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Materiali per Operatori del Benessere Immateriale
Il volto e la voce del tempo di Ayres Marques
La Fotografia Terapeutica in Animazione

La giovinezza è felice perché è capace di vedere la bellezza. Chiunque sia in grado di mantenere la capacità di vedere la bellezza  non diventerà mai vecchio. (Franz Kafka)

11. La Fotografia Terapeutica applicata ai giovani

Alcuni anni prima di iniziare l’attuale progetto, ho avuto l’occasione di osservare l’eccitazione dei ragazzi nello sviluppare e stampare delle foto che loro stessi avevano scattato. Partecipare al processo magico della fotografia è un vero e proprio divertimento creativo di grande valore terapeutico in cui il ragazzo rafforza la fiducia in se stesso, la responsabilità e il senso di importanza come individuo e di conseguenza l’autostima.

Il lavoro in camera oscura si svolgeva all’interno di un progetto intitolato Fotoscuola, realizzato con studenti della Scuola Secondaria di I Grado, che consisteva nello stimolare i ragazzi a fotografare, esercitando al massimo il loro spirito di libertà, di espressione di sé e degli altri; allo stesso tempo i ragazzi acquisivano nuove abilità, partecipando consapevolmente al processo di creazione della fotografia dall’inizio alla sua conclusione. Il fatto di scattare liberamente e sviluppare la propria foto, dava loro un senso di potenziamento, risultato della sensazione di poter simbolicamente manipolare, controllare, governare la realtà.

In seguito, è stato chiesto ai ragazzi di scrivere un testo ispirato alle loro foto. Le discussioni suscitate dalle foto in chiave ludica, hanno permesso ad alcuni ragazzi di far emergere degli argomenti che normalmente sarebbero rimasti occulti.

Alla fine è stata allestita una mostra divisa in due sezioni: in una sezione si presentava la documentazione del progetto che mostrava i ragazzi nello svolgimento delle diverse fasi dell’iniziativa, nell’altra sezione si presentavano le foto e i testi creati dagli studenti. Ho osservato che nel farsi fotografare i ragazzi si sentivano al centro dell’attenzione e coglievano l’occasione per mettersi accanto agli amici, rafforzando così il sentimento di appartenenza ad un gruppo.

Il risultato è stato sorprendente, perché i ragazzi hanno veramente esercitato la loro libertà espressiva e hanno elaborato delle immagini non convenzionali. Non si sono limitati a fare delle belle foto, non si sono preoccupati unicamente di soddisfare le aspettative degli adulti, producendo delle foto “carine e piacevoli”, ma hanno sperimentato, hanno abbordato delle tematiche variate, scene del quotidiano domestico, la strada, gli oggetti, gli animali, i compagni di scuola, i corridoi della scuola, il momento dell’intervallo, la macchina di famiglia, i familiari, la casa, i paesaggi naturali del paese e della campagna circostante, le statue e i monumenti del centro storico, o addirittura le nuvole nel cielo, tutto ciò che aveva importanza per loro.

Diversamente dal progetto Fotoscuola, nel progetto Il Volto e la Voce del Tempo la fotografia viene utilizzata non come strumento di espressione creativa ma come strumento per creare un legame affettivo tra le persone.

Ragazzi tra i 10 e i 15 anni scelgono delle foto di anziani che risiedono in case di riposo e, osservando queste foto, immaginano le loro biografie. Questo esercizio di empatia, di mettersi nei panni di un’altra persona, di domandarsi che cosa succede all’essere umano quando è messo di fronte a se stesso, contribuisce alla creazione di un legame affettivo che trasforma una semplice visita ad un ospizio in un incontro tra due anime.

Per verificare un eventuale cambiamento dell’immagine mentale che il ragazzo ha dell’anziano, la psicologa Sabrina Monachesi ha elaborato un questionario e lo ha applicato sia a ragazzi che hanno preso parte al progetto sia a ragazzi che non hanno fatto tale esperienza.

I risultati hanno dimostrato che i ragazzi che hanno partecipato all’iniziativa hanno una visione molto meno stereotipata dell’anzianità rispetto a coloro che non hanno fatto lo stesso percorso.

