IL BRUTTO CIGNO
ovvero
METTENDO LA MORDECCHIA AL
MOVENTE DEL PROFETA
Sterminate il saggio,
accantonate il sapiente
E il popolo ne beneficherà del
centuplo;
Sterminate la benevolenza,
accantonate la rettitudine
E il popolo sarà nuovamente
filiale;
Sterminate l'ingegnosità,
accantonate il profitto
E non ci saranno più ladri, nè
banditi.
Lao Tzu
Soltanto coloro che non lavorano
nei campi hanno il tempo per
meravigliarsi del grano. E sono
proprio loro a non averne il
diritto, perché non l'hanno
assaggiato, ne lavorano per produrre
farina per il popolo.
Idries Scià
Esiste una legge cibernetica che afferma che quanto più probabile
è un messaggio, tanto meno informazioni fornisce. Ad esempio, l'informazione
contenuta in un messaggio decresce con la sua ripetizione. In qualsiasi
gruppo, ciò determina un curioso dilemma: quanto più i membri
stanno insieme, tanto meno hanno da dirsi almeno per quanto concerne
la struttura relazionale propria del gruppo. Dacché il circuitismo
del gruppo è noto a tutti, il valore dell'informazione di quanto
viene comunicato va sempre più declinando. Quanto più efficacemente
un gruppo comunica di sé e dei suoi costituenti, tanto più
rapidamente stagnerà, in assenza di inputs dall'esterno.
Anche con gli inputs esterni, però, la comunicazione tenderà
a decrescere, dacché la struttura stessa agisce come filtro di
schermaggio di quell'informazione dissonante da essa interpretata come
rumore. Tratteremo, qui, soltanto gli stimoli che si ripercuotono sul
circuitismo di gruppo; quelli, cioè, che si ripercuotono sui rapporti
all'interno del gruppo stesso. I partecipanti più centrali del
gruppo - quelli più investiti nelle strutture (pertanto, più
«influenti») - debbono proteggerlo da tali stimoli disturbanti.
Essi fungono da organi sensoriali del gruppo - consentendo l'ingresso
a ciò che contribuisce a conservarlo, ma escludendo (in quanto
i nostri sensi escludono più di quanto immettano) qualunque cosa
metta a repentaglio il suo circuitismo. Se essi vengono meno a questo
bisogna, il gruppo perderà la sua integrità. Se ci riescono,
esso può stagnare o diventare opprimente. In altre parole, un sistema,
di tanto in tanto, ha bisogno di acquisire una percezione dell'universo,
ivi compreso di sè stesso, attraverso occhi diversi dai propri,
dacché i suoi organi sensoriali sono designati ad escludere dalla
consapevolezza la maggior parte delle informazioni. L'unico modo per acquisirla
è di estrudere un po' del circuitismo, il quale svilupperà
un apparato percettivo differente dal circuito parente e, conseguentemente,
inalerà una visione diversa. Ma, a questo punto, il circuito parente
non è più in grado di «capire» il segmento estruso,
eccetto che in riferimento alle analogie residue fra circuitismo presente
del segmento e quello originario. In altre parole, quanta più informazione
il segmento acquisisce, tanto meno capace sarà il circuito parente
di assimilarla. Il processo, pertanto, deve essere ripetuto. Si estrude
un profeta nel deserto, il quale ottiene una visione e ritorna. Questi,
poi, o viene respinto, oppure la sua visione viene assorbita, sviluppando
così un nuovo circuitismo nel sistema parente. Rozzamente, il sistema
parente si incurva, a mo' di vermiciattolo, sull'informazione fornita
dai membri estrusi, verso un obiettivo sempre sfuggente e irraggiungibile
di circuitismo totale, perfetto e conscio. Ciò che il profeta vede
nella sua visione ha significato secondario:l'importante è come
lo vede. Egli non è soltanto un esploratore che esplora un territorio
sconosciuto, egli è il territorio - non è lo sperimentatore,
ma l'esperimento. Ciò che innova è la propria struttura
interna. La maggior parte di queste innovazioni, come la maggioranza delle
mutazioni, risulta inutile e grottesca: il profeta torna dalla landa selvaggia
con sette dita per ogni piede ed un anello al naso, proclamando che la
vita è una cateratta. Egli viene schernito e messo da parte, in
quanto i profeti sono altamente sostituibili. Ma, qualche volta, il profeta
sviluppa realmente un circuitismo interno tale da conferire prestigio
al circuito parente, qualora venisse ad esso reintegrato. A questo punto
sorge un problema: come può un sistema assorbire una modifica esterna
che giunge in essere attraverso una procedura già precedentemente
basata sull'incapacità del sistema a tollerarla? È un po'
come quei genitori socialmente ambiziosi che mandano il figlio ad una
scuola di élite, affinchè sviluppi uno stile di vita non
corrotto dalle loro asprezze. Essi desiderano che il figlio diventi «
migliore » di loro ma, quando questi ritorna, restano costernati
e dicono, « Chi sei? Non sono in grado di pormi in relazione con
te. Come puoi tu umiliare i tuoi genitori che ti hanno dato tutto? »
Genitore e figlio saranno
in grado di mantenere uno stretto legame soltanto nei limiti in cui la
tentata metamorfosi del figlio non ha ottenuto successo. Nel caso dell'arrampicatore
sociale, il problema può, entro certi limiti, essere trattato attraverso
la compartimentalizzazione: il figlio può conservare due identità,
una per i genitori e una per il resto del mondo. Finché i due mondi
non entrano in contatto, a ciascuno verranno risparmiati imbarazzo e conflitto.
