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I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine di Roger Caillois
Prefazione di Pier Aldo Rovatti | Note all'edizione italiana di Giampaolo Dossena |Traduzione di Laura Guarino | Titolo originale Les Jeux et les hommes - Le masque et le vertige | 1967 Editions Gallimard | 1981/2010 RCS Libri S.p.A.

Note all'edizione italiana di Giampaolo Dossena

I l’aspetto che maggiormente lo discredita. È passato qualche anno da quando Caillois scriveva, e sembrerebbe che certe idee abbiano messo radice: si sente spesso parlare di attività “ludiche” in senso positivo. Ma il gioco resta circondato dal discredito in molti ambienti.

Nel 1980, in Iran, Khomeini ha proibito il gioco degli scacchi (articoli di Adolivio Capece su “Il Giornale nuovo”, 19 dicembre 1980, 15 gennaio 1981). Nel 1981 in Urss la “Komsomolskaja Pravda” ha sferrato un duro attacco ai giochi di carte, “divertimento di snob e fannulloni d’altri tempi”. I giocatori, dice il giornale sovietico, “non guardano i cipressi, le vele, il mare. Sono sciocchezze. Loro non amano le sciocchezze. Amano solo il gioco delle carte. Si sprecano ore, si rinuncia alla lettura di libri, alla visione di film. Non si potrebbe invece leggere, guardare, pensare?...” (riportato in una corrispondenza da Mosca, “La Stampa”, 5 luglio 1981).

Simili riferimenti, iraniani e sovietici, possono sembrare volgari, ma il gioco è circondato dal discredito in ben altri ambienti. È circondato dal discredito anche chi si interessa ai giochi, anche chi li studia con tono asettico, accademico. Per esempio Michael Dummett, professore di logica a Oxford, ha scritto due libri sui tarocchi (DUMMETT 1980 a, b), e in quella sede privilegiata dell’intelligenza asettica, accademica che è il “Times Literary Supplement” per ben due volte ci si è chiesto a chi mai possa interessare una esposizione minuziosa dei vari modi di giocare a tarocchi, sentenziando che il professor Dummett, invece di perder tempo in argomenti meritevoli di tanto discredito, avrebbe fatto meglio a occuparsi d’altro (per esempio, dell’iconologia delle tradizioni esoteriche): “Professor Dummett would better have devote his time to investigating...” (7 novembre e 12 dicembre 1980).

Il gioco russo più diffuso si chiama Durak, che vuol dire scemo, e un famoso solitario inglese si chiama Idiot’s Delight. Giocare e interessarsi di giochi significa anche affrontare deliberatamente un preciso, persistente, discredito, scegliendo di essere scemi alla russa o idioti all’inglese piuttosto di leggere libri e vedere film sovietici come vorrebbe la “Komsomolskaja Pravda” o piuttosto di studiare l’iconologia delle tradizioni esoteriche come vorrebbe il “Times Literary Supplement”.

II le nozioni implicite... nell’idea stessa del gioco, così come appaiono nei diversi impieghi della parola. Come già altri avevano osservato per Huizinga, così anche per Caillois è stato notato qualche limite di consapevolezza in questa analisi dei rapporti tra “idea” e “parola”. Per esempio Caillois ricorre alle sfumature di parole cinesi, ma non mette a partito distinzioni implicite in parole inglesi come play e game. ABRAHAMS 1979. Per egocentrismo francofono Caillois scrive poco più avanti frasi (dove jouer vale “suonare” e “recitare”) la cui traduzione lascerà dubitosi alcuni lettori; ma personalmente trovo corretto che il traduttore le abbia, appunto, tradotte, e che l’editore non le abbia corredate di note in calce.

Piuttosto si veda come più avanti ancora, all’inizio del capitolo Dalla pedagogia alla matematica, Caillois sia preso dal dubbio “che la parola gioco sia forse un semplice inganno”.

Alle sue citazioni di Neumann e Morgenstern (la cui “teoria dei giochi” investe economia e matematica) altre se ne potrebbero aggiungere, da Wittgenstein (cosa intendesse Wittgenstein per “giochi linguistici” è abbastanza noto; chissà se è abbastanza chiaro) a Eugen Fink, quel fenomenologo tedesco che mi si dice abbia parlato della creazione del mondo come gioco (per questo si poteva già vedere il finale di Homo ludens). L’uso del termine “gioco” in ambienti psicanalitici o variamente psicoterapeutici sta assumendo connotazioni che si possono recuperare all’ambito del “gioco” tenendo presente la componente di “vertigine” che caratterizza i “jeux idiots” (dalla roulette russa al ben più preciso “gioco della verità”; DOSSENA e RINALDI 1978, pp. 122-125). L’uso del termine “gioco” in ambienti pedagogici, riservato a indicare attività “destrutturate, alternative, libere e liberatorie, informali, aperte, spontanee, creative” ARNOLD 1980, pp. 297-299) sembra accettabile se si mettono tra virgolette non questi aggettivi, bensì il sostantivo (basta dire “giochi” creativi anziché giochi “creativi”). Osservazioni interessanti e ricca bibliografia su tutta questa estensione del significato di “gioco” in Valzania 1978, che da parte sua considera l’elemento “gioco” nel diritto e nel processo.

III ogni gioco è un sistema di regole. In anni successivi nella mente di alcuni questa frase ha completamente perso senso. Ma il delirio per i giochi senza regole sembra volgere alla fine. ARNOLD 1980, pp. 297-99.