Oltre a questo, la psicologa Daniela Colasuonno, laureatasi con una tesi sulla fototerapia, ha studiato due casi di ragazzi che avevano scritto le biografie immaginarie dei rispettivi “vecchietti”, per verificare come e se il meccanismo proiettivo si realizza in questa pratica.

La Colasuonno ha confermato che raccontare una storia a partire da una fotografia permette al ragazzo di rivelare i propri significati personali rispecchiati nell’immagine. Insomma, usando la loro immaginazione i ragazzi rivelano gli aspetti più profondi di se stessi.

Bisognerebbe tentare di essere felici, non fosse altro per dare l’esempio. (Jacques Prévert)

Le immagini mentali

Quando Ayres ha proposto alla mia Parrocchia il suo progetto ho avvertito con ancor più forza il tesoro che ci veniva offerto perché, come psicologa, intuivo le importanti conseguenze cognitive e affettive che tale iniziativa comportava.

Durante il mio corso di studi, interessandomi a tutto il ciclo di vita dell’uomo, ho potuto studiare anche l’affascinante fase della cosiddetta terza età, scoprendo molte cose che ignoravo, modificando la mia concezione della vecchiaia e sciogliendo gli stereotipi e i pregiudizi che popolavano la mia mente.

L’esistenza nel mio mondo concettuale, quindi nel mondo concettuale di un giovane adulto, di false credenze o di immagini dell’anziano rigide e non sempre aderenti alla realtà non è un fatto insolito o singolare.

Le immagini mentali sono degli schemi, delle concezioni con valenza emozionale che fin da piccoli ci formiamo circa gli elementi della realtà. Queste immagini mentali ci permettono di affrontare il mondo e le diverse situazioni formulando delle ipotesi, facendo nascere delle aspettative. Alla loro determinazione concorre la propria disposizione personale, l’ambiente circostante e le esperienze fatte.

È evidente, quindi, quanto la figura dell’anziano sia mediata anche dall’ambiente familiare, soprattutto nei primi anni dello sviluppo. Se la coabitazione con i nonni favorisce un’immagine tridimensionale del vecchio, plastica, aderente, i nuovi nuclei familiari, non permettendo sempre una significativa vicinanza dei nonni, favoriscono la formazione di un concetto di vecchiaia basato su una visione poco profonda, centrata su tratti preminenti. L’immagine si trasforma così in caricatura e si legano strettamente dei binomi riduttivi (vecchio-malato, anziano-noia, vecchio-morte), nella realtà non così necessariamente connessi.

Se queste immagini mentali vengono formate fin dai primi contatti con il mondo esterno, ciò non significa che non si modifichino: il pensiero e le opinioni cambiano a contatto con la realtà; così come un oggetto da lontano può apparire sfuocato e impreciso ma messo a fuoco rivela una quantità sorprendente di particolari insospettati, così l’immagine mentale, nel continuo confronto con la realtà può arricchirsi e modificarsi, approfondendosi e diventando vero specchio della realtà.

Per ottenere questi cambiamenti è necessario l’incontro.

Un vero incontro è scambio e non credo sia stato facile costruire il setting ideale in cui questo è potuto avvenire: per Ayres diventava di vitale importanza trovare la ricchezza propria dei ragazzi da condividere con quella degli anziani. Così si è cercato di stimolare negli uni la fantasia e la curiosità e negli altri la reminiscenza, i ricordi.

Un tale lavoro ha toccato diverse corde e ha prodotto frutti in diverse prospettive.

Gli studiosi di psicogerontologia sostengono che l’invecchiamento non comporti necessariamente disadattamento o declino psichico, ma che gli anziani possano mantenere funzionalità e adattamento qualora si sentano protagonisti della propria vita, in un clima culturale non emarginante. Il progetto Il Volto e la Voce del Tempo ha aperto le porte delle case di riposo mostrando delle persone che hanno ancora molto da dire e da dare.

