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per Operatori del Benessere Immateriale
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I giochi e gli uomini. La maschera
e la vertigine di Roger Caillois
Prefazione di Pier Aldo Rovatti | Note all'edizione italiana di Giampaolo Dossena |Traduzione di Laura Guarino | Titolo originale Les Jeux et les hommes - Le masque et le vertige | 1967 Editions Gallimard | 1981/2010 RCS Libri S.p.A. |
Il mondo degli insetti appare, di fronte al mondo umano, come la soluzione più lontana che la natura possa fornire. Questo mondo è lopposto, sotto tutti i profili, di quello delluomo, ma non è meno elaborato, complesso e sorprendente. Mi pare quindi legittimo prendere qui in considerazione i fenomeni di mimetismo di cui gli insetti presentano gli esempi più inquietanti. Infatti, a un libero comportamento delluomo, versatile, arbitrario, imperfetto e soprattutto diretto a una qualche costruzione esteriore, corrisponde nellanimale, e più particolarmente nellinsetto, una modificazione organica, fissa, assoluta, che contrassegna la specie e che vediamo infinitamente ed esattamente riprodotta di generazione in generazione in miliardi di individui: ad esempio, le caste delle formiche e delle termiti rispetto alla lotta di classe o i disegni delle ali delle farfalle rispetto alla storia della pittura. Per poco che si ammetta questa ipotesi, sulla cui temerarietà non nutro alcuna illusione, linesplicabile mimetismo degli insetti fornisce immediatamente uno straordinario rincontro al gusto delluomo di mascherarsi, travestirsi, portare una maschera, sostenere una parte. Solo che, questa volta, la maschera, il travestimento, fa parte del corpo, invece dessere un accessorio inventato e costruito. Ma, in tutti e due i casi, serve esattamente agli stessi fini: mutare lapparenza del soggetto e incutere paura agli altri.18 Presso i vertebrati, la tendenza a imitare si manifesta innanzitutto in una sorta di contagio rigorosamente fisico, quasi irresistibile, analogo al contagio dello sbadiglio, della corsa, della claudicazione, del sorriso e, soprattutto, del movimento. Hudson ha creduto di poter affermare che, spontaneamente, un giovane animale segue ogni oggetto che si allontana, fugge ogni oggetto che si avvicina. Al punto che un agnello sobbalza e scappa se la madre si volta e gli muove incontro, senza riconoscerla, mentre segue luomo, il cane, il cavallo che vede allontanarsi. Contagio e imitazione non sono ancora simulacro, ma lo rendono possibile e fanno nascere lidea, il gusto della mimica. Negli uccelli, questa tendenza porta alle parate nuziali, a cerimonie, sfoggi ed esibizioni a cui maschi e femmine, a seconda dei casi, si abbandonano con straordinaria applicazione ed evidente piacere. Quanto ai granchi Oxyrhyncha che si conficcano nel guscio tutte le alghe o i polipi che riescono a prendere, la loro inclinazione al mascheramento, qualunque ne sia la spiegazione, non lascia dubbi. Mimica e travestimento sono dunque le molle complementari di questa categoria di giochi. Nel bambino, si tratta essenzialmente di imitare ladulto. Di qui, il successo dei costumi e dei giocattoli che riproducono in miniatura gli arnesi, gli apparecchi, le armi e le macchine di cui si servono i grandi. La bambina gioca alla mamma, alla cuoca, alla lavandaia, alla stiratrice; il bambino finge dessere un soldato, un moschettiere, un poliziotto, un pirata, un cow-boy, un marziano,19 ecc. Fa laeroplano allargando le braccia e imitando il brontolio del motore. Ma i comportamenti che rientrano nella mimicry trascendono i limiti dellinfanzia e investono ampiamente la vita adulta. E comprendono ugualmente ogni divertimento a cui ci si abbandoni mascherati o travestiti, divertimento che consiste nel fatto stesso di essere mascherati e nelle sue conseguenze. Infine, è evidente che la rappresentazione teatrale e linterpretazione drammatica entrano a pieno diritto in questo gruppo. Il piacere consiste nellessere un altro o nel farsi passare per un altro. Ma, dal momento che si tratta di un gioco, la questione essenziale non è esattamente quella di ingannare lo spettatore. Il bambino che fa il treno può anche rifiutare il bacio del padre dicendogli che non si baciano le locomotive, ma in fondo non cerca di fargli credere dessere una vera locomotiva. A Carnevale, la persona mascherata non vuole realmente far credere di essere un vero marchese, un vero torero, un vero pellerossa; cerca piuttosto di spaventare e di approfittare della generale atmosfera di libertà, essa stessa risultato del fatto che la maschera mette in ombra il personaggio sociale e libera la vera personalità del soggetto. Neppure lattore cerca di far credere dessere sul serio Lear o Carlo V. Sono solo la spia e il fuggiasco a mascherarsi per ingannare realmente; loro, infatti, non giocano. Attività, immaginazione, interpretazione: la mimicry non può avere alcun rapporto con Valea, che impone al giocatore limmobilità e il brivido dellattesa, ma non è escluso che coincida per alcuni aspetti con lagon. Non penso tanto alle gare per il miglior travestimento in cui la coincidenza è del tutto esteriore. Cè una complicità più sottile facilmente riscontrabile. Per coloro che non vi partecipano da protagonisti, ogni agon è uno spettacolo. Uno spettacolo, però, che per essere valido esclude il simulacro. Le grandi manifestazioni sportive diventano occasioni privilegiate di mimicry se appena ci si convince che, in esse, il simulacro è trasferito dai protagonisti agli spettatori: non sono gli atleti che mimano, bensì il pubblico. Già lidentificazione con il campione costituisce di per sé una mimicry affine a quella per cui il lettore si riconosce nelleroe del romanzo, lo spettatore nel protagonista del film. Per convincersene, basta considerare la funzione perfettamente simmetrica del campione e della vedette, sulla quale avrò occasione di tornare in modo più esplicito. I campioni, trionfatori dellagon, sono le vedette degli incontri sportivi. Le vedette, a loro volta, sono i vincitori di una competizione più diffusa la cui posta è il favore popolare. Sia gli uni che gli altri ricevono moltissima posta dagli ammiratori, rilasciano interviste a una stampa avida di notizie sensazionali, firmano autografi. Di fatto, la corsa ciclistica, lincontro di pugilato o di lotta, la partita di calcio, di tennis o di polo, costituiscono degli spettacoli in sé con i loro costumi, lapertura solenne, la liturgia adeguata, lo svolgimento prestabilito. Sono, in una parola, dei drammi le cui alterne vicende tengono il pubblico con il fiato sospeso e che si concludono con un risultato che esalta gli uni e delude gli altri. La natura di questi spettacoli resta quella di un agon, ma i loro caratteri esteriori sono i caratteri tipici di una rappresentazione. Gli spettatori non si accontentano di incoraggiare con la voce e i gesti lo sforzo degli atleti preferiti o, allippodromo, quello dei cavalli su cui hanno puntato: una sorta di contagio fisico li porta a mimare latteggiamento degli uomini e delle bestie come per aiutarli, allo stesso modo in cui un giocatore di birilli piega impercettibilmente il corpo nella direzione che vorrebbe far prendere alla palla alla fine del suo percorso. In questo caso, oltre allo spettacolo, ha origine, nel pubblico, una competizione per mimicry che affianca lagon vero e proprio del campo o della pista. A eccezione di una, la mimicry presenta tutte le caratteristiche del gioco: libertà, convenzione, sospensione del reale, spazio e tempo delimitati. Non vi si trova, tuttavia, lassoggettamento continuo a regole imperative e precise: lo sostituiscono, come abbiamo visto, la dissimulazione della realtà, la simulazione di unaltra realtà. La mimicry è invenzione continua. La regola del gioco è unica: consiste, per lattore, nellaffascinare lo spettatore, evitando che un eventuale errore porti questultimo a rifiutare lillusione; e consiste, per lo spettatore, nel prestarsi allillusione senza ricusare di primo acchito lo scenario, la maschera, lartificio cui viene invitato a prestar fede, per un determinato periodo di tempo, come a un reale più reale del reale. Ilinx. Unultima specie di giochi comprende quelli che si basano sulla ricerca della vertigine e consistono in un tentativo di distruggere per un attimo la stabilità della percezione e a far subire alla coscienza, lucida, una sorta di voluttuoso panico. In tutti i casi, si tratta di accedere a una specie di spasmo, di trance o smarrimento che annulla la realtà con vertiginosa precipitazione. Il turbamento provocato dalla vertigine è comunemente ricercato per se stesso: mi limiterò a citare gli esercizi dei dervisci danzanti e quelli dei voladores messicani. Ho scelto questi due esempi di proposito, perché i primi si ricollegano, per la tecnica impiegata, ad alcuni giochi infantili, mentre i secondi evocano piuttosto certi raffinati aspetti dellalta acrobazia. I dervisci cercano lestasi girando su se stessi secondo un moto che va man mano accelerando scandito dal ritmo sempre più precipitoso dei tamburi. Il panico e lipnosi della coscienza sono raggiunti mediante il parossismo di una rotazione frenetica, contagiosa e partecipata.20 In Messico, i voladores Huastechi o Totonachi si issano sulla cima di un palo alto da venti a trenta metri. Con due finte ali attaccate ai polsi, assumono le sembianze di aquile. Si allacciano alla vita lestremità di una corda che passa poi fra le dita dei piedi in modo che essi possano effettuare tutta la discesa con la testa in giù e le braccia aperte. Prima di arrivare a terra, compiono diversi giri completi, tredici secondo Torquemada, descrivendo una spirale che va man mano allargandosi. La cerimonia, che comprende diversi voli e inizia a mezzogiorno, viene spesso interpretata come una danza del sole calante, accompagnato nel suo tramonto da uccelli che simbolizzano altrettanti morti divinizzati. La frequenza degli incidenti ha indotto le autorità messicane a proibire questo rischioso esercizio.21 Non è del resto necessario appellarsi a degli esempi tanto peregrini e prestigiosi. Ogni bambino conosce altrettanto bene, girando vorticosamente su se stesso, il modo di accedere a uno stato centrifugo di dispersione e sbandamento in cui il corpo non ritrova che a fatica il suo equilibrio e la percezione la sua nettezza. Non cè dubbio che il bambino faccia questo per gioco e vi provi piacere. Nel gioco della trottola, ad esempio, il bambino ruota su un tacco più velocemente che può. In modo analogo, nel gioco haitiano detto del mais dor, due bambini si tengono per mano, uno di fronte allaltro, le braccia tese. Con il corpo irrigidito e piegato allindietro, i piedi uniti, essi girano vorticosamente fino a restare senza fiato per il piacere di barcollare quando smettono. Gridare a squarciagola, precipitarsi a rotta di collo giù per una discesa, il toboga, la giostra, purché giri abbastanza in fretta, procurano sensazioni analoghe. E le pratiche fisiche che le provocano sono svariate: lacrobazia, la caduta o il lancio nello spazio, la rotazione vertiginosa, gli scivoloni, la velocità, laccelerazione di un movimento rettilineo o la sua combinazione con un movimento rotatorio. Parallelamente, esiste una vertigine di ordine morale, un raptus che coglie allimprovviso lindividuo. Questa vertigine si accompagna spesso con il gusto normalmente represso del disordine e della distruzione che tradisce forme rozze e brutali di affermazione della personalità. Nei bambini, lo si riscontra particolarmente quando giocano a scaldamano,XII a vola lasino,XIII alla cavallina XIV; tutti giochi che, allimprovviso, si fanno precipitosi e degenerano in vera e propria rissa. Negli adulti, niente è più rivelatore, in questo campo, della strana eccitazione che sempre li coglie nel falciare con una bacchetta gli steli più alti di un prato, nel far precipitare a valanga la neve da un tetto, o dellebbrezza che li coglie nei baracconi da fiera quando, per