IV gioco di un meccanismo, di un ingranaggio. È questo uno dei punti in cui Caillois più che mai pensa credendo di pensare, mentre pensa semplicemente parlando in francese. Si noti però che alcune fra le espressioni citate sono di uso corrente anche in italiano, e calza perfettamente anche in italiano la definizione di gioco data poche righe più avanti: “azione regolare e combinata delle diverse parti di una macchina” (BATTAGLIA: “movimento di più organi collegati insieme, funzionamento di un congegno”). Questa definizione di gioco può essere efficacemente messa a partito quando si parli di certi giochi di parole non necessariamente giocosi né propriamente ludici. L’italiano medio ammette che siano giochi di parole acrostico, lipogramma, pan-gramma, tautogramma, ma non, senza molte riserve, che sia gioco di parole la rima.

A proposito di rima Caillois diceva una cosa interessante — citata da Jean d’Ormesson nella risposta a Marguerite Yourcenar — (che ha preso il posto di Caillois all’Académie Française, e ne ha tessuto l’elogio come vuole la tradizione): “il richiamo di un suono agisce come un segnale che delimita una durata. Il primo verso è un’attesa, il secondo verso risponde all’attesa. Il verso libero è una pura illusione ottica, una bugia tipografica. Per definizione il verso libero è linguaggio liberato da qualsiasi regolarità ritmica, dunque è prosa. Un filosofo di Koenigsberg aveva già parlato di una colomba che, infastidita dalla resistenza dell’aria, immaginava di poter volare meglio nel vuoto.”

V la guerra. Un autore molto ristampato oggi in Italia dice tra l’altro: “la natura obiettiva della guerra si riduce a un calcolo di probabilità; non occorre più che un solo elemento per farne un gioco, ed esso non le fa difetto: il caso... Di tutti i rami dell’attività umana, la guerra è quello che più rassomiglia a una partita a carte” (CLAUSEWITZ 1978, pp. 34-35).

VI i giocatori buttano giù le carte. Questo non è vero per tutti i giochi e per tutti gli ambienti. Al contrario, portare il gioco fino in fondo, anche quando se ne conosca con certezza l’esito, è spesso una regola. Si distinguono regole per giocare (p. es., a scopa, il meccanismo di presa e i valori di punteggio), e regole per vincere (p. es., a scopa, la regola dello spariglio) ma grande peso hanno anche le regole rituali (distribuzione delle carte in senso orario o antiorario ecc.). Portare il gioco fino in fondo è spesso una regola rituale.

VII trottola. Nell’originale toupie, che corrisponde propriamente a “trottola”, laddove sabot corrisponde a “paleo”. La differenza è così forte che in una filastrocca citata come ancor viva dal Carducci si diceva: “Uno, due, tre / e lo papa non è lo re / la trottola non è il paleo / il cristiano non è l’ebreo”. E c’era il proverbio: “Quando e’ ti dice buono al paleo, non giocare alla trottola.” Ma in Italia i dizionari (anche il DEI) hanno perso la distinzione fra “trottola” e “paleo”; l’hanno persa prima che tali giochi si estinguessero (già il Tommaseo dà trottola e paleo quasi per sinonimi). (Poco diffuso in italiano è pure il termine “girlo” che corrisponde a un terzo tipo di questa famiglia: il toton.) In breve:

a) la toupie-trottola gira per effetto di un unico impulso (dato con uno spago avvolto intorno ad essa) mentre il sabot-paleo, avviato con impulso iniziale (che può essere dato con lo spago come sopra, o con le palme delle mani), continua poi a girare per effetto di impulsi successivi (dati con due cordicelle legate all’estremità di un legno, “terza”: Dante, Par., XVIII, 42);

b) la toupie-trottola ha una punta di ferro, da usare contro le avversarie, mentre il sabot-paleo non ha punta di ferro e non ha uso aggressivo. DILLAYE 1885, pp. 191-194; STELLA 1969, tavv. 3, 22; ALLEAU 1964, pp. 459, 500, GANDINI 1979.

Anche più avanti dove è tradotto “trottola” Caillois dice sempre toupie. Sulle toupies magiche, rituali ecc., JAULIN 1979.

VIII puzzle. In francese, come in italiano, il termine generico puzzle è usato per indicare specificamente quello che in inglese è il jig-saw puzzle.

IX solitari con le carte. Caillois dice réussites. Cfr. nota a p. 234, per solitane.

X né ho fatto distinzione... fra i giochi dei bambini e quelli degli adulti. In questi ultimi anni è sempre più vacillante la possibilità di distinguere, anche solo merceologicamente, le fasce di età dei consumatori, per quel che riguarda i giochi. Non solo perché vengono sempre più spesso immessi sul mercato giochi destinati a giocatori “ages 8 to adult, dagli 8 agli 80 anni”, ma perché realmente i bambini sono sempre più precoci (e possono giocare a scacchi) mentre gli adulti sono sempre più infantili (e possono giocare a soldatini). Si parla di “allungamento del periodo di immaturità”. Naturalmente la possibilità di distinzione permane; i negozi specializzati in “giochi per adulti” sono anche all’insegna dei “giochi dei grandi”.

XI jacquet. Gioco che si fa in Francia sulla tavola reale; analogo al backgammon, diversissimo dal tric-trac. AVELINE 1961, pp. 510-514. Non sarà inutile spiegare quanto segue.