Per i ragazzi approfondire la propria immagine di vecchiaia è stato importante sia in una prospettiva immediata, poiché ha prodotto nuova conoscenza, sia in una prospettiva più lungimirante, in quanto lo stile di invecchiamento che adotteranno sarà funzione dell’immagine mentale che di tale fase della vita hanno costruito.

Dott.ssa Sabrina Monachesi (Psicologa)        

In ogni età il Signore chiede a ciascuno l’apporto dei propri talenti. (Giovanni Paolo II)

La Fotografia come Metafora

L’atto di guardare qualsiasi immagine fotografica produce delle percezioni e reazioni che vengono proiettate dal mondo interiore della persona  sulla realtà e che determina così il senso che viene dato a ciò che si vede. Perciò questa tecnica non si basa su un tipo specifico di foto ma piuttosto sull’interfaccia meno tangibile tra una foto e il suo osservatore o creatore, lo “spazio” in cui ogni persona forma le proprie originali risposte a ciò che vede. 

La tecnica proiettiva è, in definitiva, un processo metaforico basato sulle libere associazioni evocate da una fotografia, la quale rileva l’esistenza di legami che vengono percepiti, non necessariamente, a livello conscio: nel momento in cui interagiamo con una foto, sia osservandola da soli che parlandone con altri, scopriamo dei significati che possono prescindere da ciò che essa riproduce.

Il test di appercezione tematica ( T.A.T.) ha, come ho già avuto modo di accennare, molto in comune con la fotografia. Bellak ha riconosciuto l’esistenza di quattro livelli, caratteristici del T.A.T., ai quali è possibile ricondurre geneticamente i fantasmi elaborati nell’applicazione di questo test.

Vi è un primo livello superficiale, al quale il soggetto riconosce ed esplicita la significazione soggettiva della storia che ha elaborato, sa cioè che con la stessa ha esteriorizzato un evento della sua vita personale.

Sottostante a questo vi è un secondo livello che Bellak chiama di sensibilizzazione, dovuto a stati di tensione emotiva; per tale tensione il soggetto è portato a compiere delle discriminazioni percettive più fini in determinati campi sensoriali che rispondono ai suoi bisogni ed alle emozioni suscitate dalla tensione: quindi le storie colgono selettivamente degli stimoli che oggettivamente non hanno particolare salienza, o addirittura il soggetto inventa stimoli che non esistono, ne scotomizza altri che sono invece molto importanti.

Ad un livello ancora più profondo si ha il caso della proiezione semplice ( quella che Ombredane e Cattell chiamano “complementare” ), dove si nota una certa distorsione della realtà obiettiva, in quanto si tende ad identificare i protagonisti delle storie con figure che hanno avuto importanza nella propria vita passata, trasferendo verso di essi sentimenti ed atteggiamenti pragmatici senza essere consapevoli di tale processo.

Ad un ultimo livello si ha infine la c. d. proiezione invertita che coincide sostanzialmente col meccanismo di difesa descritto da S. Freud nella paranoia, ovvero attribuisco a qualcuno dell’odio nei miei riguardi perché lo odio per il fatto di sentire che lo amo.

È facile rilevare che il primo di questi livelli è cosciente, al massimo preconscio; gli altri invece sono più o meno inconsci, secondo una gradazione di profondità determinata dal progressivo affermarsi dei processi psicologici primari su quelli secondari.

A partire da questi livelli elaborati da Bellak (e tipici del T.A.T.) ho voluto affiancare, nella mia tesi, altri quattro livelli, caratteristici della fotografia, complementari ai primi, ma in alcuni aspetti addirittura più semplici e pratici per la somministrazione.

Al primo livello il paziente descrive semplicemente una sua fotografia, sapendo che sta parlando di sé e di un frammento del suo passato. Egli deve solo riportare nel presente i significati delle immagini del passato, insiti in ogni fotografia.

Il secondo livello, simile a quello che Bellak ha definito “di sensibilizzazione”, è caratterizzato da alta tensione emotiva, quindi il paziente potrà tralasciare i dettagli o, viceversa, descrivere la fotografia minuziosamente.