esempio, fracassano fragorosamente pile di stoviglie di scarto. Per comprendere le numerose varietà di un simile impulso che è al tempo stesso uno smarrimento sia organico sia psichico, propongo il termine ilinx, nome greco di gorgo, da cui appunto deriva, nella stessa lingua, il nome della vertigine (ìlingos). Neppure questo tipo di piacere è privilegio esclusivo delluomo. È il caso di citare in primo luogo il capostorno di alcuni mammiferi, in particolare degli erbivori. Anche se si tratta di una manifestazione patologica, è troppo significativa per essere sottaciuta. Non mancano del resto esempi in cui il carattere di gioco è indubbio. I cani roteano su se stessi per afferrarsi la coda finché non cadono. Altre volte, sono invasi da unautentica frenesia della corsa che non li abbandona finché non si fermano stremati. Antilopi, gazzelle, cavalli selvaggi sono colti spesso da un panico che non corrisponde ad alcun pericolo reale, né alla minima avvisaglia di pericolo e che tradisce piuttosto leffetto di un irresistibile contagio e di unimmediata condiscendenza a cedervi.22 I topi dacqua si divertono a girare su se stessi, come se fossero trascinati dal risucchio della corrente. Il caso dei camosci è ancor più significativo. Secondo Karl Groos, essi si arrampicano sui nevai; di là, ciascuno di loro prende lo slancio e si lascia scivolare giù lungo un pendio scosceso mentre gli altri lo stanno a guardare. Il gibbone sceglie un ramo flessibile, lo curva sotto il suo peso finché quello non si tende e lo proietta violentemente in aria. Si riprende come può e ricomincia allinfinito questo esercizio inutile e inesplicabile se non per lintimo piacere che ne ricava. Ma sono soprattutto gli uccelli a prediligere i giochi di vertigine. Si lasciano cadere, come pietre, da grandissime altezze e aprono le ali solo a pochi metri da terra, dando limpressione che stiano per sfracellarvisi. Quindi risalgono e si lasciano ricadere di nuovo. Nella stagione degli amori, utilizzano queste prodezze per sedurre la femmina. Il falco notturno dAmerica, descritto da Audubon, è un virtuoso di questa suggestiva acrobazia.23 Gli uomini, dopo la trottola, il mais dor, gli scivoloni, la giostra e laltalena dellinfanzia, dispongono essenzialmente degli effetti dellubriachezza e di un certo numero di danze, dal turbinare mondano, ma insidioso, del valzer, a tutta una serie di mosse frenetiche, vibranti, convulse. Essi traggono inoltre un piacere dello stesso tipo dallebbrezza provocata da unestrema velocità, come si prova, ad esempio, sugli sci, in motocicletta o a bordo di una macchina scoperta. Per dare a questo tipo di sensazione lintensità e la violenza capace di stordire gli adulti, si sono dovute inventare macchine potenti. Non cè dunque da stupirsi se si è dovuta aspettare letà industriale perché la vertigine diventasse realmente una categoria del gioco. Essa è ormai dispensata a una massa avida per mezzo di una quantità di meccanismi infernali, collocati nelle fiere e nei luna-park. Questi marchingegni andrebbero evidentemente al di là del loro scopo, se si trattasse solo di sconvolgere gli organi dellorecchio interno da cui dipende il senso dellequilibrio. Ma in realtà è tutto il corpo ad essere soggetto a una serie di shock tali da convincere chiunque a starne alla larga, se non vedesse gli altri accalcarsi, bramosi di subirli. Val la pena, infatti, osservare la gente alluscita di queste attrazioni. Ne escono esseri lividi per lo spavento, barcollanti, in preda alla nausea. Hanno cacciato urla di terrore, gli si è mozzato il fiato, hanno provato latroce sensazione che tutto, dentro di loro, fosse attanagliato dalla paura e perfino i loro organi interni si torcessero e si raggomitolassero come per difendersi da un terribile assalto. E tuttavia, ecco che la maggior parte di queste persone, prima ancora di essersi completamente riprese, già si affrettano al botteghino per acquistare il diritto di provare ancora una volta quello stesso supplizio da cui si aspettano un godimento. Ed è proprio il caso di dire godimento, perché appare inadeguato chiamare distrazione un così parossistico trasporto, più vicino allo spasmo che al divertimento. È importante daltra parte osservare che la violenza dello shock provato è tale che i proprietari di queste attrazioni si sforzano, nei casi estremi, di adescare gli ingenui annunciando, in modo astutamente menzognero, che ancora per questa volta il giro non costerà niente. In cambio, si fa pagare agli spettatori il privilegio di assistere, tranquillamente seduti su in galleria, ai tormenti delle vittime consenzienti o colte di sorpresa, esposte a forze terrificanti o a strane bizzarrie. Sarebbe alquanto azzardato trarre conclusioni troppo nette circa questa strana e crudele ripartizione dei ruoli. Essa non è caratteristica di un solo tipo di giochi: la ritroviamo anche nella boxe, nel catch e nei combattimenti di gladiatori. Lessenziale, qui, risiede nella ricerca di quel preciso smarrimento, di quel panico momentaneo che viene definito con il termine di vertigine, e delle indubbie caratteristiche di gioco che vi sono associate: libertà di accettare o rifiutare la prova, limiti rigidi e fissi, separazione dal resto della realtà. Il fatto che la prova sia inoltre occasione di spettacolo non diminuisce, ma rafforza la sua natura di gioco. Alla luce di questi accostamenti e di queste esclusioni semantiche, quali possono essere lestensione e il significato del termine paidia? Per quanto mi riguarda, lo definirei come il vocabolo che abbraccia le manifestazioni spontanee dellistinto di gioco: il gatto impigliato in un gomitolo di lana, il cane che si scrolla, il neonato che ride al sonaglio della sua culla, rappresentano i primi esempi identificabili di questo tipo di attività. Essa interviene in ogni manifestazione di gioiosa esuberanza espressa da unagitazione immediata e caotica, da uno stato di svago e distensione libera e spontanea, spesso eccessiva, il cui carattere improvvisato e anarchico resta lessenziale, se non lunica ragion dessere. Dalla capriola alla zuffa, dal tafferuglio alla baldoria, non mancano esempi perfettamente calzanti di simili voglie improvvise di movimento, di colore o di rumore. Questo bisogno elementare di chiasso e di agitazione appare inizialmente come impulso a toccare tutto, ad afferrare, assaggiare, annusare, e poi lasciar cadere ogni oggetto accessibile. Diventa spesso piacere di fare a pezzi, gusto della distruzione. Spiega la soddisfazione nel ritagliare allinfinito pezzetti di carta con le forbici, sfilacciare della stoffa, far crollare una costruzione di pezzi, attraversare una fila, portare turbamento e disordine nel gioco o nelloccupazione degli altri, ecc. Ben presto sopraggiunge la voglia di mistificare o di sfidare, tirando fuori la lingua, facendo le boccacce, fingendo di toccare o gettare loggetto vietato. Si tratta, per il bambino, di affermarsi, di sentirsi causa, di costringere, gli altri a prestargli attenzione. A questo proposito, K. Groos riferisce il caso di una scimmia che si divertiva a tirare la coda di un cane che coabitava con lei, ogni volta che questo faceva finta di addormentarsi. La gioia primitiva di distruggere e rovesciare è stata particolarmente osservata, dalla sorella di C.J. Romanes, in una scimmia cappuccina, con una precisione di particolari delle più significative.24 B. DALLA TURBOLENZA ALLA REGOLA Le regole sono inscindibili dal gioco non appena questultimo acquisisce quella che chiamerò unesistenza istituzionale. A partire da quel momento, esse entrano a far parte della sua natura e lo trasformano in strumento di cultura fecondo e decisivo. Resta comunque il fatto che allorigine del gioco cè una libertà prima, originaria, che è esigenza di distensione e insieme distrazione e fantasia. Questa libertà è il motore indispensabile del gioco e rimane allorigine delle sue forme più complesse e più rigorosamente organizzate. Una simile potenza primaria dimprovvisazione e spensieratezza, che chiamo paidia, si incontra con il gusto della difficoltà gratuita, che propongo di chiamare ludus, per dare origine ai vari giochi cui si può attribuire senza esagerazione una funzione civilizzatrice. Essi illustrano, infatti, i valori morali e intellettuali di una cultura. E contribuiscono inoltre a puntualizzarli e svilupparli. Ho scelto il termine di paidia perché ha la stessa radice della parola bambino e, secondariamente, per non sconcertare inutilmente il lettore ricorrendo a dei termini presi da una lingua troppo agli antipodi. Ma il sanscrito kredati e il cinese wan appaiono più ricchi e al tempo stesso più rivelatori, per la varietà e la natura dei loro significati annessi. È anche vero, però, che essi presentano gli inconvenienti di uneccessiva ricchezza di significati e quindi un certo pericolo di confusione. Kredati designa il gioco degli adulti, dei bambini e degli animali. Si applica segnatamente al salto, alla capriola, vale a dire ai movimenti bruschi e bizzarri provocati da un eccesso di allegria o vitalità. Si usa anche per le relazioni erotiche illecite, per il moto delle onde e per tutto ciò che ondeggia al vento. Il termine wan è ancora più esplicito, tanto per ciò che designa che per ciò che scarta, vale a dire i giochi di abilità, di competizione, di simulacro e dazzardo. In cambio, esso presenta innumeri sfumature di senso sulle quali avrò occasione di tornare. Il bambino non si limita a questo. Prova piacere nel trastullarsi con il suo stesso dolore, tormentando ad esempio con la lingua un dente che gli fa male. Gli piace anche che gli si faccia paura. Egli ricerca dunque sia un male fisico, ma limitato, guidato, di cui egli stesso è causa, sia unangoscia psichica, ma sollecitata da lui e che egli può far cessare a suo piacimento. In ambedue i casi, sono già riconoscibili gli aspetti fondamentali del gioco: attività volontaria, convenuta, separata e guidata. Nasce ben presto il gusto di inventare delle regole e adeguarvisi ostinatamente, a qualunque costo: il bambino fa allora con se stesso o con i compagni ogni sorta di scommesse, che sono, come abbiamo visto, le forme elementari dellagon; cammina a piè zoppo, a ritroso, con gli occhi chiusi, gioca a chi guarderà il sole, sopporterà un dolore o resterà in una posizione faticosa più a lungo. In generale, le prime manifestazioni della paidia non hanno nome né possono averlo proprio perché restano al di qua di ogni stabilità, di ogni connotazione distintiva, di ogni esistenza nettamente differenziata, che permetterebbe al vocabolario di legittimare la loro autonomia con una denominazione specifica. Ma non appena si profilino le convenzioni, le tecniche, gli strumenti, si sviluppano con essi i primi giochi caratterizzati: la cavallina, nascondino, laquilone, la trottola, gli scivoloni, mosca cieca, la bambola. Qui cominciano a biforcarsi le diramazioni contraddittorie dellagon, dellalea, della mimicry e dellilinx. Qui interviene parimenti il piacere che si prova nel superare una difficoltà creata di proposito, deliberatamente, e arbitrariamente definita, tale, insomma, che il fatto di venirne a capo non comporta altro vantaggio se non lintimo compiacimento di averla risolta. Questi stimolo, che è propriamente il ludus, è anchesso presente nelle diverse categorie di giochi, tranne in quelli che si basano integralmente su una pura decisione della sorte. E appare come il complemento e leducazione della paidia che esso disciplina e arricchisce. È inoltre occasione di allenamento e porta normalmente alla conquista di una determinata abilità, allacquisizione di una particolare padronanza nel maneggiare determinati strumenti o nellattitudine a trovare una risposta soddisfacente a problemi dordine strettamente convenzionale. La differenza con Lagon sta nel fatto che, nel ludus, la tensione e lingegno del giocatore si esercitano al di fuori di ogni sentimento esplicito di emulazione o di rivalità: si lotta contro lostacolo e non contro uno o