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Don Lorenzo Milani - L'obbedienza non è più una virtù


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Vita di don Lorenzo

Don MilaniL'uscita dal casello di Barberino del Mugello sull'autostrada del Sole, una ventina di chilometri per arrivare a Vicchio. Quasi inaspettato, vicino alla ferrovia, il segnale: Barbiana. Un segnale che rincuora: "Se è così ben indicato, il paese non sarà così sperduto come qualcuno voleva far credere", si pensa.

Superato un ponticello, che fa oltrepassare il torrente Sieve, si arriva al bivio per Barbiana. Inizia la salita. La strada è perfino asfaltata. "Erano proprio dicerie, il solito vittimismo da prete". Continua la salita, per sei chilometri. Dopotre, l'asfalto scompare. La strada si trasforma in una specie di grossa mulattiera.

I segnali sono più radi. Sorge qualche dubbio che Barbiana esista. Chi ha coraggio continua ed arriva ad una croce. Un piccolo segnale in legno, scritto a mano e rotto, annuncia: Barb...

La chiesa e la canonica appaiono, dopo qualche metro, come fossero emerse dalla nebbia e dai boschi. Un piccolo pezzo di paradiso, al di là dei confini del mondo, piantato tra i monti e i sassi del Mugello. La casa più vicina ad almen mezzo chilometro, le altre sparse per i monti. Il paese non è che una chiesa, una canonica e un cimitero. E' questo il "penitenziario ecclesiastico" dove è stata relegata una delle menti più lucide e taglienti della Chiesa italiana: Lorenzo Carlo Domenico Milani Comparetti. E' Barbiana che fa capire il senso di una vita come quella di don Lorenzo Milani.
Come per Gramsci, si vuol bloccare un cervello scomodo, esigente, dogmatico, provocatore, violento, sovvertitore dell'ordine costituito. Tanto più pericoloso in quanto ortodosso e obbediente alla gerarchia della Chiesa, alla sua amatissima Chiesa.
Come fare? basta isolarlo, sterilizzarlo, precipitarlo al centro del Mugello. A Barbiana, appunto. Dove sarà priore.

A pochi giorni dal suo trasferimento da San Donato a Barbiana, don Lorenzo si rende conto della condanna che la Chiesa fiorentina ha emanato, e scrive: "...un prete isolato è inutile, è come farsi una sega. Non sta bene e non serve a niente e Dio non vuole". Ma chi è quest'uomo, questo prete che mette paura alla Chiesa italiana? questo prete che, nonostante tutto, non si allinea a certa sinistra di maniera e ideologicamente a dir poco confusa?

E' il figlio di una famiglia dell'alta borghesia intellettuale fiorentina. Una famiglia che per secoli ha sfornato docenti universitari e scienziati. Lorenzo nasce, in una sontuosa casa di Firenze, il 27 maggio del 1923 da Albano Milani, laureato in chimica, poeta, filologo, conoscitore di sei lingue, e da Alice Weiss, donna colta di origine ebrea. Ha un fratello maggiore, Adriano, e una sorella più piccola, Elena. L'antenato più illustre è il bisnonno Domenico Comparetti. Grande filologo, conosceva 19 lingue. Lorenzo è il classico figlio di signori. Un privilegiato.

Tra gli amici del piccolo Lorenzo: Luca Pavolini, futuro giornalista, e Bice Valori, attrice. Sergio Tofano, creatore del signor Bonaventura, scriveva testi teatrali per far giocare la cucciolata dei signorini che, insieme ai Milani, in estate trascorrevano le vacanze a Castiglioncello.

E la religione? La famiglia ha sostanzialmente un atteggiamento noncurante, agnostico, laico.

Tra i dieci e gli undici anni Lorenzo è colpito da irite, una malattia degli occhi.
A quattordici anni passa i mesi freddi in Riviera, a Savona, per una ricaduta della malattia. Un signorino male in arnese e malaticcio. Nel 1930 tutta la famiglia si trasferisce a Milano per ragioni economiche, ma se la passa sempre più che bene.
Il 29 giugno 1933 i coniugi Milani, che erano sposati civilmente, celebrano il matrimonio in chiesa e battezzano i tre figli, per timore delle leggi razziali. E' il '34. Lorenzo viene ammesso alla prima ginnasiale al "Berchet". Poi passa all'istituto "Zaccaria", dei barnabiti. Per tornare infine al "Berchet". Non fu mai uno studente modello.

Durante le vacanze, nella proprietà dei Milani a Gigliola (Montespertoli vicino Firenze), chiede, tra lo stupore della famiglia, di ricevere la prima comunione. Per ragioni di salute è costretto a tornare a Savona, in quinta ginnasio viene rimandato, con tre in italiano e quattro in latino. Una mezza tragedia per la famiglia. Ripara ad ottobre al "Berchet". La prima liceo è un'altra catastrofe. Decide, inusitatamente, di saltare una classe: si presenta agli esami di ammissione in terza da privatista e... li supera grazie ad un geniale tema di italiano.