Con un mazzo di carte si possono fare tanti giochi; su una scacchiera si può giocare a scacchi, a dama italiana, a reversi; sul tavoliere a 24 frecce che in italiano si chiama tavola reale si possono fare vari giochi, diversi o diversissimi a seconda dei paesi e delle epoche; in certi paesi e in certe epoche si possono essere diffusi contemporaneamente giochi diversi. Poco sappiamo del tabula che ci giocavano i romani (BELL 1979 a e b, p. 90). In Italia fino al secolo scorso ci si giocava a tric-trac, a sbaraglino, e a quel gioco detto per metonimia “tavola reale” Giuochi nobili 1899 descrive tavola reale come analoga al backgammon; estinti tric-trac, sbaraglino e tavola reale — che il DEI dà per sinonimi — ai primi del Novecento, in Italia si è ricominciato a giocare a backgammon verso il 1975. In Turchia ci si gioca a tavli, in Germania a puff, in Islanda a un gioco detto “a caccia di ragazze”. Undici giochi per il tavoliere della tavola reale descrive ARNOLD 1980, pp. 260-275.

XII scaldamano. Caillois dice main chaude: gioco descritto p. es. in AVELINE 1961, p. 305. Il DEI e altri vocabolari registrano “scaldamano” o “scaldamani”; descritto in LA SORSA 1937, p. 114 come gioco diffuso in tutta Italia.

XIII vola l’asino. Caillois dice pigeon-vole: gioco descritto p. es. in AVELINE 1961, p. 309. “Vola l’asino” (non registrato dal DEI) ha l’identico meccanismo, e veniva così descritto da LA SORSA 1937, p. 156: “Divertente è il giuoco che si fa nel Foggiano detto ‘vola, vola ‘u ciucce’. I bambini seduti in circolo mettono l’indice su d’un tavolino; chi fa da capo, dice il nome di un uccello, come il cardellino, il passero, l’avvoltoio ecc., ed ognuno alza il proprio dito. Ad un tratto il capo dice il nome di un animale non volatile, ed alza l’indice, per esempio: ‘vola l’asino!’. Chi per distrazione eleva il dito, sbaglia e paga il pegno. Tale giuoco si fa anche nel Veneto.”

XIV la cavallina. Caillois dice saute-mouton, e in italiano si può dire “saltamontone” (ARNOLD 1980, p. 97); più diffuso però sembra “cavallina”, benché non registrato dal DEI; il BATTAGLIA lo definisce “gioco infantile che consiste nel saltare, a gambe divaricate, un compagno con la schiena piegata in avanti”.

XV bilboquet. Termine registrato in questa forma da vari dizionari, tra cui il DEI; altri registrano la forma italianizzata “bilbocchetto”. Alcuni (tra cui il DEI) danno per sinonimo di bilboquet “misirizzi”, che è tutt’altro gioco; altri anche “saltamartino”, che è gioco analogo al misirizzi, ancora una volta diversissimo dal bilboquet. Il bilboquet è costituito da una sfera di legno forata, legata con una cordicella alla metà d’un bastoncino terminante da una parte con una punta e dall’altra con un piattello concavo. Il gioco consiste nel far saltare la palla ricevendola poi o sul piattello o sulla punta (che s’incastra nel foro). Una palla molto piccola può analogamente essere ricevuta in un bicchierino. Per una breve storia del bilboquet, ALLEAU 1964, pp. 45-47.

XVI solitaire. Questo gioco si chiama solitaire anche in italiano e in inglese; in italiano si può dire “solitario classico”.

a) Quello che in italiano si chiama solitario (sottintendendo con le carte) in francese si chiama patience o réussite, in inglese si chiama patience, in americano si chiama patience o solitaire; di questi giochi si conoscono centinaia di generi, specie e tipi.

b) Quando un francese dice solitaire, o un inglese dice solitaire, intende un gioco che non si fa con le carte, e che cercheremo di descrivere più avanti; di questo gioco si conoscono due specie fondamentali, e poche varianti secondarie.

c) Quando un americano dice solitaire (o un italiano dice solitario senza altre specificazioni) si deve indovinare dal contesto se intenda a oppure b.

Il gioco che in francese e in inglese si chiama solitaire, al quale qui Caillois si riferisce, è molto antico e molto serio; tenne occupata a lungo la mente di Leibniz.

Se ne conoscono due tipi fondamentali: quello più antico, detto anche solitaire alla francese, e quello più recente, semplificato, detto anche solitaire all’inglese. *

Il solitaire alla francese è composto da un tavoliere ottagonale con 37 buchi e 37 cavicchi conficcati in tali buchi. È essenziale che i buchi siano numerati, per poter ricostruire e imparare i vari giochi e inventarne di nuovi, prendendo appunti per memorizzare le varie soluzioni. Il gioco comineia togliendo dal tavoliere uno o più cavicchi in modo da lasciare uno o più buchi liberi — senza di che qualsiasi movimento è impossibile. Si tratta poi di mangiare un certo numero di cavicchi in modo che alla fine ne resti uno solo (o ne resti un certo numero secondo un disegno prefissato). La regola fondamentale è quella della dama: ogni cavicchio si sposta secondo la verticale o l’orizzontale saltando su un altro immediatamente vicino e prendendo posto in un buco libero adiacente; il cavicchio così saltato si toglie dal tavoliere e non rientra più in gioco. Il più recente testo italiano sull’argomento è BASLINI 1970.

Il solitaire all’inglese ha 33 buchi anziché 37. Più facile, e ovviamente più diffuso, generalmente non ha buchi bensì cunette; non ha cavicchi bensì biglie; non ha forma esagonale bensì circolare (e tutt’intorno alla circonferenza corre un canaletto in cui si depongono le biglie via via eliminate). Se ne trovano in commercio di cristallo, di plastica, di legno più o meno pregiato. Vale per il resto quanto detto sopra.

Varianti secondarie del solitaire sono il Lam-turki (Bengala) e il “piccolo solitario vittoriano”. DOSSENA 1976, pp. 222-226.