diversi concorrenti. Sul piano della destrezza manuale, si possono citare giochi come il bilboquetXV il diabolo, lo yo-yo. Questi strumenti semplici utilizzano spesso elementari leggi naturali; a esempio, la forza di gravità e la rotazione nel caso dello yo-yo, in cui si tratta di trasformare un movimento rettilineo alternativo in movimento circolare continuo. Laquilone si basa invece sullo sfruttamento di una situazione atmosferica concreta. Con esso, il giocatore effettua a distanza una specie di auscultazione del cielo. Proietta la sua presenza al di là dei confini del proprio corpo. Allo stesso modo, il gioco della mosca cieca offre lopportunità di mettere alla prova le risorse della percezione facendo a meno della vista.25 Si può facilmente intuire che le possibilità del ludus sono quasi infinite. Giochi come il solitaireXVI o la baguenaudeXVII appartengono già, allinterno della stessa specie, a un altro gruppo: si richiamano costantemente allo spirito di calcolo e di combinazione. Infine, i cruciverba, i giochi matematici, gli anagrammi, i versi olorimi, i vari logogrifi,XVIII la lettura attiva di romanzi gialli (voglio dire cercando di identificare il colpevole)XIX, i problemi di scacchi o di bridge costituiscono, senza lintervento di alcuno strumento, altrettante varietà della forma più pura e più diffusa del ludus. Si può constatare in ogni caso una situazione di partenza suscettibile di ripetersi indefinitamente ma sulla base della quale possono prodursi combinazioni sempre nuove. Queste suscitano nel giocatore unemulazione nei confronti di se stesso e gli permettono di verificare le tappe di un progresso del quale egli sinorgoglisce e si compiace di fronte a coloro che condividono il suo gusto. Il rapporto del ludus con Lagon è evidente. Del resto, come nel caso dei problemi di scacchi o di bridge, può capitare che lo stesso gioco appaia sia come agon che come ludus. La combinazione di ludus e di alea non è meno frequente: essa è particolarmente riconoscibile in quei solitari con le carte in cui lingegnosità delle mosse non influisce più che tanto sul risultato, e nelle macchinette mangiasoldi in cui il giocatore può, in misura minima, calcolare limpulso dato alla biglia che segna i punti e dirigerne il percorso. Ciò non toglie che, in ambedue i casi, è essenzialmente il caso che decide. Tuttavia, il fatto che il giocatore non sia del tutto disarmato e sappia di poter contare, sia pure in misura minima, sulla sua abilità o sulla sua intelligenza basta a combinare la natura del ludus con quella dellalea.26 Altrettanto spesso il ludus si fonde con la mimicry. Nel caso più semplice, abbiamo i giochi di costruzione che sono sempre giochi dillusione, sia che si tratti di animali fatti con steli di saggina dai bambini Dogon, di gru o automobiline costruite unendo le lamine dacciaio forate e le carrucole di qualche meccano, o di modellini di aerei o navi in miniatura che gli adulti non disdegnano di costruire meticolosamente. Ma è la rappresentazione teatrale che, fornendo la connessione essenziale, disciplina la mimicry fino a farne unarte ricca di innumeri convenzioni diverse, di tecniche raffinate, di sottili e complesse risorse. In questa felice complicità, il gioco mostra in pieno la sua fecondità culturale. Al contrario, allo stesso modo in cui non ci può essere alcuna fusione fra la paidia, che è tumulto ed esuberanza, e lalea, che è attesa passiva della decisione del caso, brivido tacito e immoto, così non ce ne può essere fra il ludus, che è combinazione e calcolo, e lilinx, che è impeto puro. Il gusto di superare la difficoltà può intervenire in questo caso solo per combattere la vertigine e impedirle di diventare panico o smarrimento. Esso diventa allora scuola di dominio di sé, sforzo severo per conservare il sangue freddo o lequilibrio. Lungi dallunirsi allilinx, fornisce invece, come nellalpinismo e nellalta acrobazia, la disciplina adatta a neutralizzarne gli effetti funesti. Considerato in se stesso, sembra quasi che il ludus sia qualcosa di incompleto, sorta di ripiego destinato a ingannare la noia. Molti vi si adattano solo in attesa di meglio, fino allarrivo di qualche partner che permetta loro di cambiare questo piacere senza eco, isolato, con un gioco realmente disputato. Tuttavia, anche nel caso di giochi di destrezza o di combinazione (solitari, puzzle, cruciverba, ecc.) che escludono lintervento di altri o lo rendono indesiderabile, il ludus non manca di tener viva nel giocatore la speranza di riuscire, unaltra volta, là dove ha appena sbagliato oppure di totalizzare un punteggio più elevato di quello che ha conseguito. In questo modo, ecco manifestarsi di nuovo linfluenza dellagon. Essa ravviva latmosfera generale con il piacere che si prova nel superare una difficoltà sia pure arbitraria. Infatti, se è vero che ognuno di questi giochi viene praticato da una persona sola e non dà luogo, in linea di principio, ad alcuna competizione, è tuttavia facile trasformarlo in qualunque momento in un concorso, a premi o non, che eventualmente i giornali non mancheranno di organizzare. E non è neppure un caso se le macchinette mangiasoldi si trovano nei caffè, vale a dire in luoghi in cui lutente può raggruppare intorno a sé un embrione di pubblico. Cè daltronde una caratteristica del ludus (che a mio parere si spiega con la latente compresenza dellagon) che lo contraddistingue costantemente, ed è il fatto che esso segue eminentemente i capricci della moda.XX Lo yo-yo, il bilboquet, il diabolo, la baguenaude sono apparsi e scomparsi come per magia. Sono stati oggetto di uninfatuazione che non ha lasciato traccia e che unaltra è venuta ben presto a sostituire. Pur essendo più stabile, la moda dei divertimenti di natura intellettuale non è per questo meno circoscritta nel tempo: il rebus, lanagramma, lacrostico, la sciarada hanno avuto il loro momento di fortuna. È probabile che il cruciverba e il romanzo giallo siano destinati a subire la stessa sorte. Un fenomeno di questo tipo resterebbe incomprensibile se il ludus costituisse una distrazione tanto individuale quanto sembra. In realtà, esso è intimamente pervaso da unatmosfera di competizione. È valido solo nella misura in cui il fervore di qualche appassionato cultore lo trasforma in un possibile agon. Quando questo fervore fa difetto, il ludus, di per sé, non riesce a sussistere. Esso è infatti insufficientemente alimentato dallo spirito di competizione organizzata, che pure non gli è essenziale; e non offre materia ad alcuno spettacolo capace di attirare le folle. Resta qualcosa di incerto e diffuso o rischia di degenerare nellidea fìssa per il maniaco isolato che vi si consacri in modo assoluto e che, per meglio dedicarvisi, trascuri sempre più i suoi rapporti con il prossimo. La civiltà industriale ha dato origine a una forma particolare di ludus: lhobby, attività secondaria, gratuita, intrapresa e continuata unicamente per piacere: collezionismo, arti varie coltivate per diletto, bricolage XXI o piccole invenzioni, ogni occupazione, insomma, che appaia in primo luogo come una compensazione alla mutilazione della personalità causata dal lavoro alla catena di montaggio, automatico e parcellizzato. Si è appurato che lhobby consiste spesso, da parte delloperaio, ridiventato in questo caso artigiano, nella costruzione di modellini ridotti, ma completi, delle macchine alla fabbricazione delle quali è condannato a cooperare unicamente attraverso uno stesso gesto, ripetuto allinfinito, che non richiede da parte sua né abilità né intelligenza. La rivincita sulla realtà è in questo caso evidente: essa è del resto positiva e feconda e risponde a una delle più alte funzioni dellistinto del gioco. Non è affatto strano che la civiltà industriale contribuisca a svilupparla, sia pure a titolo di compenso nei confronti dei suoi aspetti più sgradevoli. Lhobby è a immagine e somiglianza delle rare qualità che ne rendono possibile lo sviluppo. In un senso generale, il ludus propone al desiderio primitivo di giocare e divertirsi degli ostacoli arbitrari continuamente rinnovati; inventa mille occasioni e mille strutture in cui trovano appagamento sia il desiderio di distensione che il bisogno, di cui luomo non sembra potersi liberare, di utilizzare in pura perdita il sapere, lapplicazione, labilità, lintelligenza di cui dispone, senza contare il dominio di sé, la capacità di resistenza al dolore, alla stanchezza, al panico o allebbrezza. Sotto questo profilo, ciò che chiamo ludus rappresenta, allinterno del gioco, lelemento la cui portata e fecondità culturale appaiono più sorprendenti. Esso non esprime un atteggiamento psicologico così netto come lagon, lalea, la mimicry o lilinx ma, disciplinando la paidia, contribuisce indistintamente a dare alle categorie fondamentali del gioco la loro purezza e il loro massimo grado di validità. Il ludus non è del resto lunica metamorfosi concepibile della paidia. Una civiltà come quella dellantica Cina inventò per essa un diverso destino. Ispirata alla saggezza e alla cautela, la cultura cinese è poco portata allinnovazione per partito preso. Lesigenza di progresso e lo spirito dintraprendenza le appaiono spesso come una sorta di prurito privo di fecondità decisiva. Con queste premesse, essa orienta ovviamente la turbolenza e il sovrappiù di energia della paidia in una direzione più consona ai suoi valori supremi. A questo punto, è il caso di ritornare al termine wan. Secondo alcuni, esso designerebbe etimologicamente lazione di accarezzare indefinitamente un pezzetto di giada per lucidarlo, per avere la sensazione della sua levigatezza o per accompagnare un sogno a occhi aperti. Ed è forse a causa di questa sua origine etimologica che esso mette in luce un altro destino della paidia. La riserva di agitazione libera che la definisce inizialmente sembra in questo caso incanalata non già verso la valentia, il calcolo, la difficoltà superata, ma verso la calma, la pazienza, il puro fantasticare. Il termine wan, infatti, indica essenzialmente tutti i tipi di occupazioni semi-meccaniche che lasciano lo spirito distratto e libero, alcuni giochi complessi che lo avvicinano al ludus, e, al tempo stesso, la meditazione indolente, la contemplazione apatica. Il chiasso e il tumulto sono designati con lespressione jeou-nao, letteralmente ardente-disordine. Composto con questo stesso termine nao, la parola wan evoca ogni tipo di comportamento esuberante e gaio. Unita a tchouang (fingere), significa divertirsi a far finta di.... Si vede chiaramente che il termine wan coincide quasi perfettamente con le diverse manifestazioni possibili della paidia, senza che, usato da solo, possa designare un genere particolare di giochi. Non è utilizzato né per la competizione, né per i dadi, né per linterpretazione drammatica. Tanto vale dire che esso esclude le diverse categorie dei giochi che ho chiamato istituzionali. Questi sono indicati da termini più specifici. La parola hsi corrisponde ai giochi di travestimento o di rappresentazione e copre lintero ambito del teatro e delle arti dello spettacolo. La parola choua rimanda ai giochi di abilità e destrezza, ma si usa anche per alcune gare ludiche, scherzi e freddure, per la scherma, per gli esercizi di perfezionamento in unarte difficile. La parola teou indica la lotta propriamente detta: il combattimento di galli, il duello. Tuttavia, la si usa anche per i giochi di carte. Infine, la parola tou, che in nessun caso può riferirsi a un gioco di bambino, designa i giochi dazzardo, i rischi, le scommesse, le ordalie. E serve anche a indicare il blasfemo, perché tentare la sorte è considerato una scommessa sacrilega nei confronti del destino.27 Lampio ventaglio semantico del termine wan appare quindi del più grande interesse. Include prima di tutto il gioco infantile e tutti i vari tipi di divertimento frivolo e spensierato che possono essere ad esempio evocati dai verbi folleggiare, divertirsi pazzamente, scherzare, ecc. È usato per le pratiche sessuali ardite, anormali o stravaganti. Contemporaneamente, è impiegato per i giochi che richiedono riflessione e che escludono la fretta, come gli scacchi, la dama cinese,XXII il puzzle (Tai Kiao) XXIII e il gioco XXIV dei nove anelli.28 Comprende anche il piacere di assaporare una vivanda o il bouquet di un vino, il gusto di collezionare opere darte, o anche quello di esaminare, di maneggiare con voluttà e perfino di costruire piccoli oggetti, gingilli, il che lo avvicina alla categoria occidentale dellhobby, vale a dire al collezionismo o al bricolage. Ed evoca infine la serena e placante dolcezza del chiaro di luna, il piacere di una gita in barca sulle limpide acque di un lago, lassorta contemplazione di una cascata.29 Lesempio della parola watt basta da solo a dimostrare che il destino delle culture si legge anche nei giochi. Dare la preferenza allagon, allalea, alla mimicry o allilinx contribuisce a decidere lavvenire di una civiltà. Allo stesso modo, incanalare la riserva di energia disponibile rappresentata dalla paidia verso linvenzione o verso la fantasticheria, esprime una scelta, senza dubbio implicita, ma fondamentale e di indiscutibile portata. 3. VOCAZIONE SOCIALE DEI GIOCHI Il gioco non è soltanto distrazione individuale. Anzi, forse