Il 21 maggio '41 la guerra anticipa la chiusura delle scuole. Lorenzo viene dichiarato maturo ma rifiuta d'andare all'università come tradizione per i Milani. Lo scontro con la scuola italiana finisce qui, per ora. Tra gli amici di questo periodo i giornalisti e scrittori Oreste Del Buono e Saverio Tutino. Dopo la maturità, manifesta l'intenzione di dedicarsi alla pittura. Il padre la ritiene "una bambinata". In ogni caso, detto fatto, viene affidato alle cure del pittore Hans Joachim Staude, a Firenze.

E' tempo di guerra e di fame, vicino a piazza Pitti accade un episodio che lo segnerà profondamente. Lorenzo, mentre dipinge, si mette a mangiare un panino. Subito una donna del popolo lo apostrofa: "Non si viene a mangiare il pane bianco nelle strade dei poveri!". Torna a Milano ed apre uno studio da pittore. E' proprio attraverso una ricerca sui colori della liturgia cattolica che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa.

A Gigliola nel '42 trova un vecchio messale. "Ho letto la Messa. Ma sai che è più interessante dei Sei personaggi in cerca d'autore?", scrive all'amico Oreste Del Buono. Va ricordata la firma della lettera: "Lorenzino dio e pittore". E' ancora un giovane adolescente con manie di onnipotenza. Sempre di questi anni è l'amicizia con Carla Sborgi, con la quale "fu quasi fidanzato".

3 giugno '43, conversione ed incontro con don Raffaele Bensi, che ne diventerà il direttore spirituale. Al capezzale di un giovane sacerdote, Lorenzo annuncia a don Bensi: "Io prenderò il suo posto". Dopo una settimana riceve la cresima dal cardinale Elia Dalla Costa. Entra al seminario di Cestello in Oltrarno il 9 novembre '43 dove si sta "zitti in latino". Già si intravede il suo spirito schietto, ironico e spavaldo, ma "fanatico dell'osservanza della regola". Non mancano contrasti col rettore monsignor Giulio Lorini e con don Mario Tirapani, che da vicario generale della diocesi lo perseguiterà e lo farà confinare a Barbiana.

La famiglia non approva la scelta di vita religiosa del figlio. Alla cerimonia della tonsura, l'atto d'ingresso alla vita ecclesiastica, nessuno dei parenti sarà presente. Con il 1943 iniziano le persecuzioni contro gli ebrei a Firenze. Albano Milani aveva visto giusto. Nel referendum istituzionale del 2 giugno '46 Lorenzo Milani si schiera per la Repubblica, nonostante le raccomandazionicontrarie del cardinale. Il 13 luglio '47 a Santa Maria del Fiore viene ordinato sacerdote dal cardinale Dalla Costa.

E' una giornata di pioggia il 9 ottobre del '47, nel grosso borgo operaio di San Donato di Calenzano arriva il giovane cappellano don Milani che dovrà dare una mano al vecchio parroco Daniele Pugi. E' qui che inizia l'elaborazione del catechismo storico. E' qui che fonda la scuola popolare. E' qui che nasce il nucleo forte di Esperienze pastorali. Dopo il suo arrivo scrive alla madre: "Sicché ora sono felice e vorrei che tu lo fossi anche te". Il fatidico 18 aprile '48: la Dc alle elezioni, grazie anche alla mobilitazione delle parrocchie, stravince. Don Milani attraversa un paio di tornate elettorali non senza contrasti, pur attenendosi al diktat di far votare i cristiani della parrocchia per la Dc. Nel 1951 s'ammala di tubercolosi.

Chiesa Muore Daniele Pugi, il "babbo - proposto", e don Milani viene esiliato: è nominato priore di Sant'Andrea a Barbiana, 475 metri sul livello del mare nei monti del Mugello, sopra Firenze. Il 6 dicembre 1954, ancora una giornata di pioggia, arriva a Barbiana. Non c'è la strada. Non c'è la luce. Non c'è l'acqua. Nella parrocchia, che doveva essere chiusa, vivono una manciata di famiglie sparse tra i monti.

Don Milani acquista subito un posto nel piccolo cimitero di montagna, dove poi verrà sepolto con i paramenti sacri e gli scarponi da montagna. Fonda una nuova scuola per i suoi ragazzi "montanini", dove i poveri imparano la lingua che sola li può render uguali. Un'esperienza unica nel suo genere e forse irripetibile. Sono molti gli intellettuali attratti dalla figura di don Milani e dalla sua scuola. Numerose le visite a Barbiana: da Pietro Ingrao al teorico della nonviolenza Aldo Capitini.