Nel terzo livello il paziente di fronte alle fotografie dei propri genitori (o figure di accudimento) ha delle reazioni (anche non verbali), che possono essere significative per stabilire le modalità di attaccamento e le ripercussioni nella vita attuale del paziente. Inoltre, dall’immagine stessa, possiamo notare le dinamiche familiari.

Nell’ultimo livello si trovano tutti i meccanismi di difesa utilizzati inconsciamente dal paziente nel descrivere (o non descrivere) la situazione fotografica.

Tale ricerca è ancora agli inizi e la strada da percorrere è estremamente lunga, ma l’esperienza offertami dal progetto “Il volto e la voce del tempo” mi ha fornito considerazioni confortanti e   posto ulteriori interrogativi interessanti.

Ho lavorato con i ragazzi della scuola media coinvolti nel progetto, analizzando le loro storie immaginarie e ponendo, sulla base di queste, alcune ulteriori domande per meglio conoscerli. 

In generale possiamo dire che i ragazzi se devono scrivere una storia immaginaria diventano prolissi mentre se, al contrario, devono raccontare una storia reale o parlare di sé, diventano sintetici. Il racconto immaginario è, perciò, una opportunità inconscia, per parlare di sé, senza che la persona che scrive se ne renda conto. Il meccanismo, ancora una volta, possiamo paragonarlo a ciò che avviene nel Test di Appercezione Tematica (T.A.T.); in questo caso però c’è l’associazione dell’immagine visiva (la fotografia dell’anziano) e il racconto (scritto) di una storia immaginaria. Infatti se chiedessimo ai ragazzi di parlare direttamente della propria famiglia, o solo del padre o della madre, non verrebbero fuori tanti particolari che, invece, scopriamo nei loro racconti fantasiosi.

Questo progetto si è rivelato molto utile per comprendere i conflitti e i dinamiche inconsce dei ragazzi, infatti ho deciso di focalizzarmi su due di loro che rispecchiano, in linea generale, ciò che succede a qualsiasi persona a contatto con una fotografia, in più però questi esempi specifici ci permettono di capire cosa succede nel periodo pre-adolescenziale e, in particolar modo, le differenze di genere nel modo di porsi di fronte a domande specifiche su di sé.

La prima di cui parlerò è G.R. una ragazzina di 13 anni, a cui è stata data la fotografia di V.G., una signora di 82 anni, molto malata.

G. R. è una ragazzina di 13 anni, secondogenita (ha un fratello di 15 anni) di una famiglia benestante (madre insegnante e padre dirigente di un’attività sportiva). Nel suo racconto lei inserisce l’anziana donna come proveniente da una buona famiglia; la chiama Giuseppina, ma tutti la chiamano Pina, usa molto i diminutivi, anche per una delle sorelle (Raffaellina), inoltre la definisce brutta. G.R. non ha una buona immagine di sé e sembra avere un senso di inferiorità nei confronti dei suoi compagni. Pina si sposa e ha una figlia, Giulia: ecco la sua identificazione nella situazione di figlia. Il padre va in guerra e non torna più, qui assistiamo ad un sentimento di abbandono; mentre la madre è vista come severa, poco affettuosa “non avrebbe mai sentito sua madre raccontare una fiaba” alla figlia, dice. Nella parte finale del racconto sentiamo un desiderio di amore, serenità, felicità e speranza nel lieto fine.

Ho incontrato G.R. durante le ore scolastiche e le ho somministrato un test appositamente preparato per lei, sulla base di ciò che aveva scritto nel suo racconto immaginario e sull’analisi che avevo fatto sul testo. Il test è così organizzato (non vengono riportati i dati anagrafici per questione di privacy):

Nata il……………………. a…………………… Classe………………………

Nome madre………………………… nata il……………… Professione…………………………

Nome padre…………………………. nato il……………… Professione…………………………

Hai fratelli/sorelle?  SÌ  NO      

- Se la risposta è sì, quanti?............................

Sei la primogenita?  SÌ  NO      

- Se la risposta è no, specifica…………………...