lo è meno di quanto non si pensi. Certo, esistono molti giochi,
specialmente di bravura, in cui il giocatore manifesta unabilità
del tutto personale e in cui appare logico giocare da soli.XXV Ma
i giochi di abilità assumono presto la caratteristica di giochi
di competizione nellabilità. Se ne può fornire
una prova evidente. Per quanto individuale sia laggeggio con
cui si gioca: aquilone, trottola, yo-yo, diabolo o cerchio, ci si
stancherebbe presto di un passatempo simile se non ci fossero né
concorrenti né spettatori, per lo meno virtuali. In questo
tipo di esercizi affiora pur sempre un elemento di rivalità,
e ognuno cerca di far colpo sui rivali, sia pure invisibili o assenti,
compiendo virtuosismi inediti, aumentando il grado di difficoltà,
stabilendo momentanei record di durata, di velocità, di precisione,
di altezza, traendo motivo di gloria, anche solo in cuor proprio,
da una qualche performance di difficile conseguimento. La tendenza alla competizione non resta a lungo implicita e spontanea. Essa porta allistituzione di un regolamento che viene adottato di comune accordo. In Svizzera, a esempio, hanno luogo gare di aquiloni che si svolgono con tutte le regole. Laquilone che vola più alto è proclamato vincitore. In Oriente, la competizione assume laspetto di un particolare torneo: la corda dellaquilone, a una certa distanza dalla velatura, viene spalmata di pece su cui sono conficcati pezzetti di vetro dalle punte taglienti. Si tratta di tranciare, intersecandola con mosse virtuosistiche, la corda degli altri aquiloni: competizione più che mai accentuata, nata da un divertimento che, in linea di principio, non pareva affatto competitivo. Un altro esempio eloquente del passaggio da uno svago individuale a un piacere competitivo e perfino spettacolare è fornito dal bilboquet. Quello degli Eschimesi rappresenta, molto schematicamente, un animale: orso o pesce in cui sono praticati numerosi fori. Il giocatore deve infilarli tutti secondo un ordine stabilito, con lo stiletto tenuto in mano. Poi, ricomincia tutto da capo con lo stiletto tenuto nellindice ripiegato, quindi con lo stiletto che fuoriesce dalla piega del gomito, e infine con lo stiletto stretto fra i denti, mentre il corpo dello strumento descrive figure sempre più complicate. Ogni colpo mancato obbliga il giocatore sfortunato a passare la mano a un rivale. Costui si accinge alla stessa progressione, cerca di ricuperare il ritardo o di conquistare un certo vantaggio. E mentre lancia e riprende il pupazzo, il giocatore mima unavventura o descrive punto per punto unazione. Racconta un viaggio, una caccia, un combattimento, enumera le diverse fasi dello smembramento della preda, operazione che è generalmente monopolio delle donne. A ogni nuovo buco, annuncia, trionfante: Essa riprende il coltello A volte, il giocatore se la prende con il rivale e si accinge, con la fantasia, a farlo a pezzi: Ti picchio E non solo i cani, ma anche le volpi, i corvi, i granchi, tutto quello che viene in mente. Laltro, prima di riprendere la contesa, dovrà rimettere insieme il suo corpo nellordine inverso. Questo incalzare, questo inseguimento ideale viene puntualizzato dai clamori del pubblico, che segue con passione le fasi del duello. A questo livello, il gioco di bravura diventa ovviamente fenomeno culturale: veicolo di comunione e di collettiva allegria nel freddo e nella lunga oscurità della notte artica. Questo caso estremo non costituisce uneccezione. Ma ha il vantaggio di suggerire a che punto il gioco più individuale per natura o destinazione si presti naturalmente a ogni specie di sviluppo e arricchimento che, alloccorrenza, ne fanno quasi una sorta di istituzione. Si direbbe che al gioco manchi qualcosa, quando è ridotto a semplice esercizio individuale. Generalmente, i giochi trovano la pienezza del loro significato solo
nel momento in cui suscitano una rispondenza complice. Anche quando,
in linea di principio, i giocatori potrebbero tranquillamente dedicarvisi
in disparte, ciascuno per conto proprio, i giochi diventano ben presto
pretesti di gare o spettacolo, come abbiamo osservato prima per laquilone
o il bilboquet. La maggior parte di essi, infatti, appare come domanda
e risposta, sfida e accettazione della stessa, provocazione e contagio,
effervescenza o tensione condivisa. Richiedono presenze attente e
simpatetiche. È probabile che nessuna categoria di giochi sfugga
a questa legge. Perfino i giochi dazzardo sembrano avere maggiore
attrattiva in mezzo alla folla, se non addirittura alla ressa. Niente
impedirebbe ai giocatori di trasmettere le loro scommesse per telefono
o di fare le loro puntate confortevolmente seduti in un pacifico salotto,
in casa di uno di loro. Ma no, essi preferiscono trovarsi sul posto,
spintonati e premuti dalla folla che Allo stesso modo, è spiacevole trovarsi soli in un teatro, e perfino in una sala di proiezione, nonostante lassenza di attori direttamente esposti a sperimentare quel vuoto. È chiaro, daltronde, che ci si traveste e ci si maschera per gli altri. I giochi di vertigine, infine, si trovano anchessi nella stessa condizione: altalena, giostra, toboga, richiedono da parte loro un fervore, una febbre collettiva, che sostengano e incoraggino lebbrezza che procurano. Dunque, le varie categorie di gioco, lagon (per definizione), lalea, la mimicry, lilinx presuppongono non la solitudine, ma la compagnia. Tuttavia, si tratta per lo più di una cerchia necessariamente ristretta. Poiché si deve giocare uno alla volta e condurre il gioco come lo si intende personalmente e al tempo stesso come stabiliscono le regole, il numero dei giocatori, qualora tutti intervengano attivamente, non può moltiplicarsi allinfinito. Una partita non ammette che un numero limitato di partner, associati o no. Il gioco appare dunque spesso come unoccupazione di piccoli gruppi di iniziati o aficionados che si dedicano, in disparte e per pochi istanti, al loro divertimento preferito. Eppure, già la massa degli spettatori favorisce la mimicry, proprio come la turbolenza collettiva stimola lilinx e a sua volta se ne nutre. In determinate circostanze, anche quei giochi che, per loro natura, parevano destinati a essere giocati fra poche persone, vanno oltre questo plafond e assumono forme che, pur appartenendo indubbiamente ancora allambito del gioco, richiedono però unorganizzazione molto articolata, un apparato complesso, un personale specializzato e gerarchizzato. Danno origine, insomma, a strutture permanenti e sofisticate che ne fanno delle istituzioni a carattere ufficioso, privato, marginale, a volte clandestino, ma il cui statuto appare notevolmente stabile e duraturo. Ognuna delle categorie fondamentali del gioco presenta così degli aspetti socializzati che, con la loro ampiezza e stabilità, hanno acquisito diritto di cittadinanza nella vita collettiva. Per lagon, questa forma socializzata è essenzialmente lo sport, cui si aggiungono certe manifestazioni ibride che insidiosamente confondono fortuna e merito, come a esempio i giochi radiofonici e i concorsi che rientrano nel campo della pubblicità commerciale; per lalea, sono i Casinò, le corse, le lotterie di Stato e tutti quei giochi gestiti da potenti società che fanno da totalizzatore; per la mimicry, le arti dello spettacolo, dal teatro dopera alle marionette e al Guignol e, con una sfumatura un po più torbida, già orientata verso la vertigine, il Carnevale e il ballo mascherato; per lilinx, infine, il luna-park e quegli appuntamenti annuali, ciclici, di feste e sagre popolari. Un intero capitolo dello studio dei giochi deve prendere in esame quelle manifestazioni attraverso le quali i giochi entrano direttamente a far parte delle abitudini quotidiane. Queste manifestazioni contribuiscono infatti a fornire alle diverse culture alcuni dei loro usi e delle loro istituzioni più facilmente identificabili. 4. DEGENERAZIONE DEI GIOCHI Quando si è trattato di enumerare i caratteri che definiscono il gioco, questo è apparso come unattività: 1° libera; 2° separata; 3° incerta; 4° improduttiva; 5° regolata; 6° fittizia; fermo restando che gli ultimi due caratteri tendono ad escludersi lun laltro. Queste sei qualità, puramente formali, ci dicono ben poco sui vari atteggiamenti psicologici che stanno a monte del gioco. Contrapponendo alquanto vivamente il mondo del gioco al mondo della realtà, mettendo in risalto il fatto che il gioco è essenzialmente unattività a parte, esse lasciano prevedere che ogni contaminazione con la vita normale rischia di corrompere e guastare la sua stessa natura. Pertanto, può essere interessante chiedersi che cosa diventino i giochi quando la rigida barriera che separa le loro regole ideali dalle leggi confuse e insidiose dellesistenza quotidiana perda la necessaria nettezza. Certo, essi non possono esorbitare così come sono dal terreno (scacchiera, recinto, pista, stadio, palcoscenico) che è loro riservato o dai tempi che sono loro impartiti e la cui fine significa in modo inequivocabile la chiusura di una parentesi. Prenderanno necessariamente forme diverse e senza dubbio a volte inattese. Inoltre, nel gioco, un codice rigido e assoluto governa sovrano negli amatori il cui assenso preliminare appare come la condizione stessa della loro partecipazione a unattività isolata e totalmente convenzionale. Ma se, improvvisamente, la convenzione non è più accettata o non è più sentita come tale? Se lisolamento non è più rispettato? Né le forme né la libertà del gioco possono più sussistere. Resta solo, tirannico e incalzante, latteggiamento psicologico che spingeva ad adottare un gioco di una specie piuttosto che di unaltra. Ricordiamo che questi atteggiamenti distintivi sono in numero di quattro: lambizione di trionfare grazie al solo merito personale in una competizione regolata (agon), labdicazione della volontà a vantaggio di unattesa ansiosa e passiva della sentenza della sorte (alea), il gusto di assumere una personalità diversa dalla propria (mimicry) e infine la ricerca della vertigine (ilinx). Nellagon, il giocatore conta solo su se stesso, si sforza, si accanisce; nellalea, conta su tutto tranne che su se stesso, e si abbandona a poteri che gli sfuggono; nella mimicry, immagina di essere un altro e inventa un universo fittizio; nellilinx, appaga il suo desiderio di vedere provvisoriamente distrutti la stabilità e lequilibrio del proprio corpo, di sfuggire alla tirannia della propria percezione, di provocare lo smarrimento della propria coscienza. Se il gioco consiste nel fornire a queste potenti pulsioni un soddisfacimento formale, ideale, limitato, separato dalla vita normale, che cosa succede, dunque, quando ogni convenzione è violata? Quando luniverso del gioco non è