Diffusa è la confusione fra solitaire e dama cinese, fra solitaire e halma o alma. Un gioco solitario analogo al solitaire si può fare con l’halma (DIAGRAM GROUP 1976, p. 43); inversamente si possono praticare incontri competitivi di solitaire,

XVII baguenaude. Rompicapo analogo al gioco dei nove anelli (come dice più avanti Caillois stesso); sinonimo di quel baguenaudier che si trova illustrato (con sette anelli) nei vecchi Larousse e descritto (con undici anelli) in DILLAYE 1885, pp. 430-435. Tutti questi rompicapi appartengono alla famiglia detta in inglese metal puzzles e in tedesco Metall-Geduldspiele; venduti spesso in confezioni multiple (che possono comprendere varianti semplificate della baguenaude, p. es. con quattro anelli). Una definizione può essere questa: “rompicapo costituiti da nodi più o meno complessi di anelli metallici, chiodi e simili, apparentemente inestricabili: ma, se si conosce il trucco, è facilissimo separare un elemento dall’altro, con movimenti piccoli e dolci.” In Italia questi giochi non sono molto diffusi, e non risulta sia corrente in italiano un loro “nome”: si ricorre a “definizioni” come sopra, o a “descrizioni” più mugolanti, accompagnate da gesti nervosi delle dita. Recente, elegante, letale, il Double Treble Tlef della Pentangle (Inghilterra).

XVIII gli anagrammi, i versi olorimi, i vari logogrici. Caillois cita alla rinfusa sparando nel mucchio dei giochi di parole, dei giochi alfabetici, dei giochi letterari. La situazione in Francia era ed è diversa da quella italiana. Sono vivi in Francia giochi di società e giochi orali tramontati o mai esistiti in Italia; la tradizione italiana è meno orale e più grafica, ed è stata irrigidita negli ultimi decenni dal perfezionarsi delle tecniche enigmistiche; l’enigmistica in Italia non solo ha una diffusione ignota altrove, attraverso periodici popolari, ma ha anche una peculiarissima situazione specialistica (riviste di “enigmistica classica”, repertori, storie, bibliografie, antologie); l’enigmistica italiana mantiene in vita giochi come il rebus, l’anagramma, la sciarada, che sono estinti o quasi in Francia, come accenna Caillois stesso più avanti. Raggruppare e classificare i giochi di parole diffusi e possibili è un’impresa ancor da compiere in Italia (mentre in Francia fioriscono li
bri come LACLOS 1977 e COLIGNON 1979). Un primo tentativo è in RONCORONI 1981.

Caillois non accenna ai giochi alfabetici che già ai suoi tempi si potevano fare con carte (Lexicon) e tasselli (Scrabble, Diamino); ma la grande fortuna dello Scrabble è di anni successivi.

Vedi il Dizionario dei giochi con le parole (A. Vallardi, Milano 1994) e P. Albani, B. Buonarroti, Aga magéra difùra. Dizionario delle lingue immaginarie (Zanichelli, Bologna 1994).

XIX la lettura attiva di romanzi gialli. In uno studio in corso di pubblicazione (1981) a cura del Belc di Parigi, Francis Debyser riprende la distinzione che già altri hanno fatto fra “esposizione” e “soluzione”, con terminologia presa dagli indovinelli e dai giochi enigmistici in generale (CHRISTIE 1980, pp. V-VII): in un romanzo giallo, anche di scuola inglese tradizionale, non sembra dimostrato che i lettori tendano a scoprire la “soluzione”, sembra piuttosto che si affidino al flusso narrativo dell’”esposizione”. Quel romanzo di Agatha Christie che noi conosciamo in Italia sotto il titolo E poi non rimase nessuno (Ten Little Niggers), pubblicato nel 1939, fu tradotto in Francia nel ‘47. Nell’ultima pagina, dove si spiega tutto il trucco, il traduttore (o il tipografo) saltò un paio di righe. Come dimostra Debyser, quel salto fa sì che la “soluzione” rimanga incomprensibile. Ebbene: dal ‘47 l’errore è rimasto, in decine di edizioni, in centinaia di migliaia di copie, fino al 1981. Come mai, si domanda Debyser, tra milioni di lettori francofoni, non ce n’è stato uno che se ne sia accorto? Tra le risposte possibili, Debyser inclina a questa: chi legge “romanzi gialli” è un generico lettore di “romanzi”, e del meccanismo “giallo” non si cura. Se così fosse, la “lettura attiva” di cui parla Caillois resterebbe un’ipotesi, o un atteggiamento fortemente minoritario.

XX segue eminentemente i capricci della moda. Gli esempi che dà Caillois (tutti registrati dal DEI) si potrebbero moltiplicare: l’ultimo delirio collettivo fu, in Italia nel 1971, quello dei clic-ciac (Hackers). C’è da domandarsi se non subiranno sorte analoga altri giochi, come il Cubo magico di cui parliamo alla nota per il quadrato del quindici (p. 243). L’osservazione di Caillois è tanto più valida se si è osservato il mercato dei “giochi dei grandi”, sia nella cartolibreria sotto casa, sia nelle grandi rassegne internazionali (come la Spielwarenmesse di Norimberga). Diventato una fetta importante nei bilanci di grandi compagnie internazionali, il mercato dei giochi (che dal 1980 comincia a dare segni di crisi paragonabili a quelli dell’editoria libraria) è stato sottoposto a una coltivazione intensiva, con ricerca spasmodica delle novità, e queste novità sono state soggette a rapidissimi fenomeni di invecchiamento e scomparsa. Chi si volge a riguardare questa storia vede migliaia di g
iochi estinti o in via di estinzione. Forse, dopo il Monopoli, l’ultimo gioco duraturo che si sia inventato è il Master Mind. AULT 1980.

XXI bricolage. La precoce idea di Caillois, che questo hobby sia prodotto specifico della civiltà industriale avanzata, è documentata in Storia dell’artigianato italiano 1979.