Però, in tal caso, i genitori non saranno in grado di compartecipare
la vita del figlio, per cui il loro sistema non verrà influenzato.
Oppure, immaginiamoci che l'organismo, per sopravvivere, abbia bisogno
di alterare la composizione del flusso sanguigno. Dacché non è
possibile che lo faccia nel contesto della propria programmazione, esso
estrude una piccola quantità di sangue che, liberata dalle costrizioni
dell'organismo nel suo complesso, si da da fare, con l'aiuto di influenze
esterne, per acquisire il cambiamento auspicato. Nel momento in cui il
sangue viene reintrodotto, però, l'intero organismo si mobilita
per distruggere totalmente l'intruso. A livello culturale, questo dilemma
è risolto da un meccanismo interessante. Mentre il circuito estruso
viene attaccato e spesso distrutto, il
suo messaggio - cioè la forma del suo circuitismo evolutasi di
bel nuovo - viene assorbito e incorporato. In questo modo, il sistema
parente è in grado di conservare inalterato il proprio apparato
di conservazione del confine e di schermaggio sensoriale, pur alterando
il suo circuitismo interno. Ecco perché il primo passo verso l'accettazione
di un'idea totalmente estranea è di attaccarla, di evidenziare
tutti i motivi del perché è sbagliata, illogica e inadeguata
ovvero, in conflitto col circuitismo esistente. Se l'attacco è
del tutto intelligente, nel senso che si dimostra accuratamente come l'idea
sia inderivabile da premesse accettate, l'idea stessa diventa, in effetti,
parte della cultura, quantunque parte non assorbita. Tutto ciò
che resta è di semplificare il circuitismo culturale modificando
le sue premesse cioè, sviluppando una sintesi più
alta che abbracci la nuova idea (questa viene generalmente definita co-optazione).
Il circuitismo dell'idea stessa è stato previamente introdotto,
sebbene un
segno meno venga assegnato ad ogni nodo di connessione col vecchio circuitismo.
Ecco perché l'approccio alla propaganda del tipo « squadra
della verità » è così auto-fallimentare. Attaccare
efficacemente un'idea significa
comprenderla e interiorizzaria. Un attacco irrilevante e stupido è
efficace purché possa essere sostenuto; però esso è
vulnerabile al contrattacco, per cui provoca l'attaccante ed un ancora
più efficace follow-up. L'unico
modo per resistere ad un'idea estranea è di ignorarla. Weston La
Barre avanza l'ipotesi che gli psicotici siano potenziali eroi di una
cultura cui non ha arriso il successo nel comunicare con i loro pari.
Tuttavia, anche una comunicazione che ottenga successo non è garanzia
contro l'incarcerazione o la distruzione. Il profeta è soltanto
lo strumento di un più vasto sistema e ciò che accade al
suo essere personale non riveste alcuna importanza. Successo e fallimento
sono termini che hanno soltanto significato in rapporto al messaggio che
egli reca. Egli può sopravvivere all'attacco infertogli e ricevere
gli onori del suo tempo, se non del suo paese. Comunque, ciò che
viene onorato (come ciò che viene attaccato) è il suo status
di latore del messaggio, non la sua personalità. La personalità
manifesta del profeta, anche in assenza di specialisti in pubbliche relazioni,
è un costrutto artificiale una creazione congiunta di coloro
che ricevono il messaggio in collaborazione col profeta stesso nel compimento
del suo ruolo. Ecco perché tutte le figure pubbliche e i personaggi
famosi sembrano tanto uguali. Di più, quella mezza dozzina di tipi
di carattere disponibili per l'adozione da parte dei famosi, è,
per quanto stereotipata, assai efficace nel suo impatto sulla persona
interiore, se rafforzata attraverso la costante interazione con altri.
È estremamente difficile proteggere la persona interiore, privata
dal completo assorbimento da parte della personalità pubblica stereotipata.
Chi ci riesce è capace di farlo soltanto evitando rigorosamente
l'interazione con gli sconosciuti - cioè, con coloro che li conoscono
soltanto come profeti. Egli deve, invece, circondarsi di persone che «lo
hanno conosciuto quando», cioè come persona più che
come latore di messaggio. Però, anche questo è
diffìcile, perché è probabile che si trovi a svolgere
il ruolo di profeta schivo, modesto e nondimeno umile anche nell'intimità
della sua casa. E mentre amici e parenti possono essere in grado di rafforzare
la persona privata comportandosi come se quella pubblica non esistesse,
ciò esigerà che il profeta, in primo luogo, rinunci a quei
bisogni di rispetto e di stima che l'hanno portato ad accettare l'investitura
nel ruolo. La maggioranza dei profeti è composta di sconosciuti
che cercano in terra straniera, o che ritornano con una personalità
visibilmente trasformata, per ottenere quel rispetto precedentemente negato
loro dalla comunità. Questo loro bisogno di rispetto non li rende
soltanto vulnerabili all'investitura, ma anche suscettibili alla convinzione
che il nuovo circuitismo da lorosviluppato in stato di estrusione sia
un atto conscio e volontario di creazione personale. Questa illusione
individualistica è determinata, in parte, dalle circostanze che
circondano l'estrusione del profeta e, in parte, da quelle che si associano
al suo ritorno. Il profeta ritorna sempre come uno sconosciuto. Spesso,
il suo ritorno è indiretto, nel senso che raggiunge un altro paese.
