quanto da indifferenza. Il povero e il malnutrito
sono sempre morti in maniera sproporzionata che fossero amati o no. Per
cui l'effetto della medicina occidentale è stato
soprattutto quello di fornire una protezione artificiale al non amatoprivilegiato,
una combinazione, questa, particolarmente disgraziata. Ho avanzato l'ipotesi
secondo cui la rivoluzione patriarcale unitamente all'illusione dell'anatroccolo
e al cincischiamento medico che ha contribuito a farla sorgere, ha portato
alla creazione di una cultura dalla mentalità del profeta - una
cultura, cioè, dominata dalla mentalità incompetente. Queste
osservazioni non debbono essere considerate giustificazione per un certo
tipo di repressività. Tutti i gruppi hanno bisogno sia
di mantenere le strutture, sia, occasionalmente, di alterarle, di limitare
il numero (infinito) di alternative disponibili in ogni momento, pur mantenendo
aperte possibilità normalmente non immaginate. Tali necessità
sono implicitamente contraddittorie - non è mai esistita, ne mai
esisterà una soluzione permanente. Nessun organismo vivente può
sopravvivere senza prevedibilità, ne senza flessibilità.
La continua ricontrattazione di questi dilemmi costituisce il fondamento
della vita sociale. Ogni entità organica vitale deve comprendere
una base ordinata e un elemento di instabilità caotica. Questi,
per la loro esistenza, si trovano in dipendenza reciproca. Non possono
esserci imbroglioni se non c'è fiducia Eppure la fiducia non ha
significato senza imbroglioni.Tentare lo sterminio di tutti gli imbroglioni
sarebbe un grosso sbaglio, come 1'umanità ha oscuramente riconosciuto
lungo la maggior parte della storia D'altro canto, creare un'economia
intera affermata sugli imbroglioni come abbiamo fatto noi, è altrettanto
pericoloso. Si tenta meramente di mantenere la proporzione sufficientemente
bassa da consentire la prevedibilità e tanto alta da impedire alla
popolazione di cadere nell'idiozia Ma come possiamo attenuare la conflagrazione
del profeta senza diventare ancora più repressivi di quanto siamo?
Come possiamo mantenere la flessibilità e restaurare allo stesso
tempo la connettività? E la connettività da noi perduta
non richiede forse un tipo d'adesione cieca per sempre preclusa a coloro
la cui vista è data dall'autocoscienza. Può l'organicità
coesistere con la consapevolezza? Immaginiamo di essere più consapevoli
dei nostri antenati primitivi ma lo siamo anche di meno. Siamo dolorosamente
consapevoli de nostro isolamento, ma totalmente ciechi alla nostra connessione.
Generalmente concepiamo questa cecità come un tipo di liberazione.
La versione di Horatio Alger della storia occidentale e, dice come una
nullità ignorante e dipendente si sia liberata dalla matrice medievale
per diventare un essere moderno libero e potente, signore del proprio
destino. Il racconto, adesso, è un po' ossidato e si pone sulla
soglia dell'alta ideologia, ma forse, è ancora necessario per far
notare seriamente come un altro modo di
considerare gli ultimi sette secoli sia in termini di crescente miopia
dell'umanità riguardo il suo rapporto col resto del mondo. In altre
parole, dobbiamo diventare non meno, ma più consapevoli. La coscienza
di sé non è consapevolezza, è puramente afferrare
un aspetto della realtà a discapito di un altro. Il « grande
» scienziato, imprenditore, artista o scrittore immagina di rispondere
semplicemente a obiettivi individuali. Lo stesso, forse, fa la
gallina che depone le uova sotto luce artificiale.
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