XXII la dama cinese. Caillois dice jeu de pions: oggi è diffuso il termine dames chinoises. Non che il termine, il gioco stesso manca ai repertori francesi (cit. nella bibliografia alle presenti note); compare solo nel BERLOQUIN 1976, p. 136. Il nome cinese è Xiaoxing Tiaoqui, ma si tratta di un gioco moderno derivato dall’alma o halma. Molti lo confondono col solitaire. Ignorato dal DEI, è diffuso in Italia in confezioni di vario tipo; quelle importate dalla Cina hanno tavoliere in cartone e biglie in vetro colorato. DIAGRAM GROUP 1975 e 1976, p. 43, BELL 1979 a e b, p. 154.

XXIII il puzzle (Tai Kiao). Caillois dice le puzzle (Tai Kiao). Questo termine non si trova in nessuno dei repertori francesi citati nella bibliografia alle presenti note. Caillois intende il tangram (termine che pure non si trova, come sopra; manca anche al DEI). È un solitario cinese basato sulla scomposizione del quadrato in sette pezzi geometrici che si possono disporre in modo da suggerire una illimitata quantità di figure. Sembra sia antichissimo, ma la prima descrizione a stampa che se ne conosca è solo del 1813: Ch’i Ch’iao t’u ho-pi. Degli anni immediatamente successivi sono molte descrizioni a stampa in lingue europee. Questi sono gli anni in cui si diffondono i solitari con le carte (si dirà poi che Napoleone a Sant’Elena giocava anche al tangram: il che sembra da escludere). Dopo decenni di oblio il tangram è tornato di moda in Europa e in Usa. Da qualche anno è facile trovare in commercio anche in Italia varie confezioni di tangram in cartone, plastica, legno o metallo magnetizzato.
Il fondamentale libro del Read 1965 è stato tradotto in italiano (Read 1970); ma, poiché quel che conta sono le illustrazioni, circolano in Italia vari trattati di tangram in lingue straniere. Interessante è la parte storica e bibliografica di Elffers 1973, 1976. Per l’Italia (che importa il tangram verso il 1818) è facile fare integrazioni ai libri citati daU’Elffers: all’edizione milanese di Pietro e Giuseppe Vallardi, 1818, è da aggiungerne un’altra, molto simile, di stessa data, che reca l’indicazione tipografica “Firenze, All’insegna dell’Ancora”; al Supplemento al nuovo gioco cinese stampato sempre a Milano, nello stesso 1818, dai fratelli Bettalli, è da aggiungere un altro volumetto, Bettalli, Milano s.d., che reca il titolo Nuovo e dilettevole giuoco chinese.

XXIV il gioco dei nove anelli. Antico rompicapo cinese, disponibile in vari modelli. P. es. quello prodotto da Aarìkka (Finlandia) è leggermente diverso da questo che descrive Caillois: a un manico in legno sono collegati sette anelli attraverso i quali passa una lunga spilla metallica; ma anche qui si tratta di liberare la spilla (e poi di infilarla nuovamente negli anelli) attraverso una lunga serie di movimenti. Si chiama a volte Anelli Cinesi anche un altro gioco il cui nome proprio è Torre di Hanoi. Nella Torre di Hanoi prodotta p. es. da Naef (Svizzera) nove dischi digradanti, forati, sono infilati non su una spilla bensì su un piolo e devono essere trasferiti a un altro piolo nello stesso ordine, senza che ci si trovi mai nella situazione di aver messo un disco più grande sopra un disco più piccolo; c’è un terzo piolo per permettere gli spostamenti; si può risolvere in 511 mosse. Sia gli Anelli Cinesi sia la Torre di Hanoi hanno interessato i matematici; la soluzione è in relazione al calcol
o binario. Cardano se ne occupò nel 1556 in relazione alle serrature delle casseforti.

XXV giocare da soli. Sembra che Caillois non apprezzi i valori di concentrazione, di raccoglimento quasi religioso che possono avere certi solitari: anche certi solitari modernissimi, come il Master Mind elettronico. Già per i solitari con le carte era stato fatto il paragone con il tiro dell’arco secondo la dottrina zen (DOSSENA 1976, pp. 37-38); successivamente altri solitari sono stati paragonati a rosari laici o a mulini da preghiere tibetani (AULT 1980, p. 142). Sembra discutibile quanto Caillois scrive più avanti: “si direbbe che al gioco manchi qualcosa, quando è ridotto a semplice esercizio individuale”; discutibile soprattutto da quando la diffusione dei giochi solitari ha avuto un’impennata, coi giochi elettronici (cfr. nota a p. 245, per una macchina elettronica).

XXVI superstizione. Il discorso di Caillois sembra legato a un atteggiamento razionalistico piuttosto rigido. È sembrato ad altri che il ventaglio delle possibili “superstizioni” sia ampio e screziato; nel campo delle carte, dalla superstizione infantile che si manifesta nel gioco del Mercante in Fiera ad altre forme di comportamento che, passando per i tarocchi divinatori e arrivando all’I Ching (disponibile anche sotto forma di carte da gioco) sfondano il muro della superstizione per approdare a forme di meditazione. DOSSENA 1979, pp. 34-35.