più separato ermeticamente? Quando cè contaminazione con il mondo reale in cui ogni gesto porta con sé conseguenze ineluttabili? A ognuna delle categorie fondamentali corrisponde allora una perversione specifica che è la risultante dellassenza di freno e protezione insieme. Limpero degli istinti ridiventando assoluto, la tendenza che lattività isolata, riparata e in qualche modo neutralizzata del gioco riusciva a stornare, si riversa nella vita normale e tende a subordinarla il più possibile alle proprie esigenze. Ciò che era piacere diventa idea fissa; ciò che era evasione diventa costrizione; ciò che era divertimento, diventa febbre, ossessione, fonte dangoscia. Il principio del gioco è corrotto. E non lo è -si badi bene- per la presenza di bari o giocatori professionisti, ma unicamente per la contaminazione della realtà. In fondo, non cè perversione del gioco, cè come uno smarrirsi e un andare alla deriva di una delle quattro pulsioni primarie che presiedono ai giochi. Il caso non è affatto eccezionale. Si manifesta ogni volta che listinto considerato non incontra nella categoria di giochi che gli corrisponde la disciplina e il rifugio che lo stabilizzano, o ogni volta che esso rifiuta di accontentarsi di tale illusione. Quanto al baro, egli resta invece allinterno delluniverso del gioco. Se ne stravolge le regole, lo fa, comunque, fingendo di rispettarle. Cerca di imbrogliare. È disonesto, ma ipocrita. E quindi tutela e proclama con il suo atteggiamento la validità delle convenzioni che viola, perché ha bisogno che almeno gli altri le rispettino. Se viene scoperto, è cacciato via. Luniverso del gioco resta intatto. Allo stesso modo, colui che di unattività di gioco fa il proprio mestiere, non cambia in alcun modo la natura del gioco. Ovviamente, lui, personalmente, non gioca: esercita una professione. La natura della competizione o quella dello spettacolo non vengono affatto modificate se gli atleti o gli attori sono dei professionisti che si esibiscono in cambio di un salario e non dei dilettanti che tendono unicamente al proprio divertimento. La differenza riguarda solo loro. Per i pugili, i ciclisti o gli attori professionisti, lagon o la mimicry non è più una distrazione volta a compensarli dalle fatiche o a distrarli dalla monotonia di un lavoro impegnativo e logorante. È il loro stesso lavoro, necessario alla sopravvivenza, attività impegnativa e costante, irta di ostacoli e problemi, e alla quale reagiscono proprio giocando a qualche gioco che non li impegni. Anche per lattore, la rappresentazione teatrale è una finzione. Si trucca, si traveste, simula, recita. Ma quando cala il sipario e si spengono le luci, ricade nella realtà. La separazione dei due universi resta assoluta. Allo stesso modo, per il professionista del ciclismo, della boxe, del tennis o del calcio, il cimento, lincontro, la corsa restano competizioni regolate e formalizzate. Non appena terminate, il pubblico si affretta alluscita. Il campione è restituito alle sue preoccupazioni quotidiane, deve difendere i propri interessi, ideare e mettere in opera la politica che gli assicuri lavvenire più agiato. Le rivalità perfette e precise nellambito delle quali ha appena misurato la propria bravura nelle condizioni più artificiali possibili, lasciano il posto, non appena abbia abbandonato lo stadio, il velodromo o il ring, ad antagonismi ben diversamente temibili. Rivalità subdole, incessanti, implacabili, che impregnano tutta la sua vita. Come lattore fuori del palcoscenico, egli si trova allora ricondotto alla comune condizione, al di fuori dello spazio chiuso e del tempo privilegiato in cui regnano le leggi rigorose, gratuite e indiscutibili del gioco. Fuori dallarena, dopo il colpo di gong, comincia la vera perversione dellagon, la più diffusa fra tutte. Essa si manifesta in ogni antagonismo che non sia più temperato dal rigore dello spirito di gioco. Ora, la concorrenza assoluta non è mai solo una legge di natura. Essa ritrova nella società la sua brutalità originaria non appena scorga una via libera nella fitta rete delle costrizioni morali, sociali o legali che, come quelle del gioco, costituiscono dei limiti e delle convenzioni. Per questo, lambizione forsennata, ossessiva, in qualunque campo si eserciti, purché si manifesti senza rispettare le regole del gioco e del gioco leale, devessere denunciata come la deviazione decisiva che, nel caso particolare, fa ritorno alla situazione di partenza. Niente, daltronde, rivela meglio il ruolo civilizzatore del gioco dei freni che esso suole opporre allavidità naturale. È assodato che il giocatore ideale è quello che sa considerare con una certa eleganza, distacco e unombra, almeno, di sangue freddo, i risultati negativi dello sforzo più costante o la perdita di una posta ingente. La decisione, anche ingiusta, dellarbitro è approvata per principio. La corruzione dellagon comincia là dove non vengono riconosciuti né arbitri né arbitraggi. Per i giochi dazzardo cè, parallelamente, corruzione del principio a cui si informano non appena il giocatore cessa di rispettare il caso, vale a dire cessa di ritenerlo una forza impersonale e neutra, senza sentimento né memoria, puro effetto meccanico delle leggi che presiedono alla ripartizione della fortuna. La degenerazione dellalea nasce con la superstizione.XXVI È infatti allettante, per colui che si affida al destino, cercare di prevederne le decisioni o conciliarsene i favori. Il giocatore accorda un valore significante a ogni sorta di fenomeni, incontri e prodigi che immagina prefigurare la sua buona o cattiva sorte. Va in cerca dei talismani più efficaci. Si attiene al più vago avvertimento della sorte che gli venga trasmesso in sogno o attraverso presagi o presentimenti vari. Infine, per neutralizzare gli influssi nefasti, procede o fa procedere agli opportuni scongiuri. Un simile atteggiamento, che si presenta nella sua forma più esasperata nella pratica dei giochi dazzardo, lo ritroviamo del resto estremamente diffuso a livello generale di psicologia del profondo e quindi ben lungi dallinteressare solo coloro che frequentano i Casinò o le corse o che acquistano biglietti della lotteria. La regolare pubblicazione di oroscopi da parte di quotidiani e settimanali trasforma per la massa dei lettori ogni giornata e ogni settimana in una sorta di promessa o di minaccia che il cielo e loscuro potere degli astri tengono in sospeso. Per lo più, questi oroscopi indicano in particolare il numero favorevole, quel giorno, per i nati sotto i vari segni dello zodiaco. Ciascuno può allora acquistare dei biglietti della lotteria corrispondenti a quel numero: quelli che terminano con quella cifra, quelli che la contengono diverse volte o quelli il cui numero ridotto allunità mediante addizioni successive coincide con essa, vale a dire praticamente quasi tutti.30 È significativo che la superstizione, in questa forma estremamente ingenua e popolare, si riveli così direttamente legata ai giochi dazzardo. Bisogna tuttavia ammettere che il fenomeno va ben oltre. Si presume che ognuno di noi, uscendo dal letto alla mattina, si trovi a essere vincente o perdente in una gigantesca lotteria incessante, gratuita, inevitabile, che determina per ventiquattrore il nostro coefficiente generale di successo o di fallimento. Questo interessa sia il modo di procedere che le nuove risoluzioni e gli affari di cuore. Il redattore delloroscopo ha lo scrupolo di avvertire che linfluenza degli astri si esercita entro limiti molto variabili, così che la profezia semplicistica non può mai essere del tutto sbagliata. Certo, la maggior parte del pubblico legge con sorridente scetticismo queste predizioni puerili. Però le legge. Anzi, tiene molto a leggerle. Al punto che molti, pur dichiarandosi scettici, cominciano la lettura del giornale proprio dalloroscopo. Pare che le pubblicazioni a grande tiratura non si azzardino spesso a privare i loro lettori di questa soddisfazione, di cui non è opportuno sottovalutare limportanza né la diffusione. I più creduloni non si accontentano delle indicazioni sommarie dei quotidiani e dei settimanali illustrati. Ricorrono a pubblicazioni specializzate. A Parigi, una di queste ha una tiratura che supera i centomila esemplari. Spesso, ladepto si reca a consultare un esegeta patentato. A questo proposito, disponiamo di alcune cifre rivelatrici: centomila parigini consultano ogni giorno seimila indovini, veggenti o cartomanti; secondo lIstituto nazionale di Statistica, trentaquattro miliardi di franchi vengono spesi ogni anno in Francia presso astrologi, maghi e altri fachiri.31 Negli Stati Uniti, per la sola astrologia, uninchiesta del 1953 ha contato trentamila professionisti accertati, venti riviste specializzate, una delle quali stampa fino a cinquecentomila copie, e duemila periodici che ospitano una rubrica di oroscopi. E ha valutato in due cento milioni di dollari le somme spese ogni anno unica mente per interrogare gli astri, salvi restando gli altri metodi di divinazione. Si possono individuare senza difficoltà numerosi indizi della connivenza fra i giochi dazzardo e la divinazione: uno dei più manifesti e immediati è forse il fatto che le stesse carte servono sia ai giocatori per tentare la sorte che alle veggenti per predire lavvenire. Costoro, poi, utilizzano giochi di carte specializzati solo per un fatto di prestigio. Comunque, non si tratta che di mazzi di carte normali, completati successivamente da ingenue didascalie, illustrazioni parlanti o allegorie tradizionali. Gli stessi tarocchi XXVII furono e sono tuttora impiegati per ambedue gli scopi. In ogni caso, esiste uno slittamento quasi naturale fra rischio e superstizione. Quanto allostinato accanimento che oggi si riscontra nella ricerca del bacio della fortuna, si tratta di un fenomeno verosimilmente compensatorio della tensione continua richiesta dalla feroce competitività della vita moderna. Chi dispera delle proprie capacità è portato a contare sul destino. Una competizione eccessivamente dura scoraggia la persona pavida e la invita ad affidarsi alle forze esterne. Il pusillanime tenta, attraverso la conoscenza e lo sfruttamento delle probabilità che gli riserva il cielo, di ottenere la ricompensa che egli teme di non riuscire a conquistare con le proprie qualità, con uno sforzo ostinato e unapplicazione tenace. Piuttosto che ostinarsi in uningrata fatica, egli chiede alle carte o alle stelle di avvertirlo del momento propizio al successo della sua impresa. La superstizione appare così come la perversione, vale a dire lapplicazione alla realtà di quel particolare principio del gioco, lalea, in base al quale non ci si aspetta niente da se stessi e tutto dal caso. La corruzione della mimicry segue un tracciato parallelo: si manifesta quando limitazione, la simulazione, non è più presa per tale, quando colui che è mascherato crede alla realtà del travestimento e della maschera. Egli non fa più la parte del personaggio che rappresenta; convinto di essere quel personaggio, si comporta di conseguenza e dimentica il suo vero essere. La perdita della propria identità profonda rappresenta il castigo di colui che non sa limitare al gioco il proprio gusto a indossare i panni di unaltra personalità. Si tratta, per essere precisi, dellalienazione. Anche qui, il gioco protegge dal pericolo. Il ruolo dellattore è nettamente delimitato dalla superficie del palcoscenico e dalla durata dello spettacolo. Abbandonato quello spazio magico, spentasi la fantasmagoria, listrione più vanitoso, linterprete più compenetrato sono bruscamente costretti da quelle che sono le condizioni stesse del teatro a ripassare in guardaroba e riprendersi la loro personalità. Gli applausi non sono soltanto unapprovazione e una ricompensa. Segnano la fine dellillusione e del gioco. Allo stesso modo, il ballo in maschera termina allalba e il Carnevale è di breve durata. Il costume ritorna dal trovarobe o nellarmadio. Ognuno ritrova luomo di prima. La precisione dei limiti