Se il suo messaggio viene colà accettato, successivamente arriverà,
per diffusione o conquista, anche al circuito da cui era stato estruso.
« II profeta riceve onori, fuorché nel proprio paese... »
II che significa che il circuito parente è spesso l'ultimo a sapere
che i propri sforzi per trascendere sè stesso hanno avuto successo.
Nel caso il profeta ritomi direttamente al sistema parente, egli deve
essere notevolmente cambiato. Altrimenti i suoi precedenti associati lo
riconoscerebbero e si porrebbero in relazione con lui nella vecchia maniera
(« È sempre quel vecchio sciocco di Enrico »). Come
latore di messaggio, il suo primo compito è di convincere tutti
che gli è accaduto qualche cosa di significativo che non
è più quello di prima. Diventa quindi facile capire quanto
il profeta se la passi brutta se conserva un qualsiasi senso di integrità
e continuità personali, al di là del suo ruolo di latore
di messaggio. La sua esistenza come persona è così fragile,
così dipendente dalla risposta di coloro che lo circondano, da
essere seriamente tentato di confortarsi nell'illusione di essersi fatto
da solo. La maggior parte del narcisismo del profeta deriva però
anche dalle condizioni che circondano la sua estrusione. Se il segmento
estruso ha da essere in una posizione tale da sviluppare un nuovo circuitismo
deve, in qualche modo, venire tagliato fuori dal sistema parente e gli
si deve
assegnare un certo livello di autonomia e di indipendenza. Ciò
viene facilitato, in primo luogo, se il profeta è scarsamente connesso,
come generalmente avviene. Ci si attende che il profeta, nel momento dell'estrusione,
ritiri il suo investimento emotivo da tutti i suoi rapporti per investirlo,
invece, nella mappa di quel circuitismo che porta dentro di sé.
I Gestaltisti alludono a questo processo come al « riassorbimento
delle proprie proiezioni». Una volta, Freud disse che l'ego individuale
era meramente un precipitato di rapporti trascorsi: i Gestaltisti dimostrano
il contrario: che i rapporti di un individuo costituiscono meramente un
palcoscenico in cui vengono recitati i suoi conflitti interni. Il circuitismo
parente, quando estrude un profeta, adotta il punto di vista Gestalt.
Ci si attende che il profeta dissolva quante più complementarietà
possibili e riscopra tutta questa varietà all'interno. Questa non
è bizzarria, in quanto la potenzialità di tutti i tratti
umani risiede nell'interno di ciascuno. Una volta superata la propria
repulsione, ogni essere umano conosce tutti i ruoli esistenti in ogni
dramma umano e può svolgerli. A questo riguardo, i gestaltisti
sono assolutamente corretti. Il profeta, allora, è costretto a
cessare e a desistere dal consentire ad altri di interpretare aspetti
del suo sé. Deve sviluppare autonomia, totipotenzialità,
auto-sufficienza - e, entro certi limiti, lo farà inevitabilmente,
unicamente in virtù della sua estrusione. Ciò determina
una forte
probabilità di sviluppo di nuovi schemi proprio come una
colonia, che debba sopravvivere per conto proprio, senza aiuto della madrepatria,
ha la possibilità di evolvere una cultura piuttosto differente.
Un risultato poco propizio di tutto ciò è che il profeta
arriva ad immaginare che la propria estrusione sia stata un'azione autonoma
e che il nuovo circuitismo, sviluppato durante il suo isolamento (esilio,
veglia, esperienza massima, o qualsiasi altra cosa) sia stata un'acquisizione
personale, invece di un risultato quasi inevitabile della situazione in
cui si trovava. Questo è un rischio naturale del processo. Dopo
tutto, il profeta è un emarginato. I più sono dei falliti.
In una simile condizione miserabile è necessario accaparrarsi tutti
gli agi a disposizione, e questo è inevitabilmente narcisistico
e illusorio. Tutto ciò fu abbastanza innocuo finché ogni
segmento estruso rimase in isolamento temporale e spaziale. Un grave problema,
invece, è emerso, quando gli umani cominciarono a registrare la
loro storia, consentendo, così, l'affioramento di una cultura di
profeti. Essa non soltanto insegnò ai futuri segmenti estrusi come
comportarsi (caratteristica utile, tutto sommato), ma rese altresì
loro disponibile la fantasia confortante di non essere rifiuti sostituibili,
ma eroi selezionati. Una volta ampiamente diffusa la visione del profeta,
ciò che originariamente fu un analgesico, diventò un sistema
di vita e la gente cominciò, in concreto, a ricercare quel ruolo
già evitato. Quello che adesso ci circonda è un sistema
sociale in cui viene assegnata proprietà massima alla manifattura
delle mutazioni. Essenzialmente questo è ciò che, ovunque,
costituisce la concezione di individualismo - elevazione, cioè,
di un'istanza periferica a posizione di centralità. Nei due secoli
scorsi, la cultura occidentale si è mossa rapidamente verso un
sistema in cui ogni singolo individuo venisse socializzato per essere
un rifiuto eroico - un profeta-mutazione per un sistema nucleo che, a
motivo di ciò avrebbe dovuto, conseguentemente, cessare di esistere.