XXVII tarocchi. È provato (DUMMETT 1980 a) che i tarocchi nascono nel XV secolo come gioco e solo alla fine del XVIII vengono stravolti ad uso divinatorio. Pertanto è da ritenere non corretta l’affermazione di Caillois secondo cui i tarocchi “furono e sono tuttora impiegati per entrambi gli scopi”. Quanto all’affermazione che “le stesse carte servono sia ai giocatori ... che alle veggenti”, questo è stato vero in Francia e altrove, ma non lo è più né in Francia (dove per il gioco si usa il mazzo del “Nouveau Tarot Francais”, per la divinazione il mazzo del “Tarot de Marseille”) né in Italia (dove il mazzo del “Tarocco piemontese” è a due teste, e pertanto inutilizzabile a fini divinatori: si perde la possibilità di vedere se una carta esca dritta o capovolta). Non sembra corretto neppure affermare che i cartomanti usino carte speciali “solo per un fatto di prestigio”. L’iconologia dei tarocchi e di altri mezzi divinatori ha certamente ambizioni simboliche che non si possono liquidare a priori (anche se i rimproveri che sono stati rivolti al Dummett in questo senso sono dissennati: cfr. nota a p. 229, per l’aspetto che maggiormente lo discredita).

XXVIII riti svuotati dal loro significato profondo. I materiali accumulati dagli storici dei giochi negli ultimi anni confermano le tesi di Caillois. Basti ricordare il passaggio dal Moksa-Patamu allo Snakes and Ladders, detto da noi Scale e Serpenti, o Serpi e Scale (LOVE 1978, p. 22; BELL 1979 a e b, p. 22); in questa direzione il gioco tibetano scoperto da TATZ e KENT 1980 si colloca fra gli archetipi del nostro Gioco dell’Oca), o le vicende del Fanorona: coloro che lo giocano secondo le regole della THANASSECOS 1977 non sanno quello che si fanno, se non hanno letto BORGES 1973, p. 70: “Mentre i francesi assediavano la capitale del Madagascar, nel 1893, i sacerdoti parteciparono alla difesa giocando il fanorona, e la regina e il popolo dall’alto delle mura seguivano con più ansia la partita (giocata, secondo i riti, per propiziare la vittoria) che non gii sforzi delle truppe in battaglia.” Questi sono passaggi di giochi da una cultura all’altra. Ma lo stesso può avvenire all’interno di una stessa cultura, o in un tessuto omogeneo di culture, senza componenti di esotismo: così per i labirinti (Kern 1981) o per l’indovinello (cfr. più avanti, nota a p. 241 per tornei di enigmi).

XXIX conte e girotondi. La loro lingua è a volte misteriosa. Ma se ne possono dare spiegazioni sorprendenti. ARNOLD 1980, p. 308.

XXX non ritengo impossibile comporre questa antinomia. Comincia qui la parte più importante del libro di Caillois. Di antinomie è costellata la storia delle riflessioni sui giochi. Secondo Herbert Spencer (1820-1903) il gioco è “sfogo di energie inutilizzate”; secondo Pierre Janet (1859-1947) il gioco è “mobilitazione e accumulo di energie”.

XXXI giochi con la corda Caillois dice jeux de cordes. È ovvio pensare che si tratti di giochi con la corda, ma è curioso che manchi al DEI questa “corda”, registrata invece dal BATTAGLIA: “funicella leggera alle cui estremità sono di solito poste due impugnature di legno o di plastica, usata dalle bambine nei loro giochi, o anche, in ginnastica, per esercizi vari e specialmente per eseguire salti”. Che la corda fosse gioco solo di bambine è detto anche da LIBREX vol. II, p. 53 (^saltare la corda”), che nota come sia gioco in via di estinzione (ma non estinto, a differenza per esempio dal cerchio). LA SORSA 1937, pp. 389-392 descrive vari giochi con la corda (“Il giuoco della corda”) che richiedono la presenza di tre o più bambine. ARNOLD 1980, pp. 94-96, descrive come “salto con la corda” sia questo tipo di giochi a tre o più, sia un tipo di giochi che può fare un bambino da solo. Nota bene: l’Arnold non fa mai distinzione di sesso, come è stato sottolineato (ARNOLD 1980, p, 301).

Detto ciò, resta un dubbio: che Caillois invece pensasse agli string games. FURNESS JAYNE 1962. Ma gli esperti da me interrogati, pur trovando strano che Caillois dica cordes al plurale, sostengono che, se avesse voluto parlare di string games, avrebbe detto jeux de ficelles.

XXXII “campana” (o “gioco del mondo”). ARNOLD 1980, pp. 90-93 presenta alcune varianti. Un’indagine svolta a San Francisco nel 1955 ha permesso di classificarne 19.

XXXIII giocare “a prendersi”. Caillois dice le jeu de chat perché. AVELINE 1961, p. 453 descrive, oltre allo chat perché, anche lo chat coupé, lo chat malade ecc. Un non minor numero di varianti descrive ARNOLD 1980, pp. 108-110, raggruppandole sotto la famiglia del “ce l’hai”.

XXXIV tornei di enigmi. Sulle “gare di indovinelli” resta fondamentale il capitolo VI dell’Homo ludens di Huizinga. COLLI 1977 per l’antica Grecia semplifica molto le cose: l’indovinello come “sfida sapienziale” con rischio di morte, documentato in un’epoca anteriore al V sec. a.C, sarebbe già “banalizzato” a livello di intrattenimento con Simonide.

XXXV fuori stagione. La stagionalità era connotazione primaria di certi giochi. Per esempio da noi la lippa si giocava solo d’inverno. ARNOLD 1980, p. 318.

XXXVI come giocattoli... in quanto armi. Ai tempi di Caillois non si facevano proposte di legge per mettere al bando le armi-giocattolo; ai tempi nostri non si tien conto di queste osservazioni di Caillois, né di altre ancora più semplici (la messa al bando delle armi-giocattolo non è una forma di censura, è una forma di proibizionismo). Immutata la sostanza, dai tempi di Caillois cosa c’è di nuovo? I soldatini-robot tratti dai cartoni animati della fantascienza giapponese. Goldrake è del 1978.