A marzo del '58 viene pubblicato Esperienze pastorali con l'imprimatur del cardinale. Il tema di fondo è la nuova pastorale utile a ricostruire un rapporto con la classe operaia, con i poveri. Tra gli estimatori del capolavoro di don Lorenzo: Luigi Einaudi, don Primo Mazzolari, monsignor Giulio Facibeni. Il libro suscita non poche polemiche. Il 15 dicembre dello stesso anno il Sant'Uffizio ordina il ritiro dal commercio dell'opera e ne proibisce ristampa e traduzione perché il testo è giudicato "inopportuno". Tirano la volata al Sant'Uffizio la Settimana del clero e Civiltà cattolica con due stroncature del libro.

Il 28 ottobre '58 diventa papa Giovanni XXIII che di lì a qualche anno convocherà il Concilio vaticano II (1962-'65). Una rivoluzione per la Chiesa. E' l'agosto del '59, don Lorenzo scrive a Nicola Pistelli, direttore di Politica, una rivista della sinistra cattolica, Un muro di foglio e di incenso. Uno straordinario documento che precorre la nuova impostazione conciliare sui rapporti interni alla Chiesa cattolica. Pistelli non ha il coraggio di pubblicarlo.

Intorno al '60 arrivano i primi sintomi del tumore ai polmoni: un linfogranuloma maligno. La malattia che lo porterà alla morte. Due anni dopo diventa vescovo di Firenze Ermenegildo Florit. 11 febbraio 1965, nel corso di un'assemblea i cappellani militari della Toscana in un comunicato definiscono l'obiezione di coscienza "espressione di viltà". Don Lorenzo elabora la Risposta ai cappellani militari, stampata in mille copie iniziali. Difende il diritto ad obiettare ma soprattutto il diritto a non obbedire acriticamente. La risposta viene pubblicata da Rinascita il 6 marzo. Esplode la polemica, il priore è minacciato di venir sospeso a divinis da Florit e denunciato, da alcuni ex combattenti, alla procura di Firenze.

Viene processato, insieme al vicedirettore responsabile di Rinascita, Luca Pavolini, per apologia di reato, a Roma dove si stampa la rivista comunista. In vista del processo, non potendo parteciparvi perché malato, prepara la Lettera ai giudici. Il 15 febbraio 1966 i giudici romani, dopo tre ore di camera di consiglio, assolvono Lorenzo Milani e Luca Pavolini perché il fatto non costituisce reato.

Don Lorenzo morirà prima del processo d'appello in cui la corte sentenzierà la condanna per Pavolini a cinque mesi e dieci giorni. Per il priore di Barbiana "il reato è estinto per morte del reo". Una condanna. Nonostante la grave malattia viene preparata la Lettera a una professoressa, contro la scuola classista che boccia i poveri. Una rampogna agli intellettuali al servizio di una sola classe. Un'opera scritta dalla scuola di Barbiana collettivamente e che verrà pubblicata a maggio del '67. I giudizi sulla scuola italiana sono trancianti, irrevocabili. La lettera verrà tradotta in tedesco, spagnolo, inglese e perfino giapponese.

Nel marzo '67 il priore si trasferisce in via Masaccio a Firenze a casa della madre. La malattia gli impedisce di parlare, comunica con dei biglietti. Due giorni prima di morire il "signorino" Milani borbotterà con la consueta ironia: "Un grande miracolo sta avvenendo in questa stanza: un cammello che passa per la cruna di un ago". Il 19 aprile scrive all'amica di gioventù Carla Sborgi, che aveva lasciato prima di entrare in seminario, e le chiede di correre a Firenze. Dopo pochi giorni lo raggiunge.

Muore il 26 giugno '67. Ad appena 44 anni. E' la vigilia di un '68 che non capirà mai fino in fondo don Milani. Proprio lui, così aspro e tagliente, lascia un commovente e dolcissimo testamento a due ragazzi della scuola di Barbiana, Francuccio e Michele Gesualdi, che il priore aveva praticamente adottato, e a Eda Pelagatti, la "perpetua", quasi una sorella, che l'aveva curato e seguito in tutta la sua vita di sacerdote. Il testamento parte con una sparata alla don Milani, ma poi si sgonfia, anzi... cresce e si illumina di tenerezza.

"Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non ho punti debiti verso di voi, ma solo crediti. Verso l'Eda invece ho solo debiti e nessun credito. Traetene le conseguenze sia sul piano affettivo che su quello economico.
Un abbraccio affettuoso, vostro
Lorenzo

Cari altri,
non vi offendete se non vi ho rammentato. Questo non è un documento importante, è solo un regolamento di conti di casa (le cose che avevo da dire le ho dette da vivo fino a annoiarvi).
Un abbraccio affettuoso, vostro
Lorenzo

Caro Michele, caro Francuccio, cari ragazzi,
non è vero che non ho debiti verso di voi. L'ho scritto per dar forza al discorso! Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma ho speranza che lui non stia attento a queste sottigliezze e abbia scritto tutto al suo conto.
Un abbraccio, vostro
Lorenzo"

Don Milani non c'è più. Continua la provocazione...

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