Come per il meccanismo del volere, trattato nell'ultimo capitolo, questo
chiunque-è-schema di mutazione costituisce una funzione d'emergenza
che scorrazza in lungo e in largo, preso da pazzia sanguinaria. Una cosa
è che un sistema, di tanto in tanto, butti via qualche fondo di
magazzino come
barriera contro l'inaspettato riconoscimento, questo, che il circuitismo
che si è evoluto, pur vitale ed elegante, è limitato e vulnerabile
a condizioni che si trasformano. È del tutto differente, invece,
che un sistema tratti l'inaspettato come un luogo comune inevitabile e
getti via, frammento dopo frammento, il suo intero circuitismo. Questa
è una malattia auto-perpetuantesi, dacché il sistema che
continuamente si frammenta e si espande può scarsamente pretendere
un nucleo sfruttabile. Quanti più rifiuti estrude, di tanti più
profeti può, a buon diritto,
pretendere di avere bisogno, fino a quando raggiunge la totale dissoluzione.
L'eroificazione del ruolo del rifiuto ha raggiunto, nella nostra società,
un punto molto simile a questo. Non è più unicamente il
deviante ad essere socializzato al disprezzo della propria connessione
con gli altri. Anche i pilastri ordinari della comunità vengono
addestrati a pensare a sé in tutti i sensi concepibili di tale
frase. Se si trattasse soltanto di essere afflitti da migliaia di artisti,
di cui ciascuno si ritenesse fondatore, pur essendo di terz'ordine e di
varia specie, di una dinastia nuova e creativa, potremmo sopravvivere
all'influsso. Invece, la disseminazione del principio di mutazione eroica
ha contribuito anche a darci quel tipo di scienziati e di medici che ci
troviamo. Gli Americani vengono addestrati fin dall'infanzia alla mutabilità.
Si insegna loro ad ignorare la connessione con altri e ad immaginare che
qualsiasi successo o fallimento sperimenteranno nella vita è funzione
della loro capacità dissociata di esercitare il potere. Viene loro
insegnato a distruggere la continuità, ad adattarsi meccanicamente
e servilmente al cambiamento e a considerare i rapporti come se non avessero
un significato diverso dall'acquisizione di obiettivi strumentali. Ciò
ha
portato a determinati vantaggi: non è mai esistito un popolo o
una specie meglio attrezzata a sopravvivere e ad adattarsi a qualsiasi
cambiamento cataclismatico dell'ambiente. D'altro canto, c'è una
certa futilità a vivere la propria vita intera attorno alla previsione
di un disastro. Si è tentati di produrlo, non foss'altro per dare
significato alla cosa. Inoltre, la disponibilità al cambiamento
tende a creare un cambiamento e la nostra preparazione ci ha portati alla
condizione in cui, come popolo, ci troviamo ad essere in grave tensione
cronica da perpetua novità, come bene ha dimostrato Toffler. Però,
la nostra capacità a gestire tale angoscia è insidiata dalla
nostra stessa ideologia, che ci dice come il cambiamento sia una necessità
e un bene. Un politico che si alzasse per dimostrare che il cambiamento
di ogni tipo (in avanti o indietro) risulta, in genere, pernicioso, riceverebbe,
quanto a reputazione nella nostra società, un posto in graduatoria
di poco inferiore a quello di Adolf Hitler. Infine, dacché questi
cambiamenti si verificano ad una velocità tale per cui un processo
non è ancora terminato che già ne inizia un altro, l'esperienza
di equilibratura e di integrazione risulta essere virtualmente ignota.
La proliferazione della disarmonia si auto-genera. In conseguenza della
loro socializzazione, gli Americani, come gruppo, sono intossicati dall'immagine
romantica del solitario eroe rifiutato che forgia il proprio (è
un'immagine prevalentemente maschile)
destino e cambia il circuito parente mediante i suoi sforzi caratteristici.
I bambini vengono precocemente indottrinati con quest'idea per mezzo di
favole in cui il giovane respinto trionfa sul gruppo che lo rifiuta; i
successivi anni dell'infanzia sono zeppi di biografie, reali o fantastiche,
di adulti solitari e beffeggiati che conquistano la preminenza attraverso
realizzazioni creative. Ognuna di queste storie indottrina il bambino
con il concetto che questi «successi» sono da attribuirsi
esclusivamente all'arte individuale e malgrado il gruppo in cui l'individuo
è inserito. Il fatto che, in realtà, l'individuo non possa
acquisire nulla senza un contesto sociale, viene perso di vista in mezzo
alla gloria del trionfo egoistico. La fantasia del distacco egoistico
porta molte persone a confondere la
vita di relazione organica con gli altri con l'essere imprigionati in
qualche genere di sistema autoritario. Se si parte dall'illusione dell'autonomia,
tutte le forme di connessione appaiono uguali ed ugualmente oppressive.
Per due secoli, la cultura occidentale si è impegnata nel trasferimento
graduale, istituzione dopo istituzione e con molte ricadute, da modi d'organizzazione
autoritari ad altri « democratici ». Questo trasferimento
è risultato per così tanto tempo un'immagine pervadente
delle menti occidentali, da essere per noi assai difficile concepire il
cambiamento sociale in maniera non colorata da tale processo. Eppure,
esso è soltanto un breve episodio della storia della cultura umana
e come tale, deve essere collocato nel suo contesto. L'implicazione secondo
cui l'autoritarismo è una forma di organizzazione sociale antica
o primeva è assolutamente falsa. L'autoritarismo, come forma sociale,
non è nemmeno riuscito a completare il suo processo di diffusione
per tutto il mondo, anche se è già in via di essere soppiantato
nelle parti più urbanizzate della società occidentale. I
popoli occidentali, soprattutto gli americani, sono stati per così
tanto tempo presi dal dramma della democratizzazione da essere portati
a considerare l'intero passato come una lunga era omogenea di autoritarismo.