XXXVII monopoli. In tutto il libro, questa è l’unica affermazione da respingere, e possiamo farlo oggi, conoscendo la storia di Monopoli. DOSSENA 1979, pp. 74-76. Non è stato inventato da Charles Darrow, disoccupato alla fame per la crisi del ‘29; è stato inventato nel 1904 da Lizzie J. Magie; ma resta un gioco capitalista che viene dopo il capitalismo. In ogni caso il paradossale antistoricismo di Caillois è preferibile, come atteggiamento mentale, al microstoricismo sociologico postcontestatario di autori come CALVET 1978. Dicendo il falso, e cioè che monopoli non viene dopo il capitalismo, Caillois riconosce al meccanismo di gioco del Monopoli una validità che potrebbe permettergli di funzionare anche in culture precapitalistiche o totalmente aliene dal capitalismo. Non sarà un caso che un deliberato, grossolano “anti-monòpoli” come Lotta di Classe (1978), plagi il meccanismo di monopoli.

Nuove osservazioni di Piergiorgio Bellocchio (Eventualmente, Rizzoli, Milano 1993; cfr. G. Dossena, Abbasso la pedagogia, Garzanti, Milano 1993) e di Paola De Sanctis Ricciardone (Antropologia e gioco, Liguori, Napoli 1994).

XXXVIII come immaginare che un giorno sparisca il gioco della bambola? Caillois non immaginava che dopo il ‘68 le femministe e i “genitori democratici” avrebbero sognato l’avvento di un tal giorno.

XXXIX diversità delle culture... natura di alcuni fra i giochi che vi si vedono fiorire. Negli ultimi anni si è diffusa in Europa la conoscenza del gioco giapponese del Go, che probabilmente costituisce il miglior esempio a sostegno di questa tesi di Caillois. Gioco di grande bellezza (TREVANIAN 1980 dice con durezza che il Go sta agli scacchi come la metafisica sta alla computisteria) stenta a diffondersi tra noi, se non per la sua estraneità alla nostra “mentalità”, almeno per la sua estraneità alla filosofia implicita in molti dei nostri giochi (indoeuropei). Le pedine non hanno alcuna distinzione gerarchica (come è invece negli scacchi e nelle carte), non c’è scontro frontale di eserciti schierati, non c’è eliminazione dell’avversario, non c’è conquista: c’è solo “controllo del territorio” (non c’è guerra, c’è guerriglia).

Posta, con tutte le cautele di Caillois, e altre ancora, l’equazione gioco = cultura, resta decisiva la presenza di giochi raffinatissimi in culture in cui non è dato cogliere oggi la presenza di tratti globalmente raffinatissimi. Riassumo, per il mankala, da POPOVA 1977, POPOVA 1979.

Il gioco più diffuso nell’Africa nera è il mankala; dall’Oceano Indiano all’Atlantico prende vari nomi, ma è sempre un gioco di calcolo e di calcoli, perché si fa con sassolini o conchiglie o semi, su un tavoliere con dodici buchi. I buchi si possono anche semplicemente scavare per terra. L’immagine di due straccioni negri, accucciati, che pasticciano lentamente con le lunghe mani nella sabbia, spostando sassolini torno torno in queste buche, è, per il viaggiatore distratto, l’immagine tipica di una degenerazione, di un abbrutimento. I primi viaggiatori europei che descrissero questo gioco pensarono, e dissero chiaro, che doveva essere un’infima, idiota semplificazione della dama o degli scacchi, poiché nelle menti dei negri non poteva entrare, senza deformarsi, la sublime logica di questi grandi giochi indoeuropei. (Per l’Italia colonizzatrice, agghiacciante La matta 1940, p. 37).

Al contrario, il mankala è un gioco matematico, di diversa ma non meno sublime matematicità. Chi lo studia per anni, e arriva a saperlo giocare, attinge un’esperienza intellettuale, un’avventura del pensiero che lo porta lontanissimo. Accucciati, pasticciando con le mani nella sabbia, spostando sassolini torno torno in queste buche, calcolando le possibili conseguenze di ogni mossa, la mente si apre a magie pitagoriche. Si sente, come un lontano brusio, la perduta musica delle sfere celesti che descrissero i Greci.

In certe tribù della Costa d’Avorio, quando si sta per disputare qualche importante partita di mankala, fra campioni riconosciuti, spesso avviene che uno dei due giocatori ricorra a uno stregone per farsi preparare un filtro amoroso da propinare segretamente all’avversario, ma non per intontirlo e dunque batterlo più facilmente: al contrario, per farlo innamorare del gioco, per farlo appassionare alla partita, perché in quella sfida dia il meglio di sé, e si possa disputare un incontro memorabile.

Naturalmente la bibliografia sul mankala è vasta. Cfr. p. es. TOWNSHEND 1977.

XL manille. Gioco di carte descritto p. es. in AVELINE 1961. La traduzione italiana (AVELINE 1964) descrive, in corrispondenza, un gioco che battezza “maniglia”; lo si ritrova anche in LIBREX 1969, ma sembra estraneo alla tradizione italiana.

XLI giochi fisionomici. Non diversamente nella briscola se stringo le labbra ho l’asso, se storco la bocca ho il tre, se alzo gli occhi ho il re, se mostro la lingua ho la donna, se alzo la spalla ho il fante. Quando invece al tressette busso o striscio, adotto un linguaggio gestuale che non può sfuggire agli avversari, e potrebbe (può in certi ambienti) essere sostituito dal linguaggio verbale.