impedisce lalienazione. Questa si manifesta invece come esito di un lavoro sotterraneo e continuo. Si verifica quando non cè stata una netta distinzione fra lincantesimo e la realtà, quando il soggetto, lentamente, ha potuto immedesimarsi, ai suoi stessi occhi, in unaltra personalità, chimerica, invadente, che rivendica dei diritti esorbitanti nei confronti di una realtà necessariamente con essa incompatibile. Arriva il momento in cui lalienato laltro da sé si accanisce disperatamente a negare, piegare o distruggere questo scenario troppo resistente e, per lui, inconcepibile, provocante. È importante considerare, per lagon come per lalea o la mimicry, come lintensità del gioco non sia in alcun caso causa della deviazione funesta. Questa deriva sempre da una contaminazione con la vita normale. Si manifesta quando listinto che presiede al gioco deborda dai limiti rigidi di tempo e di luogo, senza convenzioni preliminari e imperative. Si può benissimo giocare con grande impegno, prodigarvisi al massimo, rischiarvi tutta la propria fortuna, la vita stessa, ma bisogna potersi fermare al momento stabilito e saper tornare alla condizione normale, là dove le regole del gioco, liberatorie e protettive insieme, non hanno più corso. La competizione è una legge della vita ordinaria. Il caso, anchesso, non contraddice la realtà. Limitazione vi trova posto, come possiamo vedere con i truffatori, le spie e i fuggiaschi. In cambio, la vertigine ne è praticamente bandita, a meno che non si prendano in considerazione alcune rare professioni in cui la bravura di chi le pratica consiste comunque nel dominarla. Inoltre, la vertigine comporta quasi necessariamente un pericolo di morte. Nei luna-park, in quegli aggeggi che servono a provocarla artificialmente, vengono generalmente prese delle precauzioni severe per eliminare ogni rischio. E tuttavia, ogni tanto ci scappa lincidente, anche con macchine studiate e costruite per garantire una perfetta sicurezza a coloro che le usano e che sono sottoposte a scrupolosi controlli periodici. La vertigine fisica, stato estremo e che priva il paziente di ogni mezzo di difesa, è tanto difficile da ottenere quanto rischiosa da sperimentare. Per questo, la ricerca del travolgimento della coscienza o della perdita della percezione, per espandersi nella vita quotidiana, deve assumere delle forme molto diverse da quelle che la vediamo prendere sulle varie macchine rotanti, montagne russe, ottovolante, ecc., inventati per suscitare la vertigine nelluniverso chiuso e protetto del gioco. Queste strutture, costose, complesse, che occupano molto spazio, esistono solo nei luna-park delle grandi città dove vengono montate periodicamente in occasione di alcune feste popolari. Già per latmosfera che vi regna, esse appartengono alluniverso del gioco. Inoltre, la natura delle scosse che procurano corrisponde in tutto e per tutto alla definizione dello stesso: sono brevi, intermittenti, calcolate, discontinue, come altrettante partite o incontri successivi. Restano fondamentalmente indipendenti dal mondo reale. La loro azione è limitata alla loro stessa durata. Cessano con larresto della macchina e non lasciano, nel cultore di questi divertimenti, che un fuggevole senso di stordimento prima di restituirlo al suo stato normale. Per introdurre la vertigine nella vita quotidiana bisogna passare dagli effetti immediati della fisica ai poteri torbidi e fumosi della chimica. Si chiede allora alla droga o allalcool lebbrezza desiderata o il panico voluttuoso che gli aggeggi del luna-park dispensano in modo repentino e brutale. Ma, questa volta, il vortice non è più fuori dalla realtà né separato da essa: vi si è insediato e vi si sviluppa allinterno. Se, come la vertigine fisica, queste ebbrezze, queste euforie, possono ugualmente distruggere per un certo tempo la stabilità della percezione e il coordinamento dei movimenti, liberare dal peso dei ricordi, dai tormenti della responsabilità e dallincalzante fardello della vita, non per questo la loro influenza viene a cessare con il cessare dellaccesso. Lentamente, ma stabilmente, esse alterano lorganismo. Tendono a creare, con un bisogno permanente, uno stato dansia insopportabile. Ci si trova allora agli antipodi del gioco, attività sempre contingente e gratuita. Con lalcool e la droga, la ricerca della vertigine irrompe nella realtà in modo crescente, tanto più vasto e pericoloso in quanto suscita unassuefazione che allontana via via la soglia a partire dalla quale si prova lo stordimento ricercato. Anche a questo proposito, lesempio degli insetti e dei girini è alquanto istruttivo. Ce ne sono di quelli che vanno pazzi per i giochi di vertigine, come stanno a provare, se non le farfalle che danzano intorno alla fiamma, per lo meno i girini che, nel loro parossistico mulinello, trasformano la superficie del più piccolo stagno in un carosello argentato. Ora, gli insetti, e particolarmente gli insetti sociali, conoscono anchessi la degenerazione della vertigine sotto forma di unebbrezza dalle conseguenze funeste. Così, una formica delle più comuni, la Formica sanguinea, lecca avidamente gli essudati odorosi formati da eteri grassi secreti dalle ghiandole addominali di un piccolo coleottero chiamato Lochemusa strumosa. Le formiche introducono nei propri nidi le larve di questo e le nutrono con tanta cura da trascurare le proprie. Ben presto, le larve della Lochemusa divorano le larve delle formiche le cui regine, mal curate, non generano più che degli pseudogini sterili. Il formicaio decade e sparisce. La Formica fusca che, libera, uccide le Lochemusa, le risparmia se è invece schiava presso la Formica sanguinea. Per questa stessa passione di una sostanza grassa e odorosa, essa mantiene presso di sé lAtemeles emarginata che la porta alla rovina. Tuttavia, essa distrugge questultimo parassita, se è schiava presso la Formica rufa che non lo tollera. Non si tratta dunque di uninclinazione irresistibile ma di una sorta di vizio che può sparire in determinate circostanze: la servitù, in particolare, ora lo suscita, ora consente di resistervi. I capi impongono le loro usanze ai prigionieri.32 Questi casi di intossicazione volontaria non sono isolati. Unaltra specie di formiche, lIridomyrmex sanguineus del Queensland, va alla ricerca dei bruchi di una piccola falena grigia per bere lumore inebriante che essi emettono. Schiacciano con le loro mandibole le carni succose di queste larve per farne sprizzar fuori tutto il liquido che contengono. Quando hanno ben spremuto un bruco, passano a un altro. Il male è che i bruchi della falena divorano le uova dellIridomyrmex. Qualche volta, linsetto che emette lessudato odoroso conosce il suo potere e provoca la formica. La larva del Lycaena arion, studiata da Chapman e da Frohawk, è munita di una sacca da miele. Quando incontra unoperaia della specie Myrmica laevinodis, solleva i segmenti anteriori del suo corpo, invitando la formica a trasportarla nel suo nido. Ora, il Lycaena arion si nutre di larve di Myrmica e questultima si interessa al Lycaena solo nei periodi in cui questo insetto produce miele. Infine, un emittero giavanese, Ptilocerus ochraceus, descritto da Kirkaldy e Jacobson, porta nel mezzo della faccia ventrale una ghiandola contenente un liquido tossico che offre alle formiche, che ne sono ghiotte. Queste corrono subito a leccarlo. Il liquido le paralizza ed esse diventano cosi, per il Ptilocerus, una facile preda.33 I comportamenti aberranti delle formiche non rivelano forse, come abbiamo detto, lesistenza di istinti nocivi alla specie. Stanno piuttosto a dimostrare che lattrazione irresistibile per una sostanza paralizzante riesce a neutralizzare gli istinti più forti, in particolare listinto di conservazione che spinge lindividuo a vegliare sulla propria sicurezza e gli comanda di proteggere e nutrire la prole. Le formiche, potremmo dire, dimenticano tutto per la droga. Adottano i comportamenti più funesti, si offrono spontaneamente al nemico o gli abbandonano le loro uova e le loro larve. In modo curiosamente analogo, lebetismo, lebbrezza, lintossicazione da alcool, spingono luomo verso una strisciante ma irreversibile autodistruzione. Alla fine, privato della libertà di volere qualcosaltro oltre al suo veleno, egli si trova in preda a uno smarrimento organico continuo, straordinariamente più pericoloso della vertigine fisica che, almeno, non compromette che provvisoriamente la sua capacità di resistere al fascino del vuoto. Quanto al ludus e alla paidia, che non sono categorie del gioco ma modi di giocare, essi passano nella vita ordinaria conservando il loro eterno contrasto: quello appunto che oppone il chiasso a una sinfonia, lo scarabocchio allapplicazione sapiente delle leggi della prospettiva. La loro contrapposizione è continuamente alimentata dal fatto che unimpresa preliminarmente concertata, in cui le diverse risorse disponibili ricevono la loro utilizzazione ottimale, non ha alcunché da spartire con unagitazione pura, caotica, che tende unicamente al proprio parossismo. Ciò che si trattava di prendere in esame era la degenerazione dei principi del gioco o, se si preferisce, la loro libera espansione senza steccati né convenzioni. Abbiamo osservato che tale corruzione si produce in base a modalità identiche. E comporta delle conseguenze la cui gravità, forse, è solo apparentemente molto disuguale. La follia o la tossicodipendenza sembrano conseguenze sproporzionate alla semplice espansione di uno degli istinti del gioco al di fuori del campo in cui potrebbe dispiegarsi senza alcun danno irreparabile. Al contrario, la superstizione, causata dalla deviazione dellalea, appare innocua. E, addirittura, lambizione sfrenata cui porta lo spirito di competizione svincolato dalle regole di equilibrio e lealtà, sembra spesso avvantaggiare laudace che vi si abbandona. E tuttavia, la tentazione di affidarsi per le proprie scelte di vita alle potenze occulte e allautorità dei segni, applicando meccanicamente un sistema di corrispondenze fittizie, non incoraggia luomo a trarre il miglior profitto dai propri privilegi essenziali. Lo spinge al fatalismo, lo rende incapace di una valutazione intelligente dei rapporti fra i fenomeni. Lo dissuade dal perseverare e dallo sforzarsi di riuscire a dispetto delle circostanze avverse. Trasposto nella realtà, lagon non ha altro scopo che il successo. Le regole di una rivalità cavalleresca vengono neglette e sprezzate; appaiono semplici convenzioni farraginose e ipocrite. Trionfa la competizione più feroce. Il successo giustifica i colpi bassi. Se lindividuo è ancora trattenuto dal timore dei tribunali o dellopinione pubblica, alle nazioni pare legittimo, se non meritorio, condurre la guerra in modo spietato e senza limiti. Le varie restrizioni imposte alla violenza cadono in disuso. Le operazioni belliche non sono più limitate alle regioni di confine, alle piazzeforti e ai militari. Non si svolgono più in base a una strategia che a volte ha fatto assomigliare la guerra a un gioco. La guerra si allontana dal torneo cavalleresco, dal duello, in una parola dal combattimento regolato in campo chiuso, per trovare la sua forma totalizzante nelle distruzioni massicce e nei massacri di intere popolazioni. Ogni degenerazione dei principi del gioco si traduce con un abbandono
di quelle convenzioni precarie e alquanto dubbie che è sempre
lecito, se non addirittura proficuo, negare, ma la cui difficile adozione
costella tuttavia lo sviluppo della civiltà. Se i principi
dei giochi corrispondono infatti a degli istinti potenti (competizione,
ricerca della fortuna, imitazione, vertigine), si comprende facilmente
come essi non possano ricevere un appagamento positivo e creativo
che in determinate condizioni, ideali e circoscritte, quelle che vengono
proposte, in ogni singolo caso, dalle regole del gioco. Abbandonate
a se stesse, frenetiche e rovinose come tutti gli istinti, queste
pulsioni elementari non possono portare che a delle conseguenze funeste.