Toffler, ad esempio, parla della vita nelle comunità semplici come
di un qualche cosa di «strettamente irreggimentato» e restrittivo.
Questo «incarceramento del passato», che sembra così
tanto costernarlo, non è, però, caratteristico della comunità
semplice, ma delle forme autoritarie che la sopraffecero, l'assorbirono
e la sostituirono. La gran massa della storia umana è legata alla
crescente impotenza individuale della società, piuttosto che a
quella decrescente. Ciò non vuol dire che la spinta più
recente della democratizzazione (per quanto confusa e ambivalente) costituisca
in ogni modo un ritorno alla forma antica. Sia la democrazia di massa,
sia la comunità semplice hanno maggiore rassomiglianza con l'autoritarismo
di quanta ne abbiano l'una con l'altra. La forma sociale organica della
comunità semplice apre la porta all'autoritarismo con l'accrescimento
in dimensione e complessità. La comunità semplice, in sé,
non è centralizzata e la comunicazione è intensa e uniformemente
distribuita. (Dopotutto, i leaders sono necessari soltano
quando un gruppo è troppo ampio o troppo nuovo per funzionare organicamente).
Al profano, la gran parte del comportamento collettivo della comunità
appare spontanea, non programmata, quasi organismica - come se la comunicazione
fosse extrasensoriale. In effetti, è semplicemente automatica
le cose vengono « intese », per cui i bisogni collettivi sono
sperimentati con la stessa intensità con cui sperimentiamo quelli
personali. Tuttavia, la delicata armonizzazione di questa comunità
non può affatto sopravvivere alla fusione con una tribù
estranea. Le guerre di piccole tribù comportano, in genere, grandi
zuffe, pochissime uccisioni e scarsi cambiamenti territoriali. Ma, quando
con gli smembramenti e i movimenti su larga scala delle persone, i gruppi
si dedicano alla conquista
e all'assorbimento di altri gruppi, si comincia a trovare (a) centralizzazione
di potere e di comunicazione e (b) gerarchia. Il che vuoi dire, giungono
in essere un capo o un rè, nobili e cittadini. William Stephens
tratta questo trapasso in un'analisi culturale incrociata di schemi familiari,
trovando la forma più autoritaria ad un livello intermedio di raffinatezza
culturale, con gli schemi «democratici» ad entrambi gli estremi.
Chiama regno la forma autoritaria, definita come avente un organo centralizzato
di controllo politico con potere coercitivo armato, un singolo dominatore
ereditario, almeno due classi sociali e sfruttamento economico. Per contrasto,
la tribù (equivalente alla comunità semplice) non ha potere
centralizzato, niente capi e nobili, nessuna città, nessuna civiltà.
Stephen avanza l'ipotesi che la formula autoritaria sia stata inventata
per porre in grado i gruppi conquistatori di mantenere il controllo di
un popolo soggiogato e del suo territorio. Egli ha trovato che la deferenza
del figlio verso il padre e della moglie verso il marito è bassa
nella tribù, alta nei regni e nuovamente bassa quando il regno
si trasforma in stato democratico, per cui è portato ad arguire
che queste forme di famiglia autoritaria sono semplicemente un sottoprodotto
dello statoautoritario. L'autoritarismo, comunque, è una forma
sociale goffa e rigida. Nei periodi di grande cambiamento tende o ad ossificarsi
e sgretolarsi, o a dissolversi in forme democratiche di maggiore flessibilità.
In nessun modo, questo è un ritorno alla semplicità o ad
una maggiore organicità. Al contrario, la democratizzazione, di
solito, spinge più lontano il processo di disconnessione iniziato
dall'autoritarismo - cioè, la conversione di unità organiche
in masse di atomi sconnessi. In effetti, questi tre stadi costituiscono
un'illustrazione della dinamica del profeta l'idea che si verifichi
un cambiamento nei sistemi viventi con l'estrusione di particelle che
vengono reingerite una volta sviluppato un nuovo circuitismo. Il movimento
dalla comunità semplice alla democrazia di massa non è né
una linea retta, né una pura oscillazione. È un movimento
pulsante in cui il cambiamento viene causato da una concentrazione iniziale
e da un diffusione successiva. Microorganismi relativamente innocui, isolati
in un laboratorio bellico di biologia, possono essere trasformati in deformazioni
virulente che, una volta reinserite negli orgnismi umani, si diffonderanno
rapidamente per distruggerli. In questo caso, il microorganismo - in origine
comodo parassita - è il profeta, il laboratorio è il deserto,
il messaggio la morte. Nel caso del trapasso da semplice comunità
a democrazia di massa, il profeta è il capo o il rè, il
deserto è l'autoritarismo e i messaggi sono la linearità,
l'individuazione e l'inibizione. La comunità semplice non è
tenuta insieme da princìpi. Ciò non vuol dire che non esistano
categorie: le categorie di consanguineità, probabilmente, hanno
grande importanza, anche tenendo conto del pregiudizio implicito degli
etnografi occidentali addestrati a presumere che tutte le persone abbiano
relazioni reciproche espresse in termini di categorie
d'appartenenza. Però, le categorie di consanguineità sono
limitate e statiche e non portano molto lontano in direzione di una generalizzazione
più astratta. Pur tendendo, entro certi limiti, ad un'organicità
schietta, esse elevano anche una barriera contro l'emergere di altri tipi
di ordine meccanico. In ogni caso, l'individuo conserva una posizione
fissa nella comunità che, lungo il corso della vita, si modifica
soltanto gradualmente e in modo del tutto prevedibile. Egli viene definito
dai suoi rapporti; se tentassimo di esaminarlo isolatamente, tabulando
gli attributi individuali su schede IBM, ben poche cose impareremmo di
lui, atte a predirci il suo comportamento. Egli è parte di un qualche
cosa in grado assai maggiore di un occidentale, per il quale un tentativo
del genere ci direbbe un mucchio di cose. Con la centralizzazione del
potere, tutto ciò comincia a cambiare. Inizialmente, il potere
è fisso ed ereditario ma, quanto più potere il rè
o il capo detiene, tanto più dinamica tende a diventare la variabile
potere. Inizialmente concepiti come rappresentazioni delle potenti forze
ambientali, i rè vengono circondati da costrizioni e restrizioni.