I tuoi fratelli/sorelle come si chiamano, quanti anni hanno e che lavoro svolgono?........................................................

Cosa vorresti fare da grande?....la psicologa dell’età evolutiva

Perché?....Voglio mi sembra una professione utile

Cosa hai pensato quando ti hanno proposto il progetto “IL VOLTO E LA VOCE DEL TEMPO”?

ho pensato subito che fosse una cosa molto utile, sia per noi che per gli anziani

Definisci la parola “VECCHIO” (cosa vuol dire per te essere vecchio)?

Vuol dire aver vissuto la vita in modo spontaneo e piacevole penso e spero!

Dopo aver visitato una casa di cura e aver collaborato con gli anziani la tua opinione su di loro è cambiata?

Se è sì come e perché?.....un po’ è cambiata ma di poco li consideravo sempre delle persone meritevoli di rispetto

Se avessi ricevuto la foto di questo anziano (ho scambiato le foto dei due ragazzi), cosa avresti pensato di lui (chi è, cosa fa, cosa pensa, ecc.)?.......avrei pensato, forse, una diversa storia dietro alla sua vita. forse era una persona ricca di qualità o invece no, nn lo so precisamente

Come immagini la tua vecchiaia?...........vorrei vedere la mia vecchiaia ma purtroppo nn ce la faccio, ancora, comunque penso e spero di non essere mandata in una casa di riposo. Nelle persone di villa serena ho visto molta sofferenza

Come immagini il tuo futuro?

ma, non so, spero bene.

Qual è la fiaba che preferisci? Raccontala brevemente e spiega perché ti piace.

la fiaba che mi piace è cenerentola perché parla 1 po’ d’amore, ma anche di sofferenza perché la ragazza è stata abbandonata dalla madre quando era piccola e poi dal padre verso gli 8anni. Però alla fine finisce bene

Se potessi cambiare il tuo nome, quale sceglieresti? Perché?

nn lo cambierei x niente

C’è qualcosa che vorresti dirle e che non hai avuto la possibilità o il coraggio di esprimerle?

no, le ho detto tutto

Se dovessi esprimere un desiderio per te e uno per lei cosa chiederesti?

per me vorrei non avere più problemi fisici perché ho visto che mi ostacolano molto e per lei di avere una famiglia che la cura

Cosa pensi dell’amore?

penso che è una cosa fantastica ma che purtroppo non capita a tutti o se capita dopo ci si lascia. Quando succede questo è molto doloroso. Parlo con l’esperienza.

Innanzitutto possiamo notare sia dal test che dal racconto il desiderio della ragazza di sentirsi utile, importante, di essere considerata e riconosciuta come buona, brava, generosa, l’aggressività è repressa, esprime solo sentimenti positivi privi di rabbia e risentimento che comunque ci sono. Anche per quanto riguarda il suo futuro sembra decisa, vuole fare la psicologa dell’età evolutiva, perché la ritiene una professione utile. La fiaba che preferisce è Cenerentola, perché parla un po’ d’amore e un po’ di sofferenza, la ragazza è stata abbandonata dalla madre quando era piccola e poi dal padre verso gli 8 anni; anche lei ha vissuto questo abbandono, però come nella fiaba spera nel lieto fine. Inoltre Cenerentola ha due sorellastre che la maltrattano e questo lo ritroviamo nella storia immaginaria dove Pina ha due sorelle con cui non ha un bel rapporto.