XLII l’eroe gaffeur, birbante o stupido. Caillois dice le héros gaffeur, espiègle ou stupide. Si potrebbe dire trickster, schnorrer, trasgressore ispirato, “briccone divino”. Questo personaggio interviene in certi modi italiani di giocare alla briscola in cinque. DOSSENA 1979, pp. 68-70.

XLIII barres. Gioco descritto in tutti i repertori francesi (p. es. in AVELINE 1961, p. 467), non ha corrispondenti italiani, a quanto sembra. È un gioco di cattura a squadre, della famiglia di bandiera e di schiaffo (ARNOLD 1980, p. 126; ARNOLD 1972, pp. 144-145: Slap Tag).

XLIV problema dei quattro colori. Famoso teorema topologico discusso p. es. in GARDNER 1973 b, pp. 101-112.

XLV problema... dei ponti di Koenisberg. Descritto p. es. in GELLI 1965, pp. 258-260 e discusso in GARDNER 1973 a, pp. 258-260.

XLVI quadrato del quindici. È questo il nome corrente in italiano (ma manca al DEI) di quello che in francese si chiama jeu du taquin (così Caillois) e in inglese fifteen puzzle. Inventato da Sam Loyd, variamente modificato (in Italia è diffuso anche un “rettangolo del 31”), resta un rompicapo archetipico. Loyd 1980, pp. 3, 28-29. Alcuni giochi tradizionali si possono complicare, portando uno schema bidimensionale a livelli tridimensionali. Classico, lampante esempio il passaggio dal quadrato del quindici, appunto, al Cubo magico di Rubik. Esempio più sottile, il passaggio dal filetto a quel “filetto verticale” che è il Forza Quattro della Milton Bradely (lo schema combinatorio è ancora bidimensionale, ma entra in gioco la forza di gravità, e si aggiungono altri valori tattili e acustici). Altra filiazione tridimensionale del filetto, lo Space Lines dell’Invitta, che ha alle spalle altri esperimenti (scacchi su scacchiere sovrapposte, ecc.). Ma nei giochi strategici (nota seguente) la complic
azione nasce dal procedimento inverso, nasce passando dalle tre dimensioni alle due.

XLVII giochi strategici. Dai tempi in cui scriveva Caillois, parlando di jeux stratégiques, si è meglio delineata la distinzione tra due generi: “giochi di simulazione” simulation games, TAYLOR e WALFORD 1979) e “giochi di simulazione strategica” war games, PALMER 1981).

I primi sono strumenti pedagogici (detti “giochi” per l’uso intensivo e estensivo a cui la parola è sottoposta: cfr. nota a p. 230 per le nozioni implicite ecc.); i secondi sono giochi da giocare per gioco (pur conservando grande efficacia pedagogica e di addestramento, non solo militare).

I secondi si dividono in due specie: tridimensionali e bidimensionali.

I tridimensionali (miniature war games) si giocano con soldatini, su plastici.

I bidimensionali (board war games) ricostruiscono su tabelloni a caselle esagonali il terreno di battaglie famose, mettendo a disposizione dei giocatori (sotto forma di pedine in cartoncino che recano stampate cifre e simboli vari) armi e mezzi di rifornimento minuziosamente corrispondenti a quelli reali in valori di massa, capacità di movimento, autonomia, potenza di tiro ecc.

I board war games nascono tra Inghilterra e Stati Uniti, tra il 1953 e il 1962, tra Charles S. Roberts (BARKER 1976) e Tony Bath (DUNNIGAN 1980).

XLVIII carta-pietra-forbici. Caillois chiama questo gioco “papier-pierre-ciseaux” (e sente il bisogno, che non sente in altri casi, di spiegarne il meccanismo). Da noi il meccanismo è notissimo, e il gioco si chiama morra cinese. ARNOLD 1972, pp. 243-245 lo chiama “Stone, Scissors, and Paper” e dice che si gioca in Italia e in Giappone (dove si chiama janken), mentre usi resto del globo sembra sia ignoto, o di importazione recentissima, cfr. Arnold 1980, pp. 206-208.

XLIX il lupo e gli agnelli. Una variante della dama descritta p. es. in AVELDJE 1961, pp. 55-56, Aveline 1964, p. 61. Altri giochi hanno lo stesso difetto. P. es. nel gioco vichingo delle volpi e delle oche, se si gioca correttamente vincono sempre le oche (Bell 1979 a e b, p. 50).

L una macchina elettronica. Scacchi elettronici sono diffusi in modo apprezzabile dal 1977. nel 1980 la Federazione internazionale scacchista accettava di patrocinare un campionato fra microprocessori. I progressi di queste macchine sono sempre più veloci da quando si è pensato di non immagazzinare nelle loro memorie mosse possibili sulla base di partite già giocate (come sembra fantasticare anche Caillois) bensì di dotarle di facoltà strategico-previsionali autonome. Scacchi a parte, i giochi elettronici rappresentano per i nostri anni una rivoluzione paragonabile all’introduzione in Europa delle carte da gioco nel Medioevo. È stato notato che vien bene l’uso solitario dei giochi elettronici, anche giochi elettronici destinati a due o quattro persone danno il meglio di sé se giocati come solitari: non solo il Logic Five e il Master Mind elettronico, ma anche Sector. DOSSENA 1979. Solitari sono infine quegli speciali giocattoli elettronici che si chiamano videogiochi solitarissimi, i flippers, orma
i non più elettromeccanici ma interamente elettronici. Dal 1979 abbiamo videogiochi e flippers tascabili.

LI psicologia dei campioni di scacchi. Alla bibliografia di Caillois sarà da aggiungere FINE 1976. E per il calcio il nuovo libro di Desmond Morris, The Soccer Tribe (preannunciato da Oreste del Buono, “La Stampa”, 6 giugno 1981).

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