I giochi disciplinano gli istinti e impongono loro unesistenza
istituzionale. Nel momento in cui accordano agli impulsi un soddisfacimento
formale e limitato, essi li educano, li fecondano e vaccinano lanima
contro la loro virulenza. Contemporaneamente, li rendo 5. PER UNA SOCIOLOGIA CHE PARTA DAI GIOCHI Per molto tempo, lo studio dei giochi è stato semplicemente storia dei giocattoli. Lattenzione era rivolta agli strumenti e agli accessori dei giochi più che alla loro natura, alle loro caratteristiche, alle leggi e agli istinti che vi sono alla base, al tipo di soddisfazione che procurano. In generale, si consideravano i giochi semplici e insignificanti svaghi infantili e non si pensava di attribuir loro il benché minimo valore culturale. Le analisi condotte sullorigine dei giochi o dei giocattoli hanno pienamente confermato la prima impressione in base alla quale i giocattoli sono semplici strumenti e i giochi comportamenti divertenti e puerili, senza importanza, lasciati ai bambini quando gli adulti hanno trovato di meglio da fare. Così, le armi cadute in disuso diventano a loro volta giocattoli: larco, lo scudo, la cerbottana, la fionda. Il bilboquet e la trottola sono stati inizialmente arnesi magici. Molti altri giochi si basano ugualmente su antiche credenze o riproducono superficialmente riti svuotati del loro significato profondo. Conte e girotondi appaiono ugualmente come antichi incantesimi ormai fuori uso. Tutto scade nel gioco, è portato a concludere il lettore di Hirn, di Groos, di Lady Gomme, di Carrington Bolton e tanti altri.34 Tuttavia, Huizinga, nel 1938, nella sua opera principale, Homo ludens, sostiene la tesi esattamente opposta: è la cultura che viene dal gioco. Il gioco è libertà e invenzione, fantasia e disciplina insieme. Tutte le manifestazioni importanti della cultura sono ricalcate su di esso. Sono debitrici dello spirito di ricerca, del rispetto della regola, del distacco che il gioco innesca e sviluppa. Sotto certi aspetti, le regole del diritto, quelle della prosodia, del contrappunto e della prospettiva, quelle della messinscena teatrale e della liturgia, quelle della tattica militare e della controversia filosofica sono altrettante regole di gioco. Stabiliscono delle convenzioni che bisogna rispettare. Si può senzaltro affermare che il loro intreccio sottile dia origine alla civiltà. Tutto avrebbe dunque origine dal gioco? ci si domanda richiudendo Homo ludens. Le due tesi si contrappongono quasi inesorabilmente. Non penso che siano state ancora messe a confronto, sia per privilegiarne una, sia per connetterle, integrarle una allaltra. Bisogna ammettere che sembrano ben lungi dal potersi facilmente conciliare. In un caso, i giochi sono sistematicamente presentati come altrettante degradazioni di quelle attività adulte che, avendo perso la loro vera portata, decadono a livello di distrazioni anodine. Nellaltro, lo spirito ludico è allorigine delle convenzioni feconde che permettono lo sviluppo delle culture. Stimola lingegno, la sottigliezza e linventiva. Contemporaneamente, insegna la lealtà nei confronti dellavversario e dà lesempio di competizioni in cui la rivalità non si prolunga mai oltre lincontro. Attraverso il gioco, luomo si trova in grado di neutralizzare la monotonia, il determinismo, la cecità e la brutalità della natura. Impara a costruire un ordine, a concepire uneconomia, a stabilire unequità. Tuttavia, per quanto mi riguarda, non ritengo impossibile comporre questa antinomia.XXX Lo spirito di gioco è essenziale alla cultura, ma giochi e giocattoli, nel corso della storia, sono effettivamente i residui della cultura. Sopravvivenze incomprese di una condizione superata o elementi presi a prestito da una cultura estranea e che si trovano espropriati del loro significato allinterno di quella in cui sono introdotti, essi appaiono ogni volta estranei al funzionamento della società in cui li si riscontra. Vi sono ormai soltanto tollerati, mentre in una fase precedente o nella società dalla quale hanno avuto origine, erano parte integrante delle istituzioni, sia religiose che laiche. In quel contesto, certamente, non erano affatto dei giochi, nel senso che si dà ai giochi dei bambini, ma non per questo partecipavano meno dellessenza del gioco, quale la definisce giustamente Huizinga. È mutata la loro funzione sociale, non la loro natura. Il transfert, la degradazione che hanno subito, li hanno svuotati del loro significato politico o religioso. Ma questo decadimento non ha fatto che rivelare, isolandolo, ciò che in essi non era che gioco, struttura di gioco. È il caso di dare alcuni esempi. La maschera ne offre subito il più pertinente e significativo: oggetto sacro universalmente diffuso e il cui passaggio allo stato di giocattolo segna probabilmente un mutamento capitale nella storia della civiltà. Ma esistono altri casi comprovati di un simile transfert. Lalbero della cuccagna si ricollega ai miti di conquista del cielo, il calcio alla disputa del globo solare fra due fratrie antagoniste. Certi giochi con la corda servivano a presagire la preminenza delle stagioni e dei gruppi sociali che gli corrispondevano. Laquilone, prima di diventare un gioco, in Europa, verso la fine del XVIII secolo, rappresentava nellEstremo Oriente lanima staccata, esteriore, del suo proprietario rimasto a terra, ma collegato magicamente (e realmente, attraverso la corda per mezzo della quale si trattiene laquilone) alla fragile armatura di carta abbandonata ai vortici dei venti. In Corea, laquilone svolgeva la funzione di capro espiatorio per liberare da ogni male una comunità peccatrice. In Cina, fu utilizzato per misurare le distanze; a mo di rudimentale telegrafo, per trasmettere brevi messaggi; infine, per lanciare una corda al di sopra di un corso dacqua e permettere così di gettare un ponte di barche. Nella Nuova Guinea, lo si utilizzava per rimorchiare delle imbarcazioni. Il gioco detto della campana (o gioco del mondo) rappresentava, molto probabilmente, il labirinto in cui da principio si smarriva liniziato. Nel giocare a prendersi, dietro linnocenza e lagitazione puerili, si è riconosciuta la terribile scelta di una vittima propiziatoria: designata dalla sentenza fatale della sorte, prima desserlo dalle sillabe sonore e vuote della conta, essa poteva (per lo meno si suppone) liberarsi del suo marchio infamante passandolo per contatto a colui che raggiungeva nella corsa. Nelle tombe dellantico Egitto, si trova molto spesso la rappresentazione di una scacchiera. Le cinque case in basso a destra sono ornate di geroglifici propiziatori. Sopra il giocatore, vi sono delle iscrizioni che si riferiscono alle sentenze del giudizio dei morti cui presiede Osiride. Il defunto gioca la propria sorte nellaltro mondo e si guadagna, o perde, la beatitudine. NellIndia vedica, chi offre un sacrificio si dondola su unaltalena per aiutare il sole a risalire nel cielo. Si ritiene infatti che loscillante traiettoria dellaltalena colleghi il cielo e la terra e la si paragona allarcobaleno, altro collegamento fra cielo e terra. Laltalena si trova generalmente associata alle idee di pioggia, di fecondità, di rinnovamento della natura. In primavera, si fa solennemente dondolare Kama, dio dellamore, e Krishna, protettore degli armenti. Laltalena cosmica spinge luniverso in un su e giù eterno in cui sono trascinati gli esseri e i mondi. I giochi periodici celebrati in Grecia erano accompagnati da sacrifici e processioni. Dedicati a una divinità, costituivano essi stessi unofferta: quella dello sforzo, dellabilità o della grazia. Queste competizioni sportive erano prima di tutto una sorta di culto, la liturgia di una cerimonia sacra. In linea generale, i giochi dazzardo sono stati costantemente collegati alla divinazione, così come i giochi di forza o di destrezza, o i tornei di enigmi, avevano valore di prova nei rituali di investitura di una qualche carica o ministero importante. Il gioco attuale è tuttora male affrancato dalla sua origine sacrale. Gli Eschimesi giocano al bilboquet solo allequinozio di primavera. E a condizione di non andare a caccia lindomani. Questa dilazione purificatoria non si spiegherebbe se la pratica del bilboquet non fosse stata inizialmente qualcosa di più di una semplice distrazione. In realtà, essa dà luogo a ogni specie di recitazioni mnemotecniche. In Inghilterra, cè una data fissa per giocare alla trottola ed è legittimo sequestrare quella che gira fuori stagione. Sappiamo che un tempo villaggi, parrocchie e città possedevano trottole gigantesche che le confraternite facevano girare ritualmente quando ricorrevano determinate feste. Anche in questo caso, un gioco infantile pare uscito da una preistoria carica di significati profondi. Girotondi e filastrocche, a loro volta, sembrano continuare o ripetere antiche liturgie cadute in disuso. Così, in Francia, La Tour prends garde, Le Pont du Nord o Les Chevaliers du Guet. E, in Inghilterra, Jenny Jones o Old Rogers. Non cè voluto molto di più, inoltre, per ritrovare nella drammatizzazione di questi giochi reminiscenze del ratto a scopo di matrimonio, di svariati tabù, di rituali funebri e di tanti costumi caduti in dimenticanza. Non esiste alcun gioco, infine, che non sia apparso agli storici specializzati come lo stadio estremo della progressiva decadenza di unattività solenne e decisiva che determinava la prosperità o il destino degli individui o delle comunità. Cionondimeno mi chiedo se una simile dottrina, che consiste nel considerare ogni gioco come la metamorfosi estrema e svilita di unattività importante, non sia fondamentalmente errata e, a dirla franca, unottica del tutto illusoria che non risolve minimamente il problema. È senzaltro vero che larco, la fionda, la cerbottana esistono tuttora come giocattoli mentre strumenti più potenti li hanno sostituiti in quanto