Quando le chiedo un desiderio per sé e uno per l’anziana donna che ha incontrato assistiamo a un capovolgimento, ad uno scambio di ruoli in un certo senso: per sé non vorrebbe avere più problemi fisici, che sicuramente ci sono e non sono vissuti in maniera serena, ma non dimentichiamo che la signora incontrata da G.R. è gravemente malata, non può muoversi e non è assolutamente autosufficiente; mentre per la signora vuole una famiglia che la curi, ovvero ciò che vuole per sé: essere amata. Ho aggiunto per questo motivo un ultima domanda in extremis chiedendole cosa sia l’amore, che definisce come un qualcosa di fantastico, che non capita a tutti, e che quando c’è non dura mai per sempre, ma si conclude con un abbandono e una sofferenza; qui aggiunge che parla “con esperienza”. Nelle sue parole e nella sua storia fantastica sentiamo la sofferenza vissuta da questa ragazzina in maniera rassegnata a livello conscio, ma dentro di sé vive sentimenti un po’ contrastanti che convergono nella speranza di un miglioramento della sua situazione. Non ho dati specifici sulla situazione familiare di G.R. e, oltre a quel breve incontro, non ho più parlato con lei, ma sarebbe interessantissimo scoprire qualcosa naturalmente con il suo aiuto. Ed è proprio questo il concetto centrale della mia ricerca, ovvero la fotografia e il racconto che qualcuno costruisce su di essa, ci forniscono dati significativi per capire ciò che è avvenuto e sta avvenendo nella vita di ognuno, le modalità di risposta a determinate situazioni stressanti e i sentimenti e le emozioni sottostanti a questi comportamenti. Inoltre possiamo notare una differenza di genere nel modo di esprimersi, e per questo motivo riporto il caso di un ragazzo della stessa età e che come G.R. ha partecipato al progetto.     

Lui è D.D.R., che ha ricevuto la fotografia di R. A., un anziano signore con evidenti disturbi ossessivo-compulsivi.

R. A. è un anziano signore di 77 anni, vedovo con un figlio. Ha lavorato come macchinista sulle navi e di sé dice: “ho viaggiato molto, ma non ho visto niente.” Nella casa di riposo è ritenuto un ospite ordinato e preciso e vi alloggia dal 2002.

D. D. R. è un ragazzo di 13 anni ed è il primogenito di due figli, il padre è un cuoco e la madre casalinga. Il suo racconto è molto breve, forse anche per le difficoltà che uno straniero incontra con una lingua nuova e sconosciuta. Non sappiamo da quanto tempo D.D.R. è in Italia, ma sappiamo per certo che non è nato qui. Nel suo racconto specifica la provincia e la regione in cui il suo ipotetico personaggio vive, questo quasi a cercare un senso di appartenenza. Dice che la moglie è morta quando aveva 28 anni, durante la II Guerra Mondiale per due spari al petto, lo lascia solo con due figli. anche lui come la ragazza sopra citata, vive un sentimento di abbandono da parte della madre, questa figura femminile che muore e che li abbandona, ma la colpa non è sua (perché muore), il sentimento di rabbia viene riversato sul padre, artefice secondo i figli, della scomparsa della consorte. Notiamo anche che l’iniziale dei nomi dei due figli, Domenico e Rino, corrispondono alle iniziali del suo nome e cognome. Il ragazzo quindi si identifica nei due figli, vive la madre come assente fisicamente, lontana da sé e riversa la colpa di questo sul padre, punendolo con la perdita del lavoro che “era l’unico che poteva dargli da mangiare”; quindi senza lavoro non mangi, senza mangiare non vivi e muori. Qui però assistiamo, attraverso un meccanismo difensivo attraverso il quale la rabbia e il desiderio di morte verso il padre si trasforma in un qualcosa di più accettabile: vede l’uomo non come morto ma come un barbone, che si ritrova solo in una casa di cura con un unico desiderio: rivedere i suoi figli, ma la punizione per questo padre è aspettare il ritorno e il perdono dei figli che sembra non debba mai arrivare.

Durante la somministrazione del test appare disinteressato e anche molto frettoloso nelle risposte che risultano molto brevi ed essenziali.

Nato il……………………. a…………………… Classe…………………………

Nome madre………………………… nata il……………… Professione…………………………

Nome padre…………………………. nato il………………. Professione…………………………

Hai fratelli/sorelle?  SÌ  NO      

- Se la risposta è sì, quanti?...........................

Sei la primogenita?  SÌ  NO      

- Se la risposta è no, specifica…………………..

I tuoi fratelli/sorelle come si chiamano, quanti anni hanno e che lavoro svolgono?.........................................................