Ma, coll'andar del tempo, in virtù del potere in loro concentrato,
le loro preferenze
individuali, i loro capricci e i loro bisogni indeboliscono ed erodono
le limitazioni fisse ed ereditarie. Come dice Enrico V, « Corretti
costumi cortesia per grandi rè. » II modernismo comincia
col dispostismo. I rè, quindi, sono i primi individualisti. Col
crescere del loro potere, vengono incoraggiati a sviluppare atteggiamenti
narcisistici non interdipendenti. Sono i profeti dell'individualismo.
Il popolo, disancorato dai suoi ormeggi sociali e mandato alla deriva
dalla collisione di culture estranee e dall'accresciuta dimensione e complessità,
stipula un contratto tacito con il dominatore: egli creerà l'ordine,
loro gli accorderanno deferenza; egli gratificherà i loro bisogni,
loro gratificheranno il suo narcisismo. Nella comunità semplice,
entrambi questi bisogni sono gratificati pressoché automaticamente:
ognuno occupa un proprio posto, è inserito in rapporti nutritivi,
percepisce ordine e significato ed è relativamente poco conscio
di sé. Esiste interdipendenza, per cui alla dipendenza viene altamente
posta la sordina. Il narcisismo è quasi irrilevante, dacché
nessuno considera sé stesso entità isolata, ma soltanto
parte di un tutto. L'autoritarismo, invece, restituisce allo sradicato
un fac-simile di globalità e di appartenenza. A questo punto, i
bisogni di dipendenza sono gratificati, mentre quelli narcisistici permangono
irrilevanti. Tuttavia, questo è meno valido per il rè, proprio
perché reso consapevole del suo isolamento e della sua unicità,
deve essere adulato e vezzeggiato come compenso per il suo isolamento.
Questo è un processo graduale. La corte del dominatore è
un laboratorio o un deserto in cui l'individualismo può metterci
dei secoli per evolversi. Ma, non appena ci riesce, viene subito impostato
lo stadio per lo sviluppo successivo: la diffusione, cioè, dell'individualismo
alle masse.
Questo è il processo che chiamiamo democratizzazione. Spesso è
accompagnato da un attacco al profeta (il rè), secondo un meccanismo
precedentemente descritto. Il rè viene detronizzato e il suo narcisismo
viene divorato ed assorbito da tutto il popolo. La felice indifferenza
di Nicola ed Alessandra diventa l'insensibilità interiore dell'intera
classe media. Questo è il processo che il mito freudiano dell'orda
primitiva ha cercato di ritrarre. Quanto alla linearità, il processo
è lo stesso. Il rè, isolato nel laboratorio del potere centralizzato,
impara a perseguire una concezione in una maniera « logica »
senza confini - ad ignorare il feedback. Durante la fase di democratizzazione
o di diffusione, anche questo aspetto viene interiorizzato dalle masse.
La cultura tecnologica altro non è che
l'interiorizzazione, da parte della massa, della tirannia. I rapporti
all'interno di una simile società racchiudono la stessa forma competitiva
e caotica che, in precedenza, caratterizzava le relazioni fra regni in
guerra. Infine, l'autoritarismo è il primo passo nello sviluppo
dell'inibizione interiorizzata dell'impulso e del sentimento - cioè
della capacità di posporre la gratificazione a favore di obiettivi
narcisistici. Stephens osserva come siano stati i regni a segregare più
decisamente i ruoli di sesso e avanza l'ipotesi che, in genere, questi
siano sempre maggiormente inibiti e repressi che nelle tribù. Egli
cita la trattazione di Rettray Taylor sulla sindrome « patrista
»: restrizioni sessuali, scredito delle donne, autoritarismo politico,
paura della spontaneità e del piacere, e così via. Altri
studi
confermano quest'associazione fra autoritarismo, patriarchia e repressione
sessuale, nel confronto fra comunità semplici e regni, anche se
non risulta affatto chiaro che le repressioni sessuali diminuiscano in
risposta alla
democratizzazione. In ogni caso, l'inibizione che si verifica nei regni
è esterna e coercitiva. Il rè può essere costretto
dalla sua responsabilità e posizione a diventare uno specialista
in inibizione e in posposizione della
gratificazione (un « cattivo » dominatore è colui che
viene troppo clamorosamente meno a questo bisogna di solito, è
sostituito, almeno de facto, da qualcuno che sia all'altezza di porla
in atto - un primo ministro o un
usurpatore). Tuttavia, non ci si attende che il singolo cittadino reprima
i propri impulsi in assenza di pressione esterna. Per due secoli, o giù
di lì, siamo restati nella seconda fase di questo processo, in
cui la massa attacca il profeta e ne divora il messaggio. La massa, cioè,
si libera della forza e inibisce sé stessa. L'intera popolazione
comincia a manifestare un'etica di controllo, di acquisizione e di inibizione.
Max Weber ci descrive come, durante la Riforma, quel tipo di ascetismo
originariamente limitato agli specialisti monastici (altro gruppo di profeti)
si fosse successivamente diffuso nella popolazione. La diffusione della
motivazione all'acquisizione sembra aver assunto la stessa forma. Questo
processo può anche essere scorto nella diffusione della serietà
e dell'ampollosità. Re e regine erano soliti fare, a tempo perso,
giochi infantili. Durante il diciannovesimo secolo ciò è
scomparso del tutto.
Adesso, come risultato delle Little Leagues, dei balocchi educativi e
di altre forme di invasione adulta nel mondo dei bambini, questi ultimi
possono a malappena giocare. Mi ha spesso colpito la relativa incapacità
degli studenti di college (in confronto ai loro predecessori) di rispondere
all'invito di impegnarsi in giochi simulanti o ritualizzati di ogni tipo.
Prima di abbandonare l'argomento dell'autoritarismo, è necessario
chiarire due punti di questa dinamica. Prima di tutto, desidero sottolineare
il fatto che tutti e tre questi orientamenti individualismo, linearità
e inibizione sono solo parzialmente presenti nell'autoritarismo.
La caratteristica più importante di quest'ultimo è il suo
compartimentalismo. Nella corte ci si comporta in un certo modo, in un
altro modo nei villaggi. Questa è un'altra maniera per dire che,
in un sistema autoritario stabile, la comunità semplice resta ampiamente
integra, intorno ai margini della società. Le generalizzazioni
riguardanti le forme sociali dei regni tendono a centrarsi sulla corte
e sulla classe nobile. Spesso, la cultura dei cittadini resta essenzialmente
immutata. Dal punto di vista delle masse, la corte è realmente
un segmento estruso di quelli che, di tanto in tanto, possono venire disastrosamente
in urto con gli individui, pur non ripercuotendosi immediatemente sulla
loro cultura. È vero, una tassazione intollerabile, il passaggio
di eserciti, o la coscrizione estesa possono, alla fine, erodere o completamente
obliterare l'organicità del villaggio, portando alla distruzione
dell'ordine stabilito, al vagabondaggio, al banditismo e all'urbanizzazione,
ma generalmente parlando, la scomparsa della comunità semplice
si verifica con la democratizzazione - con la diffusione del messaggio
del profeta-re. Il secondo punto riguarda la nostra tendenza a confondere
la connessione organica della comunità semplice con la coercitività
dell'autoritarismo. Abbiamo così poca esperirenza di gruppi stabili
e prolungati da aver la tendenza ad immaginarci una qualsiasi intensificazione
di
rapporto come se comportasse l'essere vincolati e manipolati. Ma c'è
differenza fra l'essere una foglia su di un albero ed una posta sulla
scacchiera. In nessun modo l'essere parte non autonoma di un tutto richiede
assoggettamento al volere conscio di un estraneo. L'autoritarismo sorge
quando il tutto non funziona più, spontaneamente e intuitivamente,
come unità. Despoti ed editti affiorano come sostituti, faute de
mieux. In un gruppo organico, non è necessaria alcuna volontà
per cementare il gruppo. Ma questo livello di armonizzazione collettiva
richiede lunghi periodi di una relazione che non venga in urto con forze
esterne è un equilibrio delicato che non potrebbe esistere
nella nostra società. Per questo abbiamo difficoltà a concepire
una qualsiasi collettività intensa non dominata da qualche forma
di volontà conscia sia essa un despota, sia un'oligarchia.
Ma la pecca maggiore di questa percezione è il suo considerare
unilateralmente la relazione. Gli Americani considerano la « libertà
» un'assenza di influenza e controllo; però essa è
anche perdita di influenza e controllo sugli altri. La condizione che
Toffler diffama come « irreggimentata » è semplicemente
quella in cui la gente è altamente e reciprocamente rispondente.
Si è, sì, soggetti alle richieste altrui (incubo americano),
ma si può anche contare sul fatto che gli altri soddisferanno le
nostre. L'individualismo è un involucro che ci distrae dai rigori
della reciprocità
- dal fatto che in una società in cui io sono incapace a commuovere
te, anche tu sei impotente a commuovere me. L'impotenza endemica della
società moderna è determinata dal semplice espediente del
disconnetterci. Un motivo per cui gli Americani sono così propensi
a lasciarsi sedurre da questo involucro è che tendono a riporre
valore in sé stessi soltanto come attori, non come persone che
rispondono o che sentono. (Ho il sospetto che tutto ciò sia meno
vero per le donne, e in questo fatto ripongo qualche speranza per il futuro.)
Se dò soltanto importanza a ciò che io e gli altri facciamo,
e non a ciò che sentiamo, allora i rapporti intimi possono apparire
pericolosi, dacché daranno l'impressione di essere impedimento
alla mia azione, mentre il loro potenziale di soddisfazione dei miei bisogni
e desideri sarà meno saliente nella mia coscienza.
Specializzazione e profeti domestici
Nella società, la divisione del lavoro si basa sull'originale
assunto secondo cui l'efficienza della parte è più importante
dell'efficienza del tutto. La storia della cultura umana ha posto un vigoroso
impegno su questo punto di vista, malgrado il considerevole costo in piacere
umano. Toffler, ad esempio, sollecita i vantaggi di rapporti « modulari
» o segmentati, ai quali ogni individuo affida soltanto un frammento
del proprio coinvolgimento personale. Egli fa notare, del tutto correttamente,
che «libertà» e frammentazione vanno di pari passo
e se la prende con le
critiche sociali moderne perché non lo ammettono. Dacché
la libertà, come la maternità e la torta di mele, sono un
bene indiscusso della società americana, egli ritiene di essersi
sbarazzato del problema. Ma coinvolgimento parziale significa parziale
soddisfazione: una persona che si trovi frammentariamente nel qui-e-ora,
può vivere soltanto in maniera inumana. Le attività compartecipate
su base indifferenziata (cioè, tutti fanno la stessa cosa insieme)
sono sì, più gradevoli, ma portano via più tempo
dei compiti parcellarizzati su base differenziale. Il tempo risparmiato
è significativo soltanto se l'attività è spiacevole,
ma, nei limiti in cui viene svolta collettivamente, di solito non lo è.
Inoltre, l'efficienza raggiunta da ogni persona che acquisisca abilità
al di lui, o al di lei, compito
differenziato, viene spesso dissipata attraverso la devastazione della
noia e, in genere, perduta in ogni caso attraverso i problemi di coordinamento
dei compiti differenziati. Nella nostra moderna raffinatezza si suppone
che sappiamo tutto ciò; che sappiamo, cioè, come la comunicazione
e la coordinazione siano di gran lunga più importanti della mera
esattezza meccanica di qualche parte funzionante. Si suppone anche che
sappiamo come la compartimentalizzazione distrugga l'integrità
della persona, la quale non può essere affatto oppressa in una
certa funzione limitata. Eppure, queste verità apparentemente ovvie
hanno avuto una ripercussione modestissima sulla progressiva « modularizzazione
» dell'organizzazione sociale d'Occidente. Perché è
andata così? Come mai la competenza in compiti parziali è
arrivata ad essere apprezzata più della coordinazione ed integrazione
del tutto? Il concetto secondo cui tutto ciò che va al di là
della breve scadenza e della stretta misura possa essere acquisito in
questo modo è una potente assurdità. Dobbiamo, quindi, semplicemente
presumere che l'umanità è ebete? E che dire della natura
stessa? Dobbiamo forse presumere che le forze cieche che hanno prodotto
piante e organismi animali sono anch'esse fuorviate? Un assunto del genere
- cioè, che la natura possa sistematicamente e sostanzialmente
sbagliare - getterebbe nel caos tutto il sapere e, pur non essendo tutto
ciò da escludere, sarebbe sciocco abbracciare un tale assunto senza
esaurire alternative meno orrende. Una difficoltà ovvia è
che stiamo utilizzando l'integrazione come criterio basilare implicando,
così, che un organismo integrato è assolutamente più
vitale di uno che non lo è. Ma, all'inizio di questo capitolo,
abbiamo visto come l'integrazione abbia i propri problemi. La divisione
del lavoro è utile non perché porta all'integrazione (come
alcuni teorizzatori sociali hanno insinuato), ma esattamente perché
non lo fa. Le difficoltà di comunicazione che determina forniscono
un'occasione di cambiamento e movimento. Una metafora comune circa la
specializzazione della funzione è quella della macchina elegantemente
articolata in cui tutto funziona "come un orologio" , ma ciò
è fuorviante. Il valore della divisione del lavoro è di
introdurreun po'di caos nel sistema. Una parte che possieda una funzione
specializzata acquisisce un'autonomia di significato. Ciò viene
solitamente oscurato dal fatto che l'autonomia fisica viene, perciò,
perduta. L'autonomia fisica dipende dall'uniformità: se un organismo
composto di parti identiche si frantuma, le parti possono sopravvivere
perché auto-sufficienti ognuna contenendo un po' di tutto
ciò che era presente nel tutto. Se, invece, l'organismo è
composto di parti differenziate, queste, una volta staccate dal tutto,
periranno questo è ciò che si intende per interdipendenza.
In che senso, allora, una parte differenziata possiede autonomia? Io l'ho
chiamata autonomia di significato e, con ciò, intendo qualche cosa
di piuttosto semplice e ovvio. Se separate, due parti identiche sono indipendenti
l'una dall'altra, però sperimentano il mondo (cioè, esso
le viola)
nello stesso modo. Due parti indifferenziate, pur dipendendo l'una dall'altra
per la sopravvivenza, hanno un'esperienza del tutto differente del loro
ambiente. La mano non percepisce il mondo allo stesso modo
dell'occhio. I recettori e le categorie dell'una non sono disponibili
all'altro. In genere il problema viene dissipato osservando come mano
e occhio possono esistere soltanto in congiunzione con la totalità
dell'organismo e che la loro informazione differenziata viene coordinata
ad un livello più alto. Ciò che si trascura è che
una simile coordinazione a più alto livello è possibile
soltanto procedendo ad un più alto livello d'astrazione. Cioè
a dire, il cervello dispone soltanto di quell'informazione che è
traducibile da un sistema all'altro. Il che significa che l'occhio (o
la mano) « sa » molte cose che il cervello non può
sapere perché il suo linguaggio è troppo astratto. Il cervello,
cioè, possiede un tipo di lingua franca internazionale che sdegna
di impegnarsi colle volgarità dei dialetti locali.
Ora, come abbiamo visto, un segmento identico può cambiare soltanto
se isolato dal tutto e collocato in un ambiente alterato.
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