armi. Ma i bambini giocano anche con pistole ad acqua o a cartuccia, e con carabine ad aria compressa, mentre né pistole né fucili sono fuori uso presso gli adulti. E giocano anche con carri armati, sommergibili e aerei in miniatura che lasciano cadere imitazioni miniaturizzate di bombe atomiche. Non esiste arma nuova che non venga immediatamente tradotta in giocattolo. Al contrario, non è del tutto sicuro che i bambini della preistoria non giocassero già con degli archi, delle fionde e delle cerbottane di fortuna, mentre i loro padri se ne servivano sul serio o per davvero, per usare unespressione estremamente rivelatrice del linguaggio infantile. È improbabile che si sia aspettata linvenzione dellautomobile per giocare alla diligenza. Il gioco di monopoli riproduce il funzionamento del capitalismo: non viene dopo il capitalismo. Losservazione è altrettanto valida sia per il sacro che per il profano. Le Katcina sono semi-divinità che costituiscono il principale oggetto di culto degli Indiani Pueblos del Nuovo Messico: ciò non impedisce che quegli stessi adulti che li onorano e li incarnano nel corso di danze mascherate, facciano poi delle bambole a immagine e somiglianza delle Katcina per divertire i bambini. Allo stesso modo, nei paesi cattolici, i bambini giocano normalmente alla messa, alla cresima, al matrimonio, al funerale. I genitori li lasciano fare, per lo meno finché limitazione si mantiene nei limiti di un certo rispetto. NellAfrica nera, i bambini costruiscono in modo analogo maschere e rombi e vengono daltronde puniti se limitazione passa i limiti e assume un carattere eccessivamente parodistico o sacrilego. In poche parole, strumenti, simboli e rituali della vita religiosa, comportamenti e gesta della vita militare, vengono normalmente imitati dai bambini che si divertono a comportarsi come gli adulti, a fingere per un momento di essere adulti. Per questo, ogni cerimonia, o più in generale ogni attività rigorosamente regolata, non appena presenti degli elementi suggestivi o rivesta una qualche solennità, e soprattutto se lofficiante, per adempierla, indossa un costume speciale, serve normalmente da supporto a un gioco che la riproduce a vuoto. Di qui il successo delle armi-giocattolo e dei vari costumi che, grazie ad alcuni accessori caratteristici e agli elementi di un rudimentale travestimento, permettono al bambino di trasformarsi in ufficiale, in poliziotto, in fantino, in aviatore, in marinaio, in cow-boy, in bigliettaio dautobus, in qualunque personaggio interessante che avrà colpito la sua attenzione. Lo stesso discorso vale per la bambola che, a ogni latitudine, permette alla bambina di imitare la madre, di essere una madre. Si è portati a sospettare che non ci sia passaggio, svilimento di unattività seria degradata a divertimento infantile, ma piuttosto presenza simultanea di due diversi registri. Il bambino indiano si divertiva già con laltalena ai tempi in cui lofficiante faceva religiosamente oscillare Kama o Krishna sullaltalena liturgica sfarzosamente ornata di ghirlande e pietre preziose. I bambini doggi giocano al soldato senza che gli eserciti siano spariti. E come immaginare che un giorno sparisca il gioco della bambola? XXXVIII Considerando ora le occupazioni degli adulti, il torneo è un gioco, la guerra non lo è. A seconda delle epoche, vi si muore, poco o molto che sia. Certo, si può essere uccisi anche in un torneo, ma solo accidentalmente, come in una corsa automobilistica, in un incontro di boxe o di scherma, perché il torneo è più regolato, più separato dalla vita reale, meglio circoscritto della guerra. Inoltre, al di fuori del suo spazio, esso è, per natura, privo di conseguenze: pura occasione di gesta prestigiose messe subito in ombra dalla prodezza seguente, così come ogni nuovo record oscura limpresa precedente. Allo stesso modo, la roulette è un gioco, ma non lo è la speculazione, in cui tuttavia il rischio non è minore: la differenza sta nel fatto che, in un caso, ci si astiene dallintervenire sulla sorte e, nellaltro, ci si adopera invece per intervenire sulla decisione finale, senzaltro freno che la paura dello scandalo o della prigione. In questa prospettiva, si vede benissimo che il gioco non è affatto il residuo anodino di unoccupazione da adulto caduta in disuso e superata, benché ne perpetui eventualmente la parvenza. Il gioco si presenta innanzitutto come unattività parallela, indipendente, che si contrappone alle gesta e alle decisioni della vita normale attraverso a delle caratteristiche specifiche che gli sono proprie e fanno sì che esso sia un gioco. Si tratta di quelle caratteristiche specifiche che prima ho tentato di definire e analizzare. Così, i giochi dei bambini consistono in parte, e in modo assolutamente naturale, nel mimare gli adulti, esattamente come la loro educazione si prefigge lo scopo di prepararli a diventare a loro volta degli adulti gravati di responsabilità effettive, non più immaginarie e tali che basti dire non gioco più per abolirle. Il vero problema comincia qui. Perché non bisogna dimenticare che gli adulti non cessano di giocare, per conto loro, a giochi complessi, vari, a volte pericolosi, ma che restano pur sempre giochi, in quanto collaudati come tali. Sebbene vi si possano trovare impegnati il patrimonio e la vita stessa allo stesso modo e ancora di più di quanto non lo siano nelle attività cosiddette serie, ognuno li distingue immediatamente da queste ultime, anche quando esse appaiano al giocatore assai meno importanti del gioco che lo appassiona. Il gioco, infatti, resta separato, chiuso, in linea di massima senza ripercussione importante sulla solidità e la continuità della vita collettiva e istituzionale. Tutti gli autori che si sono ostinati a vedere nei giochi, specialmente nei giochi infantili, delle modificazioni futili e divertenti di attività un tempo ricche di significato e ritenute decisive, non hanno considerato abbastanza che gioco e vita normale sono costantemente e in ogni campo antagonisti e simultanei. Un simile errore di valutazione ci fornisce tuttavia un insegnamento prezioso in quanto rivela, senza alcun dubbio, che la storia verticale dei giochi, voglio dire la loro trasformazione nel corso del tempo il destino di una liturgia che finisce in girotondo, di uno strumento magico o di un oggetto di culto che diventa giocattolo è ben lungi dal dare sulla natura del gioco tante informazioni quante ne hanno immaginate gli studiosi che hanno pazientemente scoperto queste audaci filiazioni. In compenso, queste stabiliscono, come di riflesso, che il gioco è coesistente, inseparabile dalla cultura, le cui manifestazioni più significative e complesse appaiono strettamente associate a delle strutture di giochi, se non addirittura come strutture di giochi prese sul serio, erette a istituzione, a regola generale, divenute strutture imperative, coercitive, insostituibili, promosse, in una parola, a regole del gioco sociale, norme di un gioco che è più di un gioco. Alla fine, la questione di sapere che cosa sia venuto prima, se il gioco o la struttura seria, appare alquanto vana. Spiegare i giochi a partire dalle leggi, dalle usanze o dalle liturgie o, al contrario, spiegare la giurisprudenza, la liturgia, le regole della strategia, del sillogismo o dellestetica partendo dallo spirito di gioco, sono operazioni complementari, ugualmente valide e feconde, se non pretendono di escludersi a vicenda. Le strutture ludiche e le strutture funzionali sono spesso identiche, ma le rispettive attività cui esse presiedono sono irriducibili luna allaltra e si esercitano, a ogni modo, in campi fra loro incompatibili. Tuttavia, ciò che si esprime nei giochi non è diverso da quanto esprime una cultura. La motivazione profonda coincide. Naturalmente, con il tempo, quando una cultura si evolve, ciò che era inizialmente istituzione può senzaltro trovarsi svilito. Un contratto un tempo essenziale diventa convenzione puramente formale, che ciascuno rispetta o non cura a proprio piacimento, perché ottemperarvi è ormai preoccupazione gratuita, voluttuaria, sopravvivenza prestigiosa, senza alcuna ripercussione sulleffettivo funzionamento della società considerata. Poco a poco, questa riverente, desueta considerazione scade a livello di semplice regola di gioco. Ma il solo fatto che si possa riconoscere in un gioco un antico elemento importante del meccanismo sociale, rivela una straordinaria connivenza ed eccezionali possibilità di scambio fra i due campi. Ogni istituzione funziona in parte come un gioco, di modo che essa si presenta anche come un gioco che si è dovuto instaurare, un gioco che poggia su nuovi principi e che ha dovuto spodestarne uno precedente. Questo gioco inedito risponde a nuovi bisogni, mette in auge nuove norme e legislazioni, esige altri meriti e attitudini diverse. Sotto questo profilo, una rivoluzione appare come un mutamento delle regole del gioco: a esempio, i privilegi o le responsabilità un tempo devoluti a ciascuno dal caso della nascita, devono ormai essere ottenuti per mezzo del merito personale, col favore di un concorso o di un esame. In altre parole, i princìpi che ordinano i vari tipi di giochi caso o destrezza, fortuna o superiorità dimostrata si manifestano allo stesso modo anche al di fuori delluniverso chiuso del gioco. Bisogna però ricordare che essi governano questultimo in modo assoluto, senza resistenza e, per così dire, come un mondo fittizio senza peso né materia, mentre nelluniverso confuso, inestricabile, dei reali rapporti umani, la loro azione non è mai isolata, né sovrana, né circoscritta in partenza: comporta conseguenze inevitabili. Ha in sé, nel bene e nel male, una fecondità naturale. Tuttavia, in ambedue i casi è possibile identificare le stesse motivazioni determinanti:
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