Cosa vorresti fare da grande?

non lo so ma può darsi il (pompiere)

Perché?....mi piace da piccolo e mi piace salvare le vite

Cosa hai pensato quando ti hanno proposto il progetto “IL VOLTO E LA VOCE DEL TEMPO”?

ho detto va bene.

Definisci la parola “VECCHIO” (cosa vuol dire per te essere vecchio)?

una persona della 3 età

Dopo aver visitato una casa di cura e aver collaborato con gli anziani la tua opinione su di loro è cambiata? Se è sì come e perché?

no non è cambiata

Se avessi ricevuto la foto di questa anziana (ho scambiato le foto dei due ragazzi), cosa avresti pensato di lei (chi è, cosa fa, cosa pensa, ecc.)?

penserei che una persona della 3 età che non sta tanto bene

Come immagini la tua vecchiaia?

non lo so

Come immagini il tuo futuro?

non lo so (non ci penso)

Qual è la fiaba che preferisci? Raccontala brevemente e spiega perché ti piace

mi piacciono un po’ tutte

Se potessi cambiare il tuo nome, quale sceglieresti? Perché?

no perché mi piace il mio nome

Hai rivisto R. A. dopo quella esperienza?

NO

Cosa pensi di lui ora che conosci la sua vera storia?

che è una persona particolare

C’è qualcosa che vorresti dirgli e che non hai avuto la possibilità o il coraggio di esprimergli?

sì quanti anni ha

Se dovessi esprimere un desiderio per te e uno per lui cosa chiederesti?

che potesse andare nella sua nave

Cosa pensi della guerra?

è una cosa molto brutta

Innanzitutto ho notato che il ragazzo nei suoi dati anagrafici non inserisce la data di nascita ma solo la sua provenienza. Alla domanda su che cosa vorrebbe fare da grande lui risponde il pompiere, perché gli piace salvare le vite, però “il pompiere” lo mette tra parentesi, così come alla domanda su come immagina il suo futuro risponde in primis “non lo so” e tra parentesi aggiunge “non ci penso”. È  un ragazzo che vive nel suo presente (come forse è giusto che sia a questa età, dove prevale per lo più la parte ludica della vita) senza pensare a sé in una prospettiva futura. In tutte le altre domande appare frettoloso e superficiale nelle risposte, ma una risulta significativa, quella che riguarda un desiderio per sé e uno per l’anziano. Per sé omette la risposta, per R.A. spera che possa tornare sulla sua nave. Sembra in tutto il suo racconto e nelle risposte che ha dato a questo test che il ragazzo abbia una voglia di evadere, di non fermarsi a pensare associato a un senso di nostalgia unito a un desiderio e una speranza per un qualcosa che conserva dentro di sé.

Entrambi i ragazzi però hanno risposto in maniera uguale a una domanda che riguarda la loro identità, infatti quando ho chiesto loro se potendo cambiare il loro nome quale avrebbero scelto, entrambi rispondono che non lo cambierebbero assolutamente. Ciò rispecchia comunque la consapevolezza che hanno di sé, quindi questi ragazzi pur avendo dovuto affrontare determinati problemi (che forse sono semplici tappe stressanti ed obbligate dell’età e della vita) mantengono una buona consapevolezza e identità di sé.

Queste sono solo due delle tante storie che possono nascondersi dietro ad un racconto costruito intorno ad una fotografia, la quale può aiutarci a comprendere molto della persona che abbiamo di fronte, dei perché dei suoi comportamenti e soprattutto quali emozioni e sentimenti, a volte, sono tenuti ben nascosti agli occhi del mondo.

Dott.ssa Daniela Colasuonno (Psicologa)

Attività

E tu, cosa pensi della vecchiaia? Riesci ad immaginarti “vecchio/a”?

Giuseppe, il pompiere - Una biografia immaginaria

Giuseppe era un pompiere di Ancona, lui era talmente bravo che in tutti gli incendi che c’erano veniva sempre chiamato. Pensate un po’: una volta in un incendio molto pericoloso lui e i suoi compagni riuscirono per miracolo a salvare una bambina piccola e i suoi genitori.

Giuseppe in quell’incendio conobbe sua moglie, che era un’amica della famiglia scampata all’incendio, ed è come se fosse stato amore a prima vista. Dopo un anno di amore nascosto decisero di fidanzarsi e dopo alcuni anni sposarsi. Ebbero 2 bellissimi bambini che si chiamano Giulia e Marco, due fratelli molto uniti.

Giuseppe era un ragazzo molto allegro, simpatico e gentile, e così è rimasto anche da adulto, ma quando i suoi figli gli disubbidivano lui li sgridava.

  Sofia (Parrocchia Sacro Cuore – Loreto)

   

Quando siamo giovani crediamo che nella nostra esistenza, i fatti e le persone importanti, quelli destinati a influire su essa, si faranno annunciare da trombe e tamburi, ma nella vecchiaia, riflettendoci retrospettivamente, constatiamo che gli uni e le altre si sono insinuati nella nostra vita in silenzio, passando per la porta di servizio e quasi inosservati. (Schopenhauer)

Nonno e Padre Pio

Ho scattato questa foto a Porta Marina, a Loreto, dov’è stata collocata la statua di Padre Pio, in una giornata un po’ nebbiosa.

In verità non avevo intenzione di fotografare anche la signora, ma la foto mi è sembrata interessante e così ho colto quest’attimo bello ed unico di tenera devozione.

Quando ho fatto vedere la foto a mio nonno, lui, con gli occhi illuminati e un po’ bagnati per la commozione, mi ha chiesto subito se volevo sentire la sua storia. Così, mi sono seduta ed ho iniziato ad ascoltare quello che (non lo sapevo ancora) sarebbe stato un racconto incredibile ed appassionante.

Subito dopo la guerra, nonno faceva il cameriere qui a Loreto. In seguito, nel 1948 andò a San Giovanni Rotondo dove c’era un frate (Padre Pio) che richiamava moltissimi pellegrini predicando e confessando. Questa cittadina, oggi divenuta famosissima e meta di numerosi turisti, allora non era altro che un insieme di casupole dove gli abitanti vivevano in condizioni di vita precarie e aveva solo un piccolo albergo, dove mio nonno trovò lavoro.

Fin qui, il racconto mi sembrava normalissimo, una di quelle storie che i nonni raccontano ai nipoti in memoria degli anni della giovinezza ormai passati, finché non ho scoperto che mio nonno aveva conosciuto Padre Pio, un frate destinato a diventare un santo e uno dei simboli più forti della fede popolare. Parlando del loro incontro, nonno mi ha confermato che, come tutti sanno, Padre Pio era un uomo severo e determinato.

In particolare, mio nonno ricorda ancora vivamente due episodi molto speciali.

Un amico di nonno decise di andare a trovarlo a San Giovanni Rotondo, era un uomo che amava bestemmiare e non andava mai a Messa, ma dopo essersi confessato con Padre Pio, cambiò totalmente atteggiamento: prese l’abitudine di andare a Messa tutte le mattine e continuò così per tutta la vita.

Un pullman di pellegrini doveva ritornare a Ferrara, ma alcune persone non avevano potuto confessarsi. Padre Pio parlò con il capogruppo chiedendo il motivo della partenza e la risposta fu che molti dovevano tornare al lavoro, ma Padre Pio affermò: “Tanto non ci arrivate a Ferrara…”.

Il pullman cominciò a dare problemi sulla strada del ritorno e all’altezza di Pescara si ruppe definitivamente. Il gruppo fu costretto a tornare indietro, e nel percorso verso San Giovanni Rotondo il pullman andava benissimo. Una volta confessati tutti i pellegrini, il viaggio di ritorno verso Ferrara non ebbe più alcun problema.

Dopo aver ascoltato questi ricordi straordinari sono rimasta molto impressionata ed ho capito perché ancora oggi tante persone cercano conforto nelle preghiere a Padre Pio.

Elena

Attività

Raccogli le vecchie foto della tua famiglia e scopri le storie che queste